“il Monte Piana monte di guerra, orizzonti di pace” di Gabriele Baggiani & Alfio Ciabatti

Annuario 2008

Nel 2008 ricorre il 90° anno dalla fine della Prima Guerra Mondiale.Una guerra che ha segnato profondamente la nostra storia ed è stata combattuta in modo aspro e sofferto sulle nostre montagne … La Sottosezione di Scandicci ha realizzato, nel giugno 2008, una escursione in questa splendida zona dolomitica ma anche sede di violenti combattimenti.

Una vecchia cartolina del Monte Piana

Il camminare ci porta da sempre a visitare ed esplorare luoghi attraversati dalla storia recente e passata; luoghi dove persone ed eventi hanno in qualche modo segnato il territorio, trasformandolo sia fisicamente che nei costumi e nei ricordi impressi negli occhi e nella mente di chi, bambino o adulto, li ha vissuti in prima persona. Se pensiamo alle dolci colline della Val D’Orcia ricoperte da un manto di grano dorato, non ci rendiamo conto che solo cento anni fa quelle erano terre di fame e sofferenza dove chi poteva se ne andava in cerca di fortuna. Passeggiando lungo i sentieri che collegano Scarperia a Firenzuola, attraverso il passo del Giogo non si pensa mai che i nostri antenati, sin dal trecento, erano adusi percorrere i medesimi sentieri per effettuare i loro commerci.
Pensando alle Alpi, ed in particolare alle Dolomiti, la nostra memoria non può non tornare agli eventi drammatici che negli anni dal 1915 al 1918 l’hanno vista protagonista. La I° Guerra Mondiale, la Grande Guerra come la ricordano i vecchi, ha visto i maggiori stati europei confrontarsi in una guerra nata secondo i dettami tattico-strategici del secolo precedente, ma presto trasformatasi in una guerra di posizione fatta di trincee, fango, freddo e pidocchi. Sui passi e sulle cime dolomitiche, italiani ed austriaci intrapresero battaglie durissime con gravissime perdite da ambo le parti. Nei tre anni e mezzo di guerra, nello stillicidio quotidiano di offensive, colpi di mano e battaglie locali, migliaia e migliaia di soldati da ambo le parti persero la vita sulle cime rocciose e nevose delle Dolomiti o tra i prati verdeggianti delle sottostanti vallate. Ogni roccia, ogni sentiero, trincea o galleria scavati tra questi monti, racconta il dramma umano di giovani uomini strappati alle loro occupazioni quotidiane in nome di una guerra voluta dall’alto, che li aveva resi nemici.
La storia del Monte Piana durante la I Guerra Mondiale
Il Monte Piana è una montagna delle Dolomiti alta 2.324 m; situato fra il Veneto nel comune di Auronzo, e l’Alto Adige nel Parco naturale Dolomiti di Sesto, si inserisce fra le Tre Cime di Lavaredo ed il lago di Misurina. Esso incombe sulla Val di Landro e sulla Valle Popena bassa, e sovrasta a occidente il Lago di Landro e a nord-est la Val Rimbianco e la Valle della Rienza.

Il Comando Italiano del Monte Piana

Isolato, tozzo, nudo, col tipico aspetto della dolomia infraraibliana. Quattro pareti ripide (due sul versante austriaco – ovest e nord – e due sul versante italiano – sud ed est) ed in alto un tavolato piano, bipartito da una sella, dalla quale scendono rapidamente due valloncelli brulli (più largo e meno ripido quello rivolto ad est, il “Vallon dei Castrati”). Ampio il pianoro o tavolato sud; piccolo e leggermente foggiato a cupola il pianoro o tavolato nord. In guerra si è chiamato “Monte Piana” il pianoro sud e “Monte Piano” il pianoro nord” (Antonio Berti, “Guida dei Monti d’Italia – Dolomiti Orientali”. Vol. I – parte 19; CAI – TCI.) Data la sua struttura, che strategicamente controllava le comunicazioni tra la Val Pusteria ed il Cadore, durante la Prima Guerra Mondiale le truppe italiane ed austriache si attestarono e si confrontarono sulle cime di questo monte per una lunga e logorante guerra di posizione. Gli italiani occuparono la parte meridionale (il Monte Piana) mentre gli austriaci, naturalmente, occuparono la parte settentrionale (il Monte Piano). Nel maggio 1915, all’atto della dichiarazione di guerra, gli austriaci abbandonarono le posizioni occupate sul Monte Piano così come altre cime della zona, per ritirarsi nei punti fortificati della Val di Landro. Pochi giorni dopo gli alpini occuparono la cima sud di Monte Piana. La notte del 7 giugno 1915 gli austriaci, dopo una intensa preparazione di artiglieria e aspri combattimenti, si attestano nuovamente sulla cima nord. Il 19 luglio il comando italiano lanciò un assalto alle posizioni austriache: supportati dall’artiglieria, gli alpini diedero l’assalto alle trincee nemiche conquistandone le posizioni. Tale successo fu però solo temporaneo; infatti, dopo pesanti bombardamenti provenienti dalle postazioni austriache di Malga Specie e Monte Rudo, gli austriaci contrattaccarono e costrinsero l’esercito italiano a ritirarsi sulle posizioni di partenza, riconquistando la cima nord. A partire da questo momento, i due eserciti cominciarono a confrontarsi in una guerra statica: si diede così inizio alla costruzione di trincee, caverne e gallerie nella roccia per il riparo dei soldati e la difesa di pochi chilometri di terreno. Distanti solo poche centinaia di metri, i due eserciti si confrontarono per 27 mesi ancora, in un crescendo di assalti nello stillicidio quotidiano di vite umane, per la conquista di una posizione divenuta suo malgrado un punto chiave nelle strategie di guerra.
Sulla cengia austriaca lato nord del monte Piana

Alla fine di ottobre del 1917, gli austriaci mettono in atto un poderoso attacco, che sarà anche l’ultimo nell’area:
Il giorno 21 ottobre alle 6 il mortaio posizionato presso il Rifugio Tre Scarperi ed un razzo lanciato dalla Torre di Toblin danno inizio all’attacco. Per 13 ore l’artiglieria austriaca scarica più di 1000 colpi sulle linee italiane. Durante la notte del 22 il bombardamento varia di intensità fino a diventare normale su tutto il fronte tranne sul Monte Piana. Il 22 ottobre si presenta freddo e nebbioso. Alle 5 un colpo del 305 della Innerfeldtal ed un razzo lanciato dalla Torre di Toblin segnano l’inizio del tiro di distruzione e contemporaneamente un barilotto esplosivo viene fatto rotolare da Monte Piano contro la Trincea degli Alpini. Più di 100 pezzi, bombarde e lanciamine concentrarono il fuoco sulla Ghirlanda per non più di 10 minuti mentre i Kaiserjäger scendevano ai reticolati. Cessato il tiro, questi tentano di scavalcare il groviglio dei reticolati, ma vengono respinti dalle mitragliatrici italiane. Poco dopo il tiro austriaco riprende con maggior violenza anche per battere il Vallon dei Castrati, dal quale gli austriaci pensavano che affluissero le riserve italiane. Ma stavolta rispondono tutti i pezzi italiani di Valle Ansiei e della 6ª sezione someggiata dallo Zurlon, Cresta Bianca, Tre Croci, Crepe di Zumelles e Valgrande.Nonostante l’intervento dell’artiglieria, la sezie mitragliatrici del battaglione complementare che sbarrava il Vallone dei Castrati perde il comandante e molti mitraglieri.
Inoltre parte della Ghirlanda cade nelle mani delle fanterie tedeschedell’Alpenkorp, del Wüttemberg e del Bradeburgo, usando i lanciafiamme contro gli italiani asserragliati presso la Guardia di Napoleone. Vengono così annientati 3 plotoni del 54° mentre il quarto rimane asserragliato lungo la linea dei nidi-scoglio con dietro il dirupo di Val Rimbianco. Quel plotone resistette a bombardamenti e attacchi vari ma non cedette il ramo di Ghirlanda, sicchè gli austriaci non riuscirono a passare dalla parte del Fosso Alpino, ma nemmeno ci riuscirono dall’altra parte (Forcella dei Castrati).
Intanto il V Reparto d’Assalto sbocca dalla galleria difensiva e si dispone per il contrattacco: il plotone del ten. De Simone fu il primo a lanciarsi dal fianco destro della Guardia di Napoleone. Si infila tra la destra della Guardia di Napoleone e la sinistra della Trincea dei Sassi e l’unico modo per uscirne è superare frontalmente la seconda. Giunti al corpo a corpo, gli italiani vengono sopraffatti, i pochi supersiti ridiscesero strisciando alla testata del Vallone dove nel frattempo erano giunti gli altri plotoni e la sezione lanciafiamme. L’artiglieria italiana batte per tutta la notte la trincea conquistata dagli austriaci e li costringe a ripiegare nella Trincea dei Sassi. La confusione che si viene a creare nei comandi austriaci e la situazione generale comunque non consona alle aspettative fà desistere il comando austriaco che decide di ritentare l’azione la notte successiva.
Intanto ogni 15 minuti il 280 del passo Tre Croci scaricava un colpo sulle posizioni austriache. Alle 5 tutte le batterie italiane della zona concentrano il fuoco sulla Trincea degli Alpini e sulla Ghirlanda ed alle 6 gli Arditi compaiono dalla parte della Forcella anzichè dalla parte del Fosso, dove li attendevano gli austriaci. La sorpresa fu totale e le posizioni vennero riconquistate di slancio dal I/54° del Magg. Piacenza
” (Tratto dal sito  www.frontedolomitico.it) Nonostante l’apparente insuccesso, l’attacco permette agli austriaci di distogliere l’attenzione del comando italiano dal settore del fiume Isonzo. E’ il 24 ottobre 1917 quando le armate austro-ungariche sfondano le posizioni occupate dalla II armata italiana presso Caporetto e, nel successivo avanzamento di fronte passano l’Isonzo. Per gli italiani non resta che effettuare una ritirata strategica: il 3 novembre 1917, alle ore 17:00 le truppe alpine della IV armata, denominata armata delle Dolomiti, ricevono l’ordine di abbandonare le postazioni occupate sul Monte Piana per ripiegare sulla nuova linea di difesa che, facendo perno sul Monte Grappa si estende a ovest lungo il Pasubio e ad est lungo il Piave. Siamo comunque oramai al termine della guerra: il 30 ottobre 1918 le truppe italiane rioccupano il Cadore a seguito della ritirata degli austro-ungarici ormai demotivati e ridotti alla fame. La guerra finirà dopo pochi giorni.
La vita dei soldati al fronte
Nonostante la censura operata dai comandi dell’esercito, la corrispondenza dal fronte fra i soldati ed i propri cari, assieme ai diari tenuti dai soldati stessi, rappresenta una delle maggiori fonti di documentazione disponibili per cercare di capire la vita di trincea in montagna, tra freddo e privazioni. Gli uomini, i giovani, i ragazzi lasciavano le loro case dirigendosi verso il fronte con la divisa indosso, accompagnati dai loro cari: genitori, mogli, sorelle, fidanzate. Il berretto di feltro tenuto fermo dal sottogola stretto al collo, il moschetto in spalla, il pesante zaino sulle spalle e la coperta arrotolata e legata in un lungo salsicciotto, messa a tracolla. Alla stazione, una fascia azzurra stretta al braccio dei soldai italiani indicava chi era destinato alla prima linea. Al fronte, in prima linea, lassù in montagna, la sensazione più frequente era il freddo e l’umidità:
26 [Febbraio n.d.r.]) servizio la notte fu bruttissima, neve, vento, freddo, batteva i denti assieme, e i piedi non li sentiva nemmeno baccati” (Diario di Celeste Poli. In “Scritture di Guerra”, Museo Storico in Trento, Museo storico italiano della guerra, Rovereto. Vol. 9, pag. 86.3).
I luoghi dove rifugiarsi erano pochi, e le poche costruzioni che si trovavano in montagna potevano essere oggetto di attacchi:
25 [Novembre n.d.r.]) siamo partiti e andati in asiago in una grande casa tutta rotta la abbiamo dormito ma éra freddo la mattina verso le 10 del (26) colla il nemico sparò 3 o 4 colpi d’artileria, e allora siamo scappati tutti nella caneva [cantina, n.d.r.], uno fu ferito dai sassi che cascarono dal muro. In questa caneva ci dove star la fino a notte sempre in piedi perche da sentarsi [sedersi, n.d.r.] non c’era posto, e freddo […]” (Diario di Celeste Poli. In “Scritture di Guerra”, Museo Storico in Trento, Museo storico italiano della guerra, Rovereto. Vol. 9, pag. 132).
E non stupisca dunque che le cause più frequenti di morti erano il freddo, le malattie, le scarse condizioni igieniche, più che le ferite di guerra (“Immagini e Documenti”, a cura di G. Boni, D. Savoia; scritti di R. Balzani, P. Cavanna. Società editrice “Il Ponte Vecchio”; novembre 2000. Pag. 20-23).
Il  26 novembre 1915 si segnalano 70 cm di neve fresca ed inizia così un nuovo tipo di guerra: quella contro i rigori dell’inverno. Una nota del tempo informa che il 13 dicembre 1916  si hanno 7 metri di neve e -42°: la morte bianca in questo periodo fece più vittime degli scontri a fuoco. In alcune giornate il cambio avveniva dopo soli 30 minuti per evitare il pericolo di congelamenti. Le valanghe facevano più vittime dei combattimenti. I soldati erano costretti a fare la guardia a punti strategici arroccati in postazioni isolate dove ci si ritrovava da soli assieme alle proprie inquietudini:
7 [Maggio, n.d.r.]) di nuovo mi fecero andare 3 ore in su in un brutto luogo il suo nome era il bucco della volpe. Si stava proprio male pace non si aveva ne giorno ne notte sempre esposto al per[icolo]e in’oltre ‘alti di restelera [significa che c’è poco da mangiare o si rimane senza, n.d.r.], insomma di tutto fuor che di bene. Pazienza e quanti sforzi feci per salvare la mia pelle, tedeschi spropositi che facevano tremare a sentirli io invece preghava anche per loro […]” (Diario di Celeste Poli. In “Scritture di Guerra”, Museo Storico in Trento, Museo storico italiano della guerra, Rovereto. Vol. 9, pag. 122.).
Perché la vita per i soldati al fronte, sia sul versante tedesco che su quello italiano, era la stessa, fatta di provazioni, di sofferenza e solitudine, nel tentativo di salvare la vita e ritornare a casa dai propri cari.
Il Museo Storico all’aperto di Monte Piana
Sempre più spesso i luoghi teatro di sanguinose battaglie, per la conquista di isolate posizioni considerate strategiche dagli alti comandi militari, sono oggetto di un’attenta e amorosa opera di recupero e salvaguardia. Non è da meno il Museo Storico all’aperto di Monte Piana, la cui realizzazione è stata avviata nel 1977 ad opera del Colonnello austriaco Walter Schaumann e continuata successivamente dal gruppo “Amici delle Dolomiti”, per essere inaugurato nel 1981 durante l’incontro della prima domenica di settembre dedicato alla commemorazione dei caduti. L’area museale inizia dal rifugio “Maggiore Bosi” (m. 2205), punto di partenza per la visita. Dal rifugio parte il sentiero che, attraverso la Forcella dei Castrati attraversa le due parti della montagna, ovvero il Monte Piana con le postazioni italiane ed il Monte Piano con le postazioni Austriache. Lungo il percorso è possibile vedere le trincee che corrono lungo tutte le aree, scavate nella terra e nella roccia bianca e le innumerevoli buche formate dalle esplosioni degli shrapnel. All’interno delle trincee sono visitabili punti di osservazione, ricoveri con i resti delle coperture di legno e cartone catramato, postazioni di artiglieria e di mitragliatrici, oltre a cucine da campo, pali di teleferiche e linee elettriche e l’immancabile filo spinato. All’interno delle trincee è possibile ancora oggi trovare resti della vita quotidiana dei soldati che quasi cento anni fa le hanno scavate ed all’interno delle quali vi hanno vissuto: resti di suole, fibbie di ferro, o ancora latte di cibo.
Di particolare interesse e tipiche della guerra in montagna, sono le gallerie scavate nella roccia; in particolare la “galleria italiana di attacco”, costruita circa all’altezza della forcella dei Castrati presso la Guardia Napoleone, la “galleria italiana di mina”, costruita per raggiungere le postazioni austriache da sotto per farle saltare con la dinamite e la “galleria dei Kaiserjaeger”, lunga 270 metri ed illuminata elettricamente, che costituiva l’accesso alle postazioni austriache. Dal 1983 il “Gruppo Volontari Amici del Piana” si occupa di una paziente opera di recupero e mantenimento del Museo, intervenendo nel ripristino di tutti quegli elementi danneggiati continuamente dalle intemperie e dal disgelo. I volontari puliscono le trincee, ricostruiscono tratti di muro a secco crollati, ripristinano la struttura in legno dei ricoveri, curano l’accesso e la segnaletica alle valli circostanti. Il Museo Storico all’aperto di Monte Piana oggi rappresenta un’occasione unica per vedere, camminare e toccare con mano luoghi attraversati dalla storia di un recente passato oramai sempre più avaro di testimoni diretti, i cui fatti si possono in larga misura solo leggere sulle pagine dei libri di storia.
L’escursione al Monte Piana
Finalmente lasciamo l’auto al parcheggio poco dopo il lago di Landro. Siamo passati per il Cadore e dopo la serie interminabile di paesi lungo la valle del Boite, attraversando Cortina arriviamo al punto di partenza della nostra escursione. Dopo una breve sosta tecnica a base di strudel, iniziamo la salita del Monte Piano per il sentiero dei Pionieri, quello più ripido, che dal lago sale direttamente alla cima nord, 800 mt sopra di noi, ed usato dalle truppe austriache durante la Prima Guerra Mondiale. Il percorso di salita non appare evidente immediatamente allo sguardo: un ripido costone erboso inframmezzato da pareti rocciose si pone davanti a noi. Il sentiero si rivela comunque ben tracciato, si snoda sulla parete e si capisce immediatamente che è stato lavorato: le parti sulla parete rocciosa sono state scavate per permetterne un’agevole salita. Alcuni tratti esposti sono resi sicuri da un corrimano in cavo di acciaio.
Dopo innumerevoli svolte del sentiero, passato il piccolo cimitero austriaco, si raggiunge il luogo dove era posto la sede del Comando Austriaco poco sotto la cima nord. Immediatamente ci si rende conto delle difficoltà tecniche e della arditezza delle opere. Il sentiero ora percorre la cengia che con buona esposizione ma sempre in sicurezza, porta alla cima nord dove c’è la croce di Dobbiaco. Siamo sulla cima, sudati; lo strudel è ormai un lontano ricordo. Dopo 3 ore di salita, ci troviamo improvvisamente su un altopiano esteso. In genere in Dolomiti la vetta è ristretta, qui invece la cima è un ampio pianoro che si contrappone fortemente ai suoi versanti ripidi. Lo sguardo ora corre a 360° dal Cristallo, con il suo versante nord ancora innevato, alla Croda Rossa, al Sorapis, all’Antelao e soprattutto a quel monumento che natura ha fatto alle montagne: le tre cime di Lavaredo.
Soddisfatti iniziamo la traversata verso il rifugio Bosi dirigendoci verso la parte sud del Monte Piano. In silenzio tra trincee e fili spinati il mio pensiero va a quei soldati che qui hanno camminato, corso, parlato, sparato, mangiato, salutato, riso e pianto. A quelli che sono morti in nome di un ideale, ad altri che sono morti semplicemente perché obbedivano a coloro che comandavano. Immerso in questi pensieri vengo risvegliato da Paolo che mi dice di allungare il passo perché sta scendendo la nebbia e dobbiamo arrivare ancora al rifugio. Il rifugio Bosi non è propriamente una struttura di alta montagna, è un alberghetto e ci si arriva anche con una strada privata da Misurina. È situato dove c’era il comando italiano. A cena siamo solo noi ed un gruppo di austriaci venuti su per la serata. La cena tra polenta e strudel innaffiata da un buon vinello riesce a interrompere i pensieri. Il piccolo ma interessante museo allestito all’interno del rifugio illustra il teatro dei combattimenti di quegli anni con reperti che vanno dalle armi alle cose più di uso quotidiano, come gavette e posate. Le foto dell’epoca con le didascalie echeggiano ancora di eroismi di un tempo.
La mattina successiva con il tempo decisamente meglio della sera precedente, iniziamo il percorso prefissato. Visitiamo sistematicamente gallerie invase dall’umidità, finestre aperte sulle pareti dalle quali si scorgono panorami mozzafiato, che ci permettono di immaginare che cosa potesse essere la guerra in quegli anni. Il percorso preparato con precisione da Paolo Brandani e Gabriele Baggiani, si snoda dalla parte sud occupata dagli italiani a quella nord occupata dagli austriaci. Il dedalo di trincee, ricoveri e gallerie mi fa pensare a quanto lavoro è stato fatto e le condizioni di vita di quei giorni. Mentre percorriamo una delle cenge improvvisamente sbucano sotto di noi un branco di camosci. Hanno sicuramente più dimestichezza di noi in questo ambiente. Scendono per un ripido canalone e scompaiono alla vista fra mughi e abeti. Camminiamo in un certo silenzio, come per rispettare i morti di allora. Intorno a noi non c’è molta gente, d’altra parte i più conoscono solo zone più note come l’area del Falzarego. Ma spesso sono proprio gli ambienti fuori dagli itinerari convenzionali ad offrire maggiore autenticità. Attraversiamo trincee, ricoveri, posti di vedetta. Ripensando ad allora si nota subito che l’ambiente particolare non offre ripari naturali e con la tecniche di combattimento di quei tempi, ci si rende conto perché le posizioni degli schieramenti sono rimaste pressoché invariate per tutta la durata della guerra. Terminiamo la visita a queste testimonianze con una sosta ristoratrice. Cominciamo quindi la ridiscesa dal Monte Piana, attraverso il vallone dei Castrati, verso la valle di Rimbianco e dopo un breve ma rilassante pediluvio nel torrente di fondo valle, in breve siamo di nuovo a Landro.
Riguardo il Monte Piana e mi fa un effetto strano. Riecheggiano dentro di me ricordi, foto, storia di un tempo passato. La memoria di una parte della nostra storia che oggi stentiamo a ricordare per quello che realmente fu. La parte culturale finisce sulla riva del lago di Dobbiaco davanti ad un enorme piatto di patatine fritte con delle birre fresche talmente buone e talmente necessarie che riteniamo non abbiano alterato il tasso alcolico prima del viaggio di rientro.
L’itinerario
Il primo giorno si affronta l’avvicinamento al Monte Piana seguendo il sentiero detto “Sentiero dei Pionieri” (alta via n° 3) che parte dalla Val di Landro, dal parcheggio a sinistra a nord del Lago di Landro per arrivare sulla sommità nord-occidentale del monte, presso la Croce di Dobbiaco. Da qui, sempre seguendo l’alta via n° 3 ci si dirige a sud verso la Forcella dei Castrati per poi prendere il sentiero n° 122 e dirigerci al Rifugio Magg. Angelo Bosi (2205 m; h 0,45 da Monte Piano). Nonostante il percorso che parte dal lago di Misurina sia il più comodo e breve per arrivare al Rifugio Bosi, il sentiero dei Pionieri proposto risulta sicuramente essere più bello sia sotto il profilo paesaggistico ed alpinistico che per i reperti che si possono trovare lungo il percorso.
Il secondo giorno si parte dal rifugio alla scoperta delle postazioni italiane ed austriache. Si oltrepassa la cappella ai caduti alle spalle del rifugio e risalendo lungo il crinale del monte, si raggiungono le indicazioni – sulla sinistra – dell’inizio del Sentiero Storico. Il sentiero segue il margine sud-occidentale della cupola sommitale del Monte Piana, attraverso una serie di saliscendi (per un dislivello complessivo di 120 mt distribuiti lungo il percorso) e lungo qualche tratto attrezzato con corde fisse, permettendoci di raggiungere e percorrere le trincee italiane, ancor oggi visitabili, dalle quali è possibile godere di splendide vedute sulla Val di Landro e sul Monte Cristallo. Raggiunta nuovamente la sommità del tavolato nei pressi di una grande croce, è possibile visitare “l’Osservatorio Italiano”, un’interessante postazione raggiungibile attraverso una esposta cengia e che consta di due ambienti in caverna con finestroni dominanti Carbonin. Dall’Osservatorio Italiano, si transita poi nei pressi della Piramide Carducci, per seguire poi il sentiero che taglia in diagonale e scende, fra caverne e trincee, all’ampia e verdeggiante Forcella dei Castrati (2272 m, h 1 dal Rifugio Bosi). Da qui, si segue il sentiero 6a  sul versante di Rimbianco, dove è possibile visitare le postazioni di guerra austriache e ancora, risalendo il largo pendio sempre cosparso di postazioni e trincee, raggiungeremo la sommità nord del complesso montuoso, detta Monte Piano (2320 m). Percorrendo poi la calotta sommitale, costituita da rocce fratturate da erosione, si raggiunge così l’estremità Nord, dove sorge la Croce di Dobbiaco (2305 m, h 1,30 dal Rifugio Bosi) e dove è possibile godere della fantastica vista a volo d’uccello sul Lago di Landro, sul Monte Cristallo, sulle Tre Cime di Lavaredo e sui Rondoi-Baranci. Da qui ci avvia sulla strada del ritorno: poco prima di raggiungere la forcella dei Castrati, si svolta a sinistra passando accanto alla Guardia Napoleone e poi lungo il ripido sentiero che scende per il vallone dei Castrati nella valle di Rimbianco. Da qui un comodo sentiero porta alla confluenza con quello che sale alle tre cime di Lavaredo. Si prende a sinistra ed in breve passando sotto il versante nord del M. Piano, si ritorna al parcheggio delle auto.

Conclusioni
Come anticipato nell’introduzione a questo breve scritto, l’escursione al Monte Piana vorrebbe essere il primo di una serie di iniziative ed incontri con i quali la Sottosezione CAI di Scandicci vorrebbe affrontare in modo rinnovato la montagna ed il microcosmo che la circonda. Conoscere meglio i luoghi ove la passione per il camminare ci porta, ci permette di apprezzare e godere in modo più profondo e partecipato i sentieri, i boschi ed i paesaggi che la natura ci ha donato. Speriamo che questo modo di vedere e vivere la montagna venga condiviso dai soci e dagli amici, in un rinnovato spirito di partecipazione e coinvolgimento, che trascenda la semplice passione o lo sport per concretizzarsi in una rinnovata filosofia di vita.

La finestra di un osservatorio sul monte Piana

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