Glorie nell’alto dei monti di Andrea Tozzi

Annuario 2012 – Ovvero: quando la meccanica quantistica sale in montagna

Leggendo il numero di marzo di quest’anno de “Le Scienze”, mi imbatto in un interessante articolo del fisico H.M.Nussenzveig i cui contenuti, ampliati in alcune parti, voglio qui riproporre perché tratta un argomento che coniuga alpinismo, fisica e metodologia di una ricerca scientifica: le cosiddette “glorie”. Forse vi sarà capitato di notare quando siete in alta montagna o anche a bordo di un aereo, strani aloni colorati che avvolgono la vostra ombra o quella dell’aereo. Se avete posto un po’ di attenzione avrete notato che, come accade per l’usuale arcobaleno, questo fenomeno appare guardando verso una nuvola e avendo il sole alle spalle. Il fenomeno è abbastanza conosciuto tanto da far ipotizzare che gli aloni che tipicamente nell’iconografia di buona parte del mondo avvolgono divinità, santi ed eroi derivino proprio da questo tipo di osservazioni.

E chissà se non furono proprio glorie quelle che Whymper narra di aver visto durante la drammatica discesa della prima del Cervino nel 1865 con i due superstiti Taugwalder padre e figlio, nell’atmosfera nebbiosa che precedette il loro tesissimo bivacco. Il metodo con cui si è arrivati alla spiegazione delle glorie è un bell’esempio del mestiere degli scienziati e un’ennesima verifica della potenza del cosiddetto “metodo scientifico” che da Galileo in poi ci accompagna nelle nostre scoperte dandoci la scaletta corretta di una buona indagine scientifica: osservazione (curiosità), teoria (calcoli e cervello), verifica sperimentale (tecnica e cervello).

Partiamo: la presenza del sole e delle nuvole è obbligatoria e questa semplice osservazione già ci instrada nella giusta direzione per spiegare il curioso effetto ottico. Le gocce d’acqua combinano qualche cosa, retro riflettendo la luce del sole verso i nostri recettori visivi (occhi), così come la luce emessa dai fari di una macchina torna indietro quando viene diretta verso un catarifrangente. L’analogia con l’arcobaleno è altrettanto azzeccata, peccato però che dalla prima osservazione documentata delle glorie, risalente al 1748 ad opera di una spedizione scientifica europea in Ecuador, si sia dovuti arrivare agli anni duemila per avere un modello interpretativo funzionante. Il problema è che le glorie son molto più complesse degli arcobaleni che già di per se non hanno affatto una spiegazione semplice. Per inciso nel tentativo di spiegare le glorie Mr. Wilson alla fine del XIX secolo inventò la “Camera a nebbia” (che in inglese suona più come “Camera a nuvola”) e che anche se non servì a spiegare le glorie, è stata utilizzata per buona parte del XX secolo come rivelatore di particelle e ha permesso a Wilson di prendere il premio Nobel per la Fisica nel 1927: la sua era una sorta di antesignano degli attuali rivelatori di particelle, tipo quelli che ci sono per esempio al Cern, recentissimamente assurto agli onori della stampa per aver dato modo agli scienziati di avere una verifica sperimentale dell’esistenza del Bosone di Higgs, la cosiddetta “particella di Dio”.

la “gloria” viene generata con il sole
alle spalle e una nuvola di fronte

Tornando a noi e alla montagna vediamo di capirci qualche cosa. Sempre nel XIX secolo Fraunhofer, un fisico padre indiscusso dell’ottica ondulatoria e della teoria della diffrazione della luce, propose una soluzione basata manco a dirlo sulla sua teoria della diffrazione. La spiegazione pareva buona, ma nel 1923 il fisico indiano B.B.Ray la smontò: da alcune prove sperimentali da lui compiute trovò che non spiegava affatto il fenomeno. Ray tentò allora di dare una spiegazione basata sull’ottica geometrica, l’ottica che si usa per costruire le lenti delle nostre macchine fotografiche per esempio: la luce, assimilata a corpuscoli, entra nella goccia d’acqua attraversandone la superficie e dopo un paio di rimbalzi ne esce deviata all’indietro. Peccato che dai conti si vede che l’acqua non può far questo: il suo potere di deviare la luce è insufficiente! Come si suol dire ha un “indice di rifrazione” troppo piccolo.

Di nuovo un inciso: i diamanti brillano molto perché son fatti di carbonio cristallino che ha un indice di rifrazione estremamente elevato, circa due volte e mezzo quello dell’acqua e fa compiere ai raggi di luce percorsi molto arditi, ben amplificati ed esaltati dalla miriadi di facce che un buon artigiano specializzato riesce a fare. Arriviamo al 1957 quando Van de Hulst propose una spiegazione delle glorie basata sulla natura ondulatoria della luce. La luce che arriva da dietro di voi lambisce le goccioline d’acqua e invece di entrarvi dentro come in un diamante, comincia a corrervi lungo la superficie. Dopo mezzo giro esce di nuovo e voi vedete la gloria.

schema delle tre spiegazioni delle “glorie”

Spiegazione ardita, ma fisicamente possibile. Peccato che non tornino le intensità e l’efficienza del meccanismo, ma ci stiamo avvicinando alla soluzione. Nel 1987 proprio l’autore dell’articolo che ho letto, Nussenzveig, propone che la luce che si vede sia quella che non tocca proprio per niente la gocciolina d’acqua! Pare ardita: è come lanciare una biglia verso un pallone da calcio, mancarlo, ma vedere la biglia che ci gira intorno e vi torna nella mano… decisamente ardito! Ma possibile. In fisica si chiama “effetto tunnel” ed è una delle stranezze che ci riserva la meccanica quantistica, una teoria sviluppata agli inizi del XX secolo per spiegare il mondo dell’infinitamente piccolo e non solo. Già Newton a dire il vero nel 1675 notò un effetto ascrivibile a questo: quando la luce si trova a dover passare spessori molto piccoli di aria, comparabili alla sua lunghezza d’onda e quindi pari a circa mezzo millesimo di millimetro, si formano dei fenomeni di interferenza tra onde evanescenti creando degli anelli concentrici di luce e di ombre denominati giust’appunto “anelli di Newton”.

Da buon fisico Newton descrisse il fenomeno, ma non ebbe modo di darne una interpretazione oppure si, ma non la scrisse, visto anche che lui era un accanito sostenitore della teoria corpuscolare della luce! L’effetto è attualmente usato anche in una recente tipologia di schermi touchscreen e in una miriade di altri dispositivi ottici meno “consumer”. Nelle glorie quel che avviene è che la luce in verità subisce tutti e tre gli effetti qui descritti: quello geometrico di Ray, quello delle onde di superficie di Van de Hulst e infine quello legato all’effetto tunnel proposto da Nussenzveig.

Per concludere va notato che il fenomeno può essere simulato al computer basandosi su una soluzione matematica esatta sviluppata già all’inizio del XX secolo dal fisico tedesco Gustav Mie: peccato che si trattasse di una scatola nera in cui non si dava alcuna interpretazione fisica del fenomeno e come disse il Nobel per la fisica Eugene Wigner: “E’ bello che il computer capisca la fisica, ma vorrei capirla anch’io!”.

Ovvero: torniamo alla lavagna se si voglion capire le cose!

alcuni esempi di “glorie”
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