Annuario 2012

Non è raro leggere nelle riviste di cultura alpina l’associazione di termini musica-montagna, e spesso questa va di pari passo con nomi assai noti dell’alpinismo quali Boccalatte e Castiglioni. Pochi vanno oltre cercando altri protagonisti certo non meno noti, quali Massimo Mila, Marino Fabbri o addirittura di Leone Sinigaglia. Non molto tempo fa, nella rivista Montagna (organo del GISM) dell’Ottobre 2008, era apparso un articolo firmato da Giovanni di Vecchia “...e la montagna e la foresta favoriranno suoni e melodie…”Non ho idea se l’autore fosse o meno un addetto ai lavori ma certamente sembrava che qualcosa ne avesse masticato. Certamente la redazione che impaginò l’articolo non ci fece una bella figura se solo si pensava all’aver sbagliato due volte a scrivere il nome di Brahms (scritto cioè senza l’h nel mezzo); tuttavia, anche se in tal senso sono molto indulgente perché i refusi sono spesso dietro l’angolo, rimango perplesso sulle considerazioni musicali scritte visto che la maggior parte degli autori che vi erano citati (Wagner, Brahms, Mahler, Strauss e Schumann), credo di conoscerli abbastanza bene. Innanzi tutto ritengo non si possa prender per oro colato ciò che hanno scritto altri (e parlo di non-compositori ma più spesso di critici musicali); si prenda quale esempio quel che scrive G. Benker nella Rivista mensile del 1952, che cioè “la montagna è stata sempre piena di musica più di ogni altra regione della terra”. Questa è una balla, anzi mi sembra più una frase di un qualunquista; esistono regioni che hanno da sempre un fervido retroterra culturale musicale e solo pensare che uno conosca tutto di tutti e pura utopia.
Dire che Brahms e Wagner amassero la montagna è un dato di fatto (può darsi che sia vero, io non lo so) ma pensare che le parti citate dell’Anello del Nibelungo wagneriano siano inni alla natura e, per estensione alla montagna, è una pura e semplice cristallizzazione alla Stendhal! Lo stesso dicasi per quanto scrive M. Mila ne La Stampa riguardo a Brahms, “…nella sua nobiltà eccelsa, nella platonica altezza e nel sublime si rispecchiano la purezza immobile del paesaggio dell’alta montagna e l’incantato riverbero dei grandi ghiacciai, la salda forma dei monti e la loro possente concretezza…”. Il mio modesto avviso è che si tende a riferire una o più composizioni ad eventi da noi vissuti in prima persona, legandoli poi per miracolose proprietà transitive a precisi luoghi geografici. Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: ascolto un brano per strumento solista ed orchestra, mi piace sentirlo spesso perché mi suscita gioia e serenità; faccio sentire lo stesso brano ad un’altra persona, ad un amico e ne rimane indifferente oppure a lui suscita tristezza. Eppure il brano e l’esecutore sono identici! Tuttavia, le parti dell’articolo succitato che mi hanno colpito di più sono l’aver trattato en-passant il Manfred di Robert Schumann, dove esiste il famoso Ranz-des-vaches (che conosco molto bene per averlo suonato più volte) che ben si prestava a riflessioni tra musica e montagna, nonché la famosa Eine Alpensinfonie op.64 di Richard Strauss laddove si riportano i pensieri segnatamente negativi di A. Balliano (“… poco o dubbiamente alpina…”, “…abolito il titolo, quella musica evoca la montagna?...”).
Mi permetto di far presenti alcune personali considerazioni su questa bella composizione di Strauss, certamente non la più significativa tra i cosiddetti poemi sinfonici, ma di sicuro ben legata alla montagna se si pensa che è scaturita dalle impressioni di una gita fatta dal giovane Strauss e dal fatto che lui ed altri amici si persero e dovettero bivaccare all’aperto (in un’epoca dove non c’era il Soccorso alpino e il cellulare!). Pensate solamente ad alcuni dei titoli dei vari movimenti che la compongono, come il terzo (Der Anstieg, l’ascesa) o il nono (Auf der Alm, l’alpeggio) o l’undicesimo (Auf dem Gletscher, sul ghiacciaio) senza dimenticare il tredicesimo (Auf dem Gipfel, in vetta). E credetemi, lo stesso Strauss spiega come la strumentazione sia vincolata ai temi svolti ed ad orchestrazioni ad hoc (d’altronde il complesso degli strumenti in orchestra è enorme, con moltissimi legni e ottoni). Tornando invece ai Ranz-des-vaches, devo dire che sono delle semplici composizioni di stile ripetitivo ed improvvisatorio; il tema, spesso suonato reiteratamente con cambi di tempo e di accento, deriva dai canti dei mandriani delle Alpi svizzere. Venivano intonati quindi con quei lunghi corni, i corni delle alpi (o alphorn), in modo che la componente “eco” svolgesse un ruolo importante.

Queste melodie sono molto antiche ed erano state addirittura catalogate poiché le truppe mercenarie svizzere avevano il brutto vezzo di canticchiarle quando erano lontani dalla terra natia; il potere nostalgico evocato dalla ripetitività della melodia era così forte che questi uomini duri, abituati alla guerra, cercavano subito di disertare per tornare in Svizzera; e il solo cantarle era punito con la pena capitale… . Addirittura un medico svizzero nei primi del settecento definì questa “malattia” nostalgica del suolo natio col dotto termine di pothopatridalgia! Ma i Ranz-des-vaches non furono mai un evento musicale fine a sé stesso, vennero infatti usati nella musica classica colta da compositori di grandissimo spessore: Schumann come detto dianzi, Rossini nel Guillaume Tell, Berlioz nella Sinfonia fantastica, Liszt nell’Album d’un voyageur, Meyerbeer in Dinorah, Wagner nell’ultimo atto del Tristan und Isolde e Koechlin in Au loin solo per citarne alcuni.
Taluni critici hanno ravvisato un Ranz-des-vaches anche nel movimento lento della nona sinfonia di Dvorak ma ahimé, forse lo si può accettare solo per estensione anche se trattasi di un canto funebre degli indiani del nordamerica. Forse la cosa più curiosa è che viene spesso usato, per esaltare il potere di queste melodie, il corno inglese: chissà perché? Forse per il suo suono melanconico?
L’altra cosa che mi ha lasciato basito dell’articolo predetto è quella di aver dimenticato di citare uno dei rarissimi compositori/alpinisti, quel Leone Sinigaglia che scrisse “Ricordi di arrampicate nelle Dolomiti”. Non è facile trovare in commercio sue composizioni ma ve n’è una che conosco perché scritta per oboe e pianoforte e variata su un tema di Schubert nonché un Lied op. 15 dal titolo emblematico, Von Berge.
In tutta onestà rimango piuttosto scettico sulle presunte bravure pianistiche di Castiglioni o di Boccalatte anche se spesso riferite, vuoi perché arrampicare ad alti livelli e tecnica raffinata delle dita non vanno d’accordo e vuoi perché nessuno di loro si trova citato nelle più autorevoli enciclopedie musicali come pianista, ma ancor oggi, Leone Sinigaglia è ricordato in queste, compresa la prestigiosa Grove britannica.
Ma Sinigaglia era un compositore… .