Maggio 2008
Non molti sanno che a Stia, delizioso paese dell’Alto Casentino, esiste un Museo o meglio ne esistono due e presto saranno tre, curati tutti dalla stessa persona: il primo dedicato al mondo dello Sci,
il secondo ad una rassegna della Civiltà Contadina e l’Arte del Lavoro, quello che verrà, si spera a breve, offrirà un’esposizione ornitologica che si avvale del residuo materiale collezionato, a suo tempo, dai fratelli Beni che, della zona, sono stati appassionati conoscitori, estimatori, divulgatori.
Tempo addietro sono andato a trovare Lando Landi, l’appassionato curatore dei vari complessi, lui stesso attivo ed assai valente artefice dì lavori in legno tratti da rami, tronchi, radici; un personaggio che già conoscevo ma del quale non avevo vista alcuna realizzazione, cosa che è avvenuta solo in occasione di un soggiorno a Stia degli amici del C.A.I. di Brescia; non potevo quindi immaginare quanto vaste fossero le sue conoscenze storiche ed artigianali, quanto piacevole fosse la sua Arte del narrare. Sono rimasto vivamente colpito dalla complessità dell’uomo e da quanto, nel corso del tempo, con paziente, certosina fatica, grande competenza ed immenso amore per la sua terra, ha saputo metter su, essendo in grado di parlare, grazie ad una memoria di ferro e ad una cultura non comune, dei più vari argomenti con vivacità e grande realismo.
Lando è una persona d’altri tempi, anche nel fisico; se lo dovessi definire, la
prima parola che mi viene in mente è “risorgimentale”, lo vedo innanzi ad un pubblico ottocentesco, intento a parlare pacatamente, come è nel suo stile, e l’uditorio attento ad ascoltarlo, tanto efficace risulta la sua affabulazione, senza che insorga noia alcuna; la parola corre spigliata, puntuali giungono le citazioni, precisi i ricordi; nessuno che lo interrompa, che dispiace fargli smarrire il filo di una così calda conversazione e perdere così qualche ulteriore contributo del suo coinvolgente colloquio. Occhi vivi, mobilissimi, pungenti, su di un volto non giovanissimo, incastonato da una barba imponente che lo distingue fra mille, il tratto signorile, la voce suadente che sottolinea puntualmente l’argomento. Lando è persona che, una volta conosciuta, vien voglia di incontrare nuovamente e poi ancora, certi che ogni occasione sarà motivo di arricchimento, di scoperta, in ogni caso di nuove emozioni.
Il Museo dello Sci è quello del quale Stia e lui stesso, possono andare orgogliosi poiché, questa è la sua testimonianza, nella sua completezza, pare essere veramente unico: a partire dal primo utilizzo che, di questi strumenti, è stato fatto per lavoro o per semplice spostamento, fino ai nostri supertecnologici giorni, una carrellata puntuale e completa dì quanto lo Sci ha rappresentato e rappresenta all’incirca negli ultimi cento anni, durante i quali da mezzo utile e divenuto simbolo di una vastissima attività mondiale.
Il locale che accoglie la rassegna si trova in una stretta stradina del Borgo Vecchio di Stia, vi campeggia un’appropriata insegna, la sala assai lunga pare fatta apposta per iniziare e terminare un percorso circolare che, alla fine, riesce a soddisfare praticamente e storicamente ogni curiosità che abbia spinto il visitatore ad entrare. L’esposizione è ordinata cronologicamente per dar modo a chi osservi di farsi un’idea dell’evoluzione costante e del progresso tecnologico, dell’incredibile varietà che il “legno” originale è andato assumendo per soddisfare, nel tempo, l’esigenza di costruttori e fruitori. Accompagnano i vari pezzi che provengono da svariati Paesi, Regioni e città, cartelli esplicativi, foto, ritagli di giornale, pubblicità, pettorali di gara, gagliardetti e via dicendo, tutto ciò insomma che, appartenendo a questo composito mondo, formi un unicum di impareggiabìle impatto. Orbene, su ogni oggetto, Lando avrebbe qualcosa da dire, se non lo fa, limitandosi solo ad alcuni, è perché altrimenti la visita si protrarrebbe oltre un limite ragionevole; ogni curiosità viene soddisfatta, le sue parole appropriate arricchiscono ciò che l’occhio vede; la cultura, quella vera, è fatta anche di cose semplici, qui se ne ha la prova. Il valore intrinseco del Museo dello Sci, un unicum nel panorama di questa attività per ammissione dello stesso curatore, si misura dalla capacità di rendere questo esercizio così amato e praticato, attraverso una panoramica a tutto campo, comprensiva anche di contributi che non si riferiscono propriamente allo Sci ma che, del mondo della neve, ne fanno parte a pieno titolo. Troviamo così il bob, antenato di quelli modernissimi di oggi dall’aspetto spaziale, le ciaspole, i vari modelli di bastoncini, i ramponi, le pelli per lo scialpinismo, la cabina della bidonvia, la slitta e naturalmente una rassegna incredibile di “legni”; e poi possiamo vedere ancora immagini delle località d’elezione, il ricordo delle gare e dei protagonisti, le foto, le pubblicità: insomma non manca veramente nulla ed inoltre il Museo è destinato a crescere in quanto, di tanto in tanto, arrivano pezzi nuovi da parte di appassionati che, riconoscendo l’importanza della mostra, sono interessati ad essere rappresentati, come mostrano puntualmente le varie etichette. Richiesto di un intervento su qualsivoglia pezzo, e sono veramente tantissimi, Lando ha la risposta pronta, sia che si tratti di un aspetto tecnico da porre in rilievo, sia che testimoni l’appartenenza a qualche famoso personaggio, sia che si tratti di un pezzo unico, fabbricato a proprio uso e consumo da un più o meno noto appassionato; e poi un fluire di notizie, episodi storici, aneddoti, racconti, insomma un’immersione totale che incanta, a maggior ragione perché, lui praticamente da solo, è riuscito a legare tutto quel po’ pò di materiale proveniente dalle nevi di ogni Paese.
Ma l’opera, poliedrica di Lando non si esaurisce, come accennavo all’inizio, nella “temeraria” impresa del Museo dello Sci, capace di mettere in difficoltà anche un esperto di buona volontà; c’è un altro “gioiello” a Stia, contiguo al precedente, si tratta di quello che ho definito Museo della Civiltà Contadina o, con un’accezione che mi piace di più, come Museo dell’Arte del Lavoro. Qui non siamo sul terreno dell’esclusiva originalità, molti altri ve ne sono nelle nostre Regioni, sorti specialmente in tempi più recenti per dar vita ad una rivalutazione di quanto era stato liquidato con troppa semplicità, io stesso ho avuto il piacere di visitarne diversi, trovandoli assai interessanti e necessari perché certa memoria non vada perduta.
La rassegna, ospitata in un ambiente originale e particolarmente pertinente, si avvale all’ingresso, di una serie di lavori in legno dello stesso Lando, ricavati da particolari conformazioni arboree, individuate evidentemente in ripetute uscite solitarie, poi da lui riviste, riadattate e lucidate sino a dar loro sembianza di volti umani; il risultato che ne consegue consiste nella multiformità delle forme, delle espressioni, dei movimenti che mostrano tutta la fantasia, la poesia e la capacità del Nostro Artigiano. Sì passa poi all’esposizione vera e propria di oggetti, in metallo od in legno, per la maggior parte costruiti in proprio, che hanno consentito ai nostri avi, poveri di risorse economiche ma ricchi d’ingegno, di dotarsi di tutta una serie di strumenti che hanno permesso loro di risolvere i vari problemi del lavoro quotidiano con modestissimo impiego di materiale.
Di ogni pezzo che illustri sin nei minimi dettagli, Lando parla con estrema proprietà ed affetto, l’espressione degli occhi segue vivacemente l’esposizione, viene da pensare che, quei pezzi, li abbia creati lui o quantomeno li abbia tutti maneggiati, tanti sono i particolari e la precisione che accompagnano la sua esposizione. Molteplici e sorprendenti sono le originalità, a dimostrazione di quanto, necessità e fantasia, accompagnino il contadino ed il boscaiolo, l’operaio addetto alla fluitazione dei tronchi ed il calderaio, lo stagnino ed il falegname e via dicendo.
Ho avuto la sensazione, seguendo i suoi ricordi e le sue conoscenze, il racconto che procede limpido e puntuale che, in questa sezione Lando si ritrovi con ancora maggior soddisfazione, anche per quella manualità che lo distingue e lo accomuna ai predecessori costretti a far di necessità virtù. E’ anche, a mio parere, la rassegna che maggiormente si collega alla civiltà ed all’esperienza casentinese, quella che testimonia, più di ogni altra, un’epoca scomparsa, che evidenzia la comunanza del lavoro fra uomini ed animali, che testimonia l’ingegno di persone semplici, non certamente di alta istruzione e formazione, non a caso ho parlato di Arte, di quella virtù innata che trova d’istinto le soluzioni migliori per rendere, nel nostro caso, l’impegno più preciso e sopportabile.
Nel cortile, nelle vetrine, all’interno scorre, innanzi ai nostri occhi, una serie infinita di oggetti, semplici o complessi, non tutti facilmente riconoscibili, non tutti certamente noti alla nostra esperienza di cittadini o di nati in tempi più recenti quando, certi lavori e certi mezzi, erano stati superati e poi abbandonati per far posto alle macchine. Ecco, proprio a questo punto, si impone un momento di riflessione derivato spontaneamente da questa visita: se è vero che le macchine e la tecnologia hanno largamente confortato l’uomo, è altrettanto vero che da tutti questi oggetti, ora morti ma un tempo vivi ed usati, prorompa un lampo di genialità, cosa che, il mezzo meccanico, pur sofisticato, difficilmente riuscirà a darci. Ma Lando non sarebbe Lando se non avesse anche altri interessi: fra gli altri ha mostrato di essere un interessato e competente raccoglitore di documenti storici ottocenteschi che mostrano quanto fervore di intenti vi fosse in Casentino, quanti uomini, oltre al noto Avv. Carlo Beni, provassero interesse e volontà di valorizzazione di questa terra che sapeva tanto di lavoro e beneficiava assai poco di conoscenza e turismo.
Erano pochi forse allora in grado di lanciare o recepire il messaggio ma l’importante consisteva nel gettare il seme e devo dire che, per quanto attiene alla possibilità di presentare l’aspetto precipuamente montano di questo comprensorio, la Sezione fiorentina del C.A.I. ha dato, sin dai suoi primi passi, un contributo notevole e competente. I documenti che Lando mi ha mostrato testimoniano questa stretta collaborazione che intercorreva fra Stia e Firenze, così come resta una pietra miliare quella famosa e documentata escursione che ebbe a svolgersi nel 1883 in due giorni, appunto fra il capoluogo toscano e la vetta della Falterona, così chiamata, ove sorgeva il Rifugio Dante, andato successivamente in rovina e non più ricostruito.
Non posso qui esimermi dallo spendere due righe per esprimere il mio disappunto e rammarico per non aver la Toscana tutta, la Sezione di Firenze, la Sottosezione di Stia, sentito il dovere, fra tante iniziative più o meno importanti, di ricostruire il Rifugio dedicato al Sommo Poeta e dotare il Parco di un ulteriore prestigioso ricovero; o devo pensare che l’ostracismo fiorentino, che costrinse l’Alighieri all’esilio ed alla morte lontano dalla Fiorenza tanto amata e cantata, quella Firenze che non ha voluto neppure riaccoglierlo da morto, perduri ancora?
Concludo questo dovuto omaggio casentinese, accennando al terzo Museo o Raccolta che sia, riportando i semplici accenni che Lando ha fatto mentre ci spostavamo fra le sue creature: si tratta della collezione ornitologica che trae origine dalla passione e dall’opera di ricerca del fratello dell’Avv.Beni; un insieme che era giunto a contare un migliaio di esemplari di ogni varietà e zona di appartenenza, tutti scrupolosamente identificati e classificati. Per tutta una serie di vicissitudini, delle quali non è qui il caso dì parlare, questa collezione è andata smembrata ed in parte perduta; poiché però è stato possibile recuperarne una parte significativa, Lando si sta adoprando per mettere al sicuro ciò che rimane in apposito locale e non c’è da dubitare che, grazie alla sua cura e tenacia, il progetto vada sicuramente in porto.
Sarà un’altra perla che, speriamo a breve, andrà ad arricchire l’interesse per il vivace paese di Stia che, quanto ad iniziative, mi pare non dorma davvero. Penso che Lando sia felice per quel tanto che sia riuscito a realizzare; di una cosa sola l’ho sentito lamentarsi, certamente con ragione: di esser solo, di non trovar gente che collabori, di non aver qualcuno interessato a raccogliere il patrimonio culturale al quale ha saputo dar vita. Se può consolarlo mi sento di dirgli che è condizione comune di chi per passione, indole, preparazione si spinga assai avanti agli altri; al momento di volgersi indietro, malgrado le lodi, i consensi, le promesse, è quasi ovvio non veder nessuno. Non te la prendere caro Lando, continua così finché potrai, soprattutto per te, per soddisfare la tua convinzione, continua e renderai felici quelli che ti apprezzano; non avrai speso il tuo tempo invano.