“dal Monte Morello alla Calvana” di Sergio Rinaldi

Annuario 2007

Una maratona non competitiva … Quello scorcio di monti che dominano i tetti dalla mia finestra di casa a Signa hanno sempre esercitato in me un fascino misterioso che … volava lassù libero come i colombi e gli aironi o quelli uccelli che migrano dall’aspro crinale della Calvana ai profumati pini del Morello. Il bianco mantello della neve dell’inverno poi ne accresce l’incanto tramutando l’aspetto brullo e cangiante, secondo le ore del giorno, in un luccicante scenario alpestre. Allora la mia fantasia si perde lontano nel tempo comparando il Cantagrilli alla Bisalta, sulle Alpi Liguri che dominano Cuneo, e i Poggi Casaccia ed Aia del Morello in boschi dolomitici. Ma non basta ammirare da distante questi monti di casa nostra con l’occhio avido ed osservatore del pittore. Essi assumono purtroppo l’aspetto ed i contorni di cime di minore importanza per la loro altitudine inferiore ai 1000 metri. E’ come se a questi poggi mancasse la testa di almeno altre 1000 metri di rocce risucchiate forse da un lontanissimo sconvolgimento tettonico. Dunque colli, poggi e monti ma non Montagne con la M maiuscola da attirare gli alpinisti come mosche al miele. Così la dorsale di questo Appennino nostrano è un pò snobbata dai media e dai trekking attuali.

da un disegno di Sergio Rinaldi

Beh, a volte bisogna sapersi accontentare e … chi si accontenta gode! Qui forse mancano le motivazioni e l’attrattiva dell’avventura estrema ma vi si scoprono i valori semplici della natura che richiede rispetto ed ammirazione sapendo coglierne i lati positivi che un buon appassionato di montagna sa apprezzare come la bellezza e il fascino misterioso del mutare di colore e di forma delle foglie e dei fiori nelle varie stagioni, il profumo dei boschi portato dal vento, i ricami disegnati dalla neve, i sentieri e gli itinerari che circondano questo angolo di solitaria wildness, dove solo gli animali selvaggi sanno godere e vivere in libertà su questo angolo del crinale Appenninico Toscano. Per chi sa stimare l’importanza di questo patrimonio che la natura ci offre si aprono più ampi orizzonti, ricaricando le … pile e tornando a casa arricchito di nuove esperienze, magari semplici ma molto importanti per l’uomo alla ricerca di una cultura a volte frenetica tendente alla conoscenza e alla scoperta dei propri limiti.

Guardando verso Nord si scorge un lungo “ferro di cavallo” stretto tra il crinale dei monti della Caldana a sinistra, il passo delle Croci al centro e il monte Morello a destra, e su quella dorsale montuosa si snodano, come un’ampia ragnatela, numerosi sentieri e possibili itinerari degni di attenzione e di fascino. Tra il picco del Cantagrilli (sulla Caldana) e il Poggio all’Aia (sul Morello) si estende una spazio di circa 6 chilometri in linea d’aria,  ma i torrente Marinella di Legri scorre ai piedi di questi monti più in basso di 800 metri, aprendosi la via scorrendo fino a Capalle dove confluisce nel fiume Bisenzio che attraversa i Comuni di Campi Bisenzio e Signa fino a gettarsi in Arno all’altezza del Ponte a Signa. Questi monti avevano attirato in passato la mia attenzione di buon camminatore per il loro medio dislivello da 700 a 900 metri dalla base alle cime, costituendo un discreto allenamento di preparazione fisica, importante per realizzare qualche uscita alpinistica.

Mi vengono alla mente le numerose course sulla Caldana da Filettole, per il Rio Buti, al Monte Maggiore, al Cantagrilli disceso anche con gli sci su 40 cm. di neve fresca sul versante Est e poi a Carraia con gli sci in spalla. E ancora i tanti sentieri sulle groppe del Monte Morello, da tutti i versanti. Di passo o di corsa. Mi sovviene di una corsa podistica da Torricetta (sopra Settimello) al Poggio all’Aia del Morello per il sentiero rompistinchi e poi giù a rotta di collo fino al Passo Le Croci, con l’intenzione di proseguire verso Prato attraverso la Caldana. Però i miei due amici provetti corridori , più giovani di me di 20 e 30 anni, arrivarono al Passo sfiniti e dettero “forfait” dichiarandosi disfatti per la faticaccia. Confesso che io ne rimasi piuttosto deluso pensando al bel exploit mancato, ma pur con l’amaro in bocca mi riproposi di rimandare ad un’altra occasione completare il giro completo di bussola di esto “enchainement” montano. Passarono gli anni non presentandosi mai l’opportunità perché non era facile trovare amici disposti a  sacrificare  qualche “course” più interessante per un traguardo di più basso valore estetico, anche se piuttosto lungo e con dislivello totale degno di tutto rispetto.

Nel frattempo la Giovanna mi aveva regalato una carta al 25000 di Firenze e del Mugello e su di essa tracciai subito col pennarello l’itinerario prescelto, segnando su un  pizzino di carta tutte le denominazioni e le quote delle zone da percorrere e le variazioni di orientamento per una conoscenza maggiore dei luoghi. Ormai avevo sempre più in testa questo giro per crinale che sarebbe servito come ottimo test personale. Finalmente il 19 Maggio di quest’anno, alla vigilia delle mie 77 primavere si prospettò l’iniziativa tanto attesa sia per me come “matusa della montagna” e sia per Nelusco che voleva verificare la sua preparazione e allenamento in previsione della salita al Monte Ararat di 5176 m. in Turchia. Dal gioco della tombola si evince che il 77 è il numero delle gambe delle donne ma io speravo di poter dimostrare che con la volontà e la determinazione si poteva sfatare la più comoda vita sedentaria dovuta più alla pigrizia che alla forza di gravità. Così quel mattino, di buon ora, ci si trovò per iniziare la “lunga marcia” su quella cresta montuosa del “ferro di cavallo”. Con mia sorpresa si unì a noi Guidino che un mese prima aveva condiviso una impegnativa traversata scialpinistica nel gruppo del Silvretta in Austria e Svizzera. Non nego che, dentro di me, avanzai qualche riserbo sulla sua volontà di continuare fino in fondo la lunga “course” poiché bisognava essere dotati di una buona dose di determinazione per concludere quella maratona tra il Monte Morello e la Calvana. Portammo un auto alle Querce, tra Prato e Calenzano, presso il Centro Commerciale PAN e con l’altra ci spostammo alla chiesetta di Morello a  280 m., passando nei pressi della Cementizia Marchino, a Est di Calenzano e a circa 8 Km.. Qui, alle 7,15 iniziammo la nostra piccola/lunga avventura impugnando i bastoncini e prendendo a salire col sentiero N. 10 che in alto diventa “il rompistinchi”. Io salivo in silenzio, risparmiando il fiato ma dietro di me udivo un cicalio di discorsi impegnati e politicizzati dei miei due amici più giovani di me di 17 anni, che forse non avevano necessità di risparmiarsi su per la salita. Sul Poggio all’Aia, a 934 metri, arrivammo in poco più di un’ora e un quarto, nel tempo prestabilito dalla mia tabella di marcia.

Era un buon test, ma ora bisognava pensare alla ripida discesa verso i Poggi Pianeti e Cafaggio, in direzione NE. Durante questo tragitto sentimmo un forte rumore come di una moto fuori strada o di una sega a scoppio che disturbava ed inquinava l’aria in quel posto silenzioso e incantevole. Capimmo più tardi che due “lavoratori rumeni”, forse abusivi, stavano tagliando con accanimento piante di alto fusto invadendo completamente il sentiero e cancellandone ogni traccia. Cercammo invano di avvicinare quei due legnaioli per chiedere l’ubicazione del sentiero. Dovemmo riprendere a vagare a lume di naso passando sopra quel groviglio di piante abbattute alte oltre tre metri, con una ginnastica da veri funamboli, imprecando contro una distruzione così indiscriminata e senza tutela dell’ambiente naturale. E’ sempre l’uomo che non riesce a rispettare le regole distruggendo o abbattendo tutto ciò che lo circonda solo perché non è controllato o per i propri gusti o interessi personali creando uno squilibrio della natura e forse del clima. Così procedemmo alla cieca consultando ogni tanto il pizzino e la bussola per mantenere la direzione NE. Il tempo passava e noi non riuscivamo più a capire dove fosse finito il sentiero. La colpa era certamente di quelle fronde che ne celavano l’esistenza. Più in basso ritrovammo finalmente il nostro filo d’Arianna, appena accennato, ma cercammo di farcelo bastare e presso Case e Poggio Scarafone l’itinerario si fece più evidente, risalendo fino al M. Gennaro (m. 650), sopra il Comune di Vaglia a est. Qui una mandria numerosa di vitelle bianche stazionava al fresco dell’ombra di alti pini. Ma le mosche ci tormentarono e così dovemmo scappare verso Ovest da quel posto ameno. Passando per Poggio Le Pozze un cartello indicava “4 ORE” alle croci di Cadenzano. A me sembrò troppo ed incoraggiai Guidino perché la prima volta che ero passato da lì di corsa impiegai poco più di un’ora e mezza dal Poggio all’Aia al Passo delle Croci. Attraversammo, con varie salite e discese, i Poggi Santoro e Termine, Quercetina, Torricelli, Poggio del Tesoro ed arrivammo finalmente al Passo delle Croci di Cadenzano, a circa metà giro.

Ci fermammo a bere sul ciglio della strada asfaltata, davanti a un ristorante da cui proveniva un profumino invitante che sollecitava non solo l’appetito di Guidino. Io cercai di resistere alla tentazione di quell’allettante invito gastronomico e sollecitai gli amici a riprendere il cammino per il Monte Maggiore ancora lontano;  ma riconosco che fu una dura rinuncia a quella voglia. Oltre il Passo un tratto di strada asfaltata ci arrecò non poca noia ma io contavo di fermarci per la colazione al sacco presso il Rifugio della Forestale a Poggio a Luco. Qui giunti demmo fondo ai nostri viveri e a buona parte del rifornimento idrico a disposizione. Poi ci inoltrammo ancora nel bosco per risalire fino al cippo sul pianoro verde del Monte Maggiore a 916 m.. Lassù un gruppo di mucche dominate da un giovane toro pascolavano beatamente. Per noi non ci fu sosta perché quel toro si avvicinò minacciosamente forse attirato dalle nostre maglie rosse. Così scappammo giù per il sentiero per Foce ai Cerri, dove erroneamente prendemmo verso S.E. in direzione di Valibona, invece che verso sud. Dopo 2 o 3 chilometri ci accorgemmo dell’errore che ci avrebbe portato in direzione di Carraia. Allora tornammo tristemente indietro sui nostri passi per riprendere a discendere verso il Piano la Casaccia, da dove a destra parte il sentiero del Rio Buti per Filettole. Da questa piana a 617 m. ci aspettò l’ultima salita al Monte Cantagrilli, 200 metri più in alto. Da questa cima si domina la valle del Rio Marina e Marinella e di fronte, verso SE, il Monte Morello dove eravamo passati qualche ora prima. Quassù era finita parte della più faticosa salita. Riprendemmo il nostro trekking sulla sella erbosa dove numerosi cavalli bradi ed armenti brucavano il verde e dove  alcune cornacchie urlanti e spinte dal vento rincorrevano una poiana in caccia forse finita fuori zona. L’ambiente era idilliaco, come se il tempo si fosse fermato, non inquinato dall’uomo e fuori dal mondo moderno.

Passammo in silenzio,  sentendoci degli intrusi, cercando di non turbare la semplicità agreste di quella pace. Il crinale della Caldana si fece più evidente fino a quando si iniziò la discesa dalla croce della Retaia a m. 768. Da questo punto panoramico disboscato si domina sul lato occidentale tutto il corso del fiume Bisenzio che brillando scende verso Prato e sul lato orientale i vari Rio calano a Travalle nel torrente Marinella, verso La Querce nostra meta finale del giro. Mancavano ancora più di tre ore di marcia ma ormai le gambe erano rodate e sciolte e nutrivamo fiducia di farcela in tempo utile prima del crepuscolo. Passammo sul Poggio Pianerottolo e sul Poggio Bartoli. Qui un nuovo errore di marcia ci fece perdere un’ora alla ricerca di un passaggio tra alte ginestre e rovi, dovendo tornare indietro per ritrovare il sentiero giusto. Dalle case Castiglioni prendemmo a salire l’ultimo breve pendio per Poggio Castiglioni, da dove il sentiero, assai ripido, ci permise di scendere velocemente i trecento metri di dislivello finali (ben segnalati) che ci separavano da La Querce.

Si concluse finalmente alle 19,15, dopo 12 ore, quella lunga maratona non competitiva su quel ferro di cavallo per crinale dal Monte Morello ai Monti della Caldana con circa 45 chilometri di “geoescursionismo”, 1700 metri di dislivello in salita e 1900 metri in discesa.

Desidero ringraziare gli amici Nelusco e Guidino per avermi permesso di realizzare un mio vecchio sogno, pur con un  tempo un po’ allungato dovuto soprattutto alla scarsità di segnaletica, ma sono convinto che anche per loro  questa è stata una bella esperienza e un tuffo nella natura e in un habitat che ci auguriamo possa essere ricordato e conservato per lungo tempo.

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