di Lorenzo Furia (INSA)
Direttore della Scuola di Alpinismo, Scialpinismo e Arrampicata Libera “Tita Piaz”
Le cronache riportate nel volume “Mezzo secolo di alpinismo – La Scuola di alpinismo Tita Piaz compie 50 anni” individuano un giorno preciso: il 1 novembre 1951. In quella data un gruppo di alpinisti fiorentini fondarono quella che poi sarebbe diventata l’attuale Scuola di Alpinismo, Scialpinismo e Arrampicata Libera Tita Piaz. Erano gli anni della ricostruzione dopo gli eventi bellici, l’alpinismo era una “palestra di vita” in cui si confrontavano tanti giovani e le notizie delle salite di Bonatti riempivano le prime pagine dei principali quotidiani. In tale contesto si sviluppò il nuovo organismo dedicato alla formazione delle discipline alpinistiche, una “scuola” che, in analogia a quanto già fatto in alcune città del nord Italia, avvicinava i cittadini alle montagne, insegnando l’uso di tecniche e attrezzature con un occhio di riguardo alla sicurezza. Ovviamente era la sicurezza di allora, quando, a titolo di esempio, nelle poche auto in circolazione non esistevano le cinture di sicurezza: una cosa impensabile oggigiorno.
Da quella data ricorrono quest’anno 70 anni: un bel traguardo per un organismo che, come altri del sodalizio, si basa esclusivamente sul volontariato. Oggi la Scuola Tita Piaz si occupa dell’insegnamento di tutte le discipline alpinistiche per conto della sezione fiorentina e di quella aretina del CAI: ogni anno sono decine i soci, sopratutto nuovi, che partecipano ai vari corsi in programma. Oltre all’alpinismo classico, l’attività della Scuola si rivolge infatti anche al mondo dell’arrampicata e dello scialpinismo, due discipline con ampi aspetti sportivi tanto che la prima ha partecipato alle ultime Olimpiadi. Uno degli obiettivi della Scuola è proprio quello di illustrare tutti gli aspetti dell’andare in montagna. Prioritariamente quello della sicurezza, ma anche quello ambientale, della socialità e sportivo. La sicurezza, come ricordato precedentemente, è un elemento genetico della Scuola: pur nella consapevolezza che le attività insegnate sono “potenzialmente pericolose”, si cercano di adottare tecniche e attrezzature che limitino il rischio ad una soglia accettabile, nonostante che oggi, questa soglia, si sia notevolmente abbassata rispetto al passato. Usualmente infatti chi non pratica l’alpinismo difficilmente capisce che confrontarsi con il rischio è un elemento inscindibile dal frequentare le montagne. Altro aspetto è la tutela dell’ambiente montano: anche in questo caso, molto è cambiato dagli anni ’50 ed oggi la Scuola insegna ancor di più a considerare l’ambiente naturale come un sistema da preservare, dove la possibilità di assaporare l’unicità dei posti dipende proprio dalla difesa dei medesimi. Infine la socialità: essendo tutti volontari, i circa 50 istruttori che svolgono attività nella Scuola lo fanno soprattutto per trasferire agli altri la propria passione, sviluppando spesso legami di amicizia duraturi.
Come le altre attività del CAI, anche quelle della Scuola hanno avuto una battuta di arresto in questi ultimi due anni a causa dell’emergenza sanitaria: lo svolgimento dei corsi era infatti impossibile da coniugare con le misure di distanziamento fisico. È stato un periodo di riflessione, nel quale gli istruttori hanno cercato di coltivare le proprie passioni pur con i limiti imposti dai vari DPCM, riscoprendo le montagne più vicine e confini che oramai sembravano anacronistici: chi si ricordava che per andare a sciare nella toscanissima Valdiluce bisognava “espatriare”, seppur per pochi chilometri, in Emilia Romagna? Probabilmente da questo strano periodo sono scaturiti anche degli aspetti positivi: la forzata inattività sta spingendo molti a rivalutare l’importanza di svolgere attività in ambienti naturali poco antropizzati quale è la montagna. Infatti dal mese di settembre, pur con le necessarie precauzioni, i corsi della Scuola sono ripresi a buon ritmo, proprio per rispondere a questa forte richiesta di fare attività in montagna con adeguata sicurezza. Ma anche per trasferire alle nuove generazioni la passione che accomuna gli istruttori. A tal proposito mi ricordo ancora, dopo quasi trenta anni, la prima uscita del corso di scialpinismo al quale partecipai da allievo, quando un inarrestabile Giancarlo Dolfi, tra i primi istruttori della scuola negli anni cinquanta, ci accompagnò in una salita in Val Gardena, contagiandoci con la sua passione. Come allora, anche oggi il motore della Scuola è soprattutto passione.