“Ghiaccio verticale” di S. Rinaldelli & F. Del Vecchio

Annuario 2006

In Toscana per ovvi motivi le scalate su ghiaccio erano pressoché precluse, ed anche se in inverno in Apuane si possono salire itinerari di montagna su neve dura talvolta anche con qualche passo su ghiaccio, si sentiva la mancanza di quel tipo di impegno tecnico che solamente il ghiaccio vivo può offrire.In Italia la prima salita su cascata, era stata effettuata da Cesare Maestri in arrampicata notturna, e la cosa era forse parsa così incredibile da meritare addirittura una diretta televisiva, ma forse una buona parte degli alpinisti l’avevano considerata solamente una sorta di funambolismo. Il compito di elevare ad alpinismo l’arrampicata su cascata di ghiaccio se lo dovette assumere Gian Carlo Grassi, che da attento osservatore dell’alpinismo dal resto del mondo, non si era fatto sfuggire le notizie di quello che gli scozzesi facevano in inverno sul loro Ben Nevis, una montagna che, al pari delle nostre, ha una quota assai bassa ed è priva di nevai e ghiacciai perenni, e di come il nascere di questo tipo di scalata avesse fatto elevare il livello tecnico delle salite su ghiaccio.


Così l’attività di Gian Carlo Grassi sulle cascate dell’arco alpino aveva suscitato in una parte del mondo alpinistico, una tortissima curiosità verso questo nuovo pianeta dell’effimero” che si apriva davanti agli occhi e forse un poco timidi e titubanti alcuni cominciarono anche alle cascate di Monte Acuto. I primi tentativi durante i primi anni ’80 furono probabilmente opera di Mauro Pontini di Borgo San Lorenzo, forse contemporaneamente a Vittorio Giovetti ed a Francesco del Vecchio, ma le salite da primo si limitavano ai tratti più facili delle cascate lasciando ai tratti più duri la pratica del moulinette. Le attrezzature erano dir poco rudimentali: le piccozze lunghe e di tipo classico, con becca pressoché diritta, incredibilmente disadatte ai tratti verticali, i ramponi erano di tipo snodato, che mordevano con difficoltà il duro ghiaccio di colata, e per chiodi, si usavano i pericolosissimi cavatappi, o i primi rudimentali tubolari che si avvitavano e si toglievano con estrema difficoltà. In queste condizioni le cascate parevano durissime, ma la salita su ghiaccio vivo era così appassionante da spingere a continuare.

Il primo che seppe mettere a frutto la sua esperienza alpinistica e salire, senza moulinette, le colate di Monte Acuto probabilmente è stato Mauro Rontini che, con Carlo Amore, Stefano Nuti e Stefano Rinaldelli riuscì a scalare la via diretta a Monte Acuto, e che, qualche giorno dopo, con Carlo Amore e Stefano Nuti, riuscì a salire anche la cascata della stalattite, Una volta incominciato tutte le altre vennero poi in rapida successione. Col tempo la ricerca di nuovi itinerari si è allargata portando gli alpinisti ad affrontare, prima il bellissimo paretene delle Rondinaie, poi via verso altre zone quali l’Acquacheta e la cascata degli Scalandrini nella Foresta della Lama. Oggi dato la ristrettezza della zona, di nuovo da salire non resta più niente, ma queste cascate continuano sempre a rappresentare, pur nei limiti dati dalla bassa quota, uno splendido ambiente, e nei periodi in cui sono formate vi si incontrano alpinisti provenienti da tutta la Toscana e da buona parte della Romagna.

In fondo, anche per chi, in modo pionieristico, ha cominciato a scoprire Monte Acuto negli anni ’80, lo spirito con cui ci si avvicina a queste cascate è cambiato poco o niente, ed anche chi ha avuto modo di scalare le imponenti colate glaciali dell’arco alpino, gli itinerari del gruppo del monte Falterona riescono comunque a dare impressioni bellissime. La sensazione che si prova quando, uscendo dalla via diretta si arriva a Monte Acuto col prato e gli alberi coperti da mezzo metro di neve polverosa, è un qualcosa che auguriamo di provare a tutti alpinisti che vi si avvicineranno.
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