“Albe e tramonti” di Carlo Labardi

Annuario 2006

L’amore per l’ambiente, in particolare quello montano che con il passare degli anni si è trasformato in “malattia”, per quanto mi riguarda trova due spiegazioni. La prima nel DNA dato che anche mio padre amava, infatti, andare per boschi portandomi a raccogliere i frutti di stagione (more di rovo, lamponi, fragole, marroni, funghi, asparagi). La seconda nell’essere nato e vissuto, da giovane, a Fiesole north face, intendo zona mura etrusche-Borgunto. Avere trascorso la giovinezza in campagna mi ha consentito, a differenza di un ragazzo nato e vissuto in città, di apprezzare maggiormente le bellezze della natura, la diversità delle stagioni con luci, colori, suoni che sono propri di ciascuna di esse, di dare sfogo allo spirito di avventura che anima ogni adolescente e che, per quanto mi riguarda, ancora non mi ha abbandonato.

Tramonto dalla Foce di Cardeto (Alpi Apuane)
In estate, sotto un assordante cicalio, c’erano i bagni nelle pozze di acqua non ancora inquinata del Mugnone e dei laghetti delle cave di Maiano, i primi approcci di scalata sulle mure etrusche, magari con la finalità di andare a prendere la frutta, meglio sarebbe usare il verbo rubare, nel campo attiguo al teatro romano o la ricerca di chi sa quali tesori nascosti percorrendo gli angusti cunicoli di queste stesse mura (cunicoli che usavamo anche come frigoriferi per la bassa temperatura presente al loro interno) o calandoci nelle cisterne etrusche di San Francesco. L’inverno era bello quanto l’estate perché era sinonimo di neve; aprire la finestra al mattino e vedere imbiancate le vette di Monte Morello, Monte Senario, Poggio Pratone tanto caro a Cicognani, era per me fonte di immensa gioia. Il cuore palpitava quando poi la neve cadeva copiosa anche in paese, ricordo ancora i primi tentativi di scivolarvi sopra con la parvenza di sci di legno. In seguito la passione per l’ambiente montano mi ha portato dalle Colline Fiesolane al Pratomagno, all’Appennino Settentrionale e Centrale, alle Apuane, alle Alpi ed a montagne di tutti i continenti praticandovi attività che vanno dal semplice escursionismo all’alpinismo classico, allo scialpinismo. Ma è soprattutto con l’escursionismo e lo scialpinismo che riesco ad entrare in sintonia con questo mondo fantastico della montagna ed a raccogliere tutto ciò che essa mi offre senza che nulla vada perduto. Dormire poi in un sacco a pelo sotto le stelle è sempre stato per me un’emozione esaltante e motivo di riflessione, specie in questi ultimi anni … E’ infatti in tale circostanza che veramente diventi un tutt’uno con la natura che ti circonda, ascoltando paradossalmente i suoi silenzi o i suoi rumori, come il fruscio delle foglie mosse dal vento, cercando di riconoscere il linguaggio dei suoi abitanti, respirando un’aria ricca di essenze e di aromi che durante il giorno, spesso, ti sfugge, ammirando un universo ricco di luci. Di queste notti trascorse sotto le stelle voglio ricordarne alcune perché ancora vive nella memoria.

Alba dalla Penna di Sumbra (Alpi Apuane)
Forse il primo bivacco in assoluto è quello effettuato, in un fine settembre, con gli amici Nico e Lorenzo presso la fonte del Borbotto, sopra Castagno. Ricordo che ci aveva guidato Lorenzo i cui genitori possedevano una casa proprio a Castagno. Non c’era ancora la strada forestale, né il rifugetto, e le tracce di sentiero si interrompevano presso la grande frana del Monte Falterona. Abbiamo dormito in una specie di capanna abbandonata dai pastori che avevano quel giorno stesso trasferito il gregge di pecore in Maremma. Ci siamo riscaldati e fatto luce accendendo un grande fuoco al  centro dello staggio. Fin da allora mi aveva colpito l’abbondanza e la qualità di quella sorgente, il giorno successivo ci regalammo una grigliata a base di mazze di tamburo. In seguito, ho effettuato altri bivacchi: sulla vetta del Monte Falterona ma solo la prima volta, con gli amici di Castagno, avvolti in coperte dentro le trincee della Linea Gotica, ho visto sorgere l’alba sull’Adriatico … che la crescita dei faggi ce lo ha sempre successivamente impedito.

Un altro bivacco che ricordo volentieri è quello presso il Lago Scaffaiolo con gli amici Francesco e Giovanni. Ero felice perché finalmente avevo messo piede sulla cima del Corno alle Scale. Il vecchio ricovero non c’era perché distrutto durante la guerra mentre quello nuovo, a botte, non era ancora stato costruito; la sottostante Val Carlina era bellissima e libera ancora dagli impianti di risalita. Il problema, in quella circostanza, fu la mancanza di acqua da bere sul crinale, con Giovanni impegnato a lungo alla ricerca delle “polle del lago” di cui il padre, che era stato comandante partigiano nella zona, gli aveva parlato. Nel tardo pomeriggio della vigilia di un ferragosto avevo da poco lasciato l’Abetone, con Franca – mia moglie – allo scopo di dormire nei pressi della vetta del Libro Aperto per ammirare l’alba. Gli ingombranti e pesanti sacchi a pelo di colore militare che portavamo sulle spalle (mia moglie, soffrendo di claustrofobia, ha sempre preferito, meteo permettendo, dormire all’aperto piuttosto che in tenda) destavano allora curiosità e stupore nei villeggianti che stavano rientrando dal Maiori per dormire sotto un tetto. Mi ricordo, quella notte, di essere stato svegliato da una persona che urlava “ho trovato il cippo!”. Era un gruppo di giovani che avevano avuto la nostra stessa idea e che avevano perso il sentiero; al mattino ci offrirono da bere del buon vino prima che ci incamminassimo verso la Doganaccia e Cutigliano.

In un altro bivacco, sulla Cima Tauffi, il fortissimo vento ha vinto la claustrofobia di Franca. Dopo molti tentativi, a causa della tenda che faceva vela, riuscimmo a montarla; quella sera non osservammo il tramonto ma solo sentito l’ululato del vento. La furia di Eolo si era ormai placata quando giunsero i primi bagliori dell’alba. In una bellissima notte stellata sulla Cima Lagoni, la mia attenzione e quella di Franca fu attratta da luci intermittenti provenienti dalla Pianura Padana tanto da farci pensare ai fuochi d’artificio. Al mattino un escursionista proveniente da Modena ci riferì che in pianura era abbondantemente piovuto con tanto di tuoni e fulmini, quella notte fummo fortunati. Di una notte passata nel prato sopra la cascata dell’Acqua Cheta, stavolta in tenda poiché con Lorenzo c’era la piccola Silvia, ricordo come fossimo circondati da mucche al pascolo. Il timore che inciampando nei tiranti ci crollassero addosso non mi fece dormire. Al mattino il mio amico Luigi, da buon valtellinese, pensò bene di procurarsi del latte fresco; dopo essere riuscito a confinarne una in una vecchia stalla abbandonata pronunciò poche ma significative parole “è una giovenca, non ha latte”.

Vari sono stati i bivacchi effettuati sulle cime delle Alpi Apuane, ma quelli su vette con vista sul mare, come Pania della Croce, Altissimo, Sagro, Tambura, sono stati i più belli. Tutti hanno avuton comune, infatti, dei tramonti stupendi con il sole ad immergersi nel Tirreno, il cielo che assumeva tutte le tonalità del rosso, il faro del Golfo di La Spezia che segnava ritmicamente il passare del tempo, le luci allineate della costa che divenivano sempre più numerose e luminose, mentre sul versante opposto, quello Garfagnino, non c’era tale allineamento ma pareva essere al cospetto di un grande presepe. Albe altrettanto stupende per i giochi fra luci ed ombre, come l’ombra triangolare dell’Altissimo che inizialmente arrivava con un suo vertice a lambire il mare e che con l’alzarsi del sole sull’orizzonte progressivamente si riduceva fino a scomparire sotto i nostri piedi. Bivacchi tutti in solitudine, salvo quello sulla Pania della Croce, dove al mattino tanta era la gente appollaiata sulla vetta del monte da sembrare una “pinguinera”.

Tramonto dal Monte Altissimo (Alpi Apuane) in basso, sullo sfondo la Versilia, il Mar Tirreno
Ho effettuato bivacchi anche sui Sibillini e sulle Montagne della Laga. Il fascino dei Sibillini mi ha sempre attratto in ogni stagione. Ricordo uno di questi effettuato in un fine giugno presso la cima del Redentore fra viole, genziane, sassifraghe. Da questo stupendo balcone naturale, dopo aver assistito al tramonto, vedevamo brillare sotto di noi le luci di Castelluccio e pensavo a storie e leggende correlate con questi luoghi, ed in particolare alle lotte fra gli abitanti di Norcia e Visso, per la conquista dei pascoli di Pian Perduto, al vicino Antro della Sibilla, appenninica maga e maliarda, al sottostante lago dove sarebbe annegato Pilato, da cui il nome, che avrebbe visto, nel medioevo, un via vai di stregoni e negromanti per contattare i demoni, spesso finiti impiccati od arsi vivi. Giunta l’alba, quando già il primo sole illumina il Pizzo del Diavolo, dal lato opposto, una favolosa tavolozza di colori che solo Piano Grande sa offrire, prendeva sempre più vigore con il rosso dei papaveri, il bianco dei narcisi, l’azzurro dei fiordalisi, il giallo delle lenticchie. Scesi sul lago eravamo rimasti affascinati dallo specchiarsi nelle sue acque verde scuro, dei bianchi nevai ancora presenti sulle sue rive e dai numerosi papaveri gialli che, come per incanto, erano nati fra le pietraie circostanti.

In un bivacco nella Laga, in località Le Piane sopra Cesacastina, bellissimo il tramonto sul vicino Corno Grande. Il giorno successivo risalimmo il corso del fosso dell’Acero, uno spettacolo stupendo, un susseguirsi di numerose cascate, tanto che è appunto chiamata Valle delle Cento Fonti, arrivando infine sulle vetta del Monte Gorzano con bellissimi scorci sulla sottostante, selvaggia valle di Selva Grande. Dei bivacchi in Alpi, uno fatto con la finalità di salire la nord del Fletschorn, con l’amico Dino, è stato un rifugio “ad litteram”. Eravamo infatti finalmente al sicuro dalle bombe dei militari svizzeri allorché, nel pomeriggio, avevamo imprudentemente attraversato una valle al di sopra del Sempione, da loro scelta per una esercitazione bellica, peraltro opportunamente segnalata.

Per ultimo voglio ricordare un bivacco invernale effettuato in occasione di un raduno scialpinistico Tosco Emiliano nei pressi del Lago Turchino. La truna che avevamo fatto era piuttosto angusta per il numero di sciatori che doveva accogliere, tanto che sembravamo delle acciughe in scatola. L’ingresso della Lelia, per ultima, che ci chiedeva se gentilmente le facevamo spazio fu la goccia che fece traboccare il vaso. Furono umido e battiti di denti per il freddo (allora non c’era il vestiario tecnico di adesso). Uno di noi che si lamentava per la sete e che era impossibilitato a qualsiasi movimento motivò l’invito di Rinaldo, come rimedio, a darsi da fare a “ciucciare il comodino”. Alba non fu mai agognata come in quella occasione.

Con il passare degli anni questi momenti magici vissuti all’aperto diventeranno una miriade ed offriranno sensazioni ed emozioni diverse secondo lo stato d’animo presente al momento.
Condividi questo articolo attraverso i tuoi canali social!

Lascia un commento