Una gita lunga sessant’anni – Storia e curiosità di un Passo
Eccomi qua. Sono arrivato al Passo del Cancellino, questa bellissima sella erbosa che unisce, o se si preferisce divide, il Corno alle Scale dall’Uccelliera, col suo Monte Gennaio. Poso lo zaino a terra, mi sdraio sull’erba socchiudo gli occhi e mi concedo un riposino dopo la bella camminata fatta per arrivare qui.
Uscire dal letto, questa mattina, è stata una violenza che mi sono fatto ma essere qui ora a godermi questa immensa pace, che credo si trovi solo in montagna, mi ripaga di tutto. E’ impossibile, me lo sono chiesto spesso, ricordare quante volte sono passato di qua, certamente tantissime, in tutte le stagioni e d’inverno con e senza gli sci.
Rammento però benissimo la prima volta che ho raggiunto questo passo. Ero in villeggiatura a Orsigna e feci questa gita con lo zio Fello (Raffaello Romei, il babbo di Remo): era il lontano 1952. Dopo aver traversato il torrente Orsigna risalimmo il versante Est della valle (destra orografica) per tracciati fatti dai tagliaboschi, allora non c’era una segnaletica come oggigiorno. Salivamo in silenzio mentre nella valle risuonava cupo il sibilo prodotto dalla rudimentale “teleferica” che trasportava a valle la legna. Si trattava di un cavo d’acciaio teso tra il versante che stavamo risalendo, poco sotto il Rombiciaio, e la piazza di Orsigna. Su questo cavo scorreva per inerzia una carrucola alla quale era agganciato un carico di legna.
Arrivammo così, senza passare dal Rombiciaio, alla Pedata del Diavolo dove incontrammo un pastore col quale lo zio si mise a parlare. La Pedata del Diavolo è il nome dato a un’erosione del Poggio dei Malandrini e quindi senza vegetazione arborea, che dal basso, versante Maresca, assomigliava a una impronta tra la rigogliosa vegetazione. Ora la zona è stata rimboschita ed è stato costruito (1962) il rifugio del Montanaro. Dopo la “chiacchierata”, che fu anche l’occasione di un riposino, proseguimmo per la nostra meta: il Passo del Cancellino.
Qui ci fermammo a lungo, e mentre lo zio parlava con altri pastori (a quei tempi erano tanti) io andavo su e giù per questa sella godendomi il panorama delle due valli che si dipartivano da sotto i miei piedi: la valle della Verdiana a ovest e la valle del Silla ad est. Era fantastico.
La gita proseguì verso la fonte dell’Uccelliera, Portafranca per ritornare poi a Orsigna. In quegli anni non c’era l’attuale rifugio di Portafranca ma una costruzione, poi ampliata, del Corpo Forestale dello Stato. La parte inferiore del fabbricato era lasciata aperta ad uso dei pastori quale ricovero delle pecore.
Col passare degli anni maturò in me l’idea di andare da Casetta Pulledrari all’Abetone, una bella galoppata considerando anche il fatto che dovevo arrivare, se ben ricordo, entro le 15 per prendere l’ultimo autobus per il ritorno. Una “mano” a realizzare questa idea mi fu data dalla costruzione del rifugio del Montanaro, alla Pedata del Diavolo, dove c’era, e c’è tutt’oggi, un ricovero sempre aperto. Questa stanzetta, nella quale ho passato tante notti, mi permetteva, infatti, di trovarmi all’alba già in quota.
Iniziò così il periodo delle traversate, fatte come ho detto in tutte le stagioni, da Casetta Pulledrari all’Abetone e, un paio di volte, ovviamente in più giorni, fino a Carrara; sempre transitando dal Passo del Cancellino. Lasciavo la macchina a Bardalone, da un meccanico che mi portava, con la sua auto, alla Casetta Pulledrari. Da qui, per il sentiero, non c’era ancora la strada forestale, raggiungevo il Rifugio del Montanaro dove passavo la notte
Lo stridio di un falco mi distoglie da questi ricordi, ma solo per poco perché, come sempre, nei momenti di ozio, ritorno ai ricordi delle gite con tutte le divagazioni che via via affiorano alla mente. L’ultima volta che sono venuto quassù è stato l’anno scorso: la meta era la fonte dell’Uccelliera, aggirando, dal passo dei Malandrini, il Gennaio, per arrivare al passo del Cancellino e poi alla fonte. A Campo Tizzoro abbandonai la statale del Brennero e mi diressi verso Maresca.
Campo Tizzoro, come sarà stato al tempo dei romani, prima dell’era cristiana? Certamente qualcuno dei lettori si domanderà cosa centrano i romani con Campo Tizzoro ma assicurano studiosi e storici che questo paese, ora attraversato dalla statale del Brennero, una volta era aperta campagna, un grande vasto pianoro che fu testimone della morte di Catilina.
Altri studiosi, cercando naturalmente di interpretare gli scritti di Sallustio, Cicerone, Plutarco e altri, hanno formulato varie tesi su dove fosse avvenuta questa battaglia . Nella prefazione della Guida “Cutigliano e dintorni” di Lilla Lipparini del 1961 (Biblioteca I. Cocchi-C.A.I. Sez. Fiorentina) un cenno storico di Vittorio Pizza analizza le ipotesi di vari scrittori fatte sulla descrizione di Sallustio e conclude dicendo che Sallustio ” …è l’unico storico dell’epoca di Catilina che ha descritto la famosa battaglia” e per cui ” … considerando la descrizione Sallustiana (della battaglia) alquanto vaga, dobbiamo dire che Campo Tizzoro è l’unico piano in cui è possibile sia accaduto lo scontro, anche se non è probabile”.
Questa storia “recente” si sovrappone a un’altra più antica, se non antichissima.
Da qui passava l’antichissima Via di Lombardia che dalla Nievole,dopo aver oltrepassato Campore, Casore del Monte, Prunetta, Gavinana, Maceglia, Poggio dei Malandrini, Passo della Nevaia, giungeva al Passo del Cancellino. Poi proseguendo per il Passo dello Strofinatoio raggiungeva il Cavone, il Passo del Lupo, il lago di Pratignano, Fanano e arrivava fino a Piacenza. Sembra che questa “strada”, usata anche dai Romani prima della costruzione della Via Emilia (187 a.C.), ricalcasse il tracciato di una via di caccia risalente niente di meno che al Paleolitico Medio.
Ma torniamo alla mia gita. Oltrepassai Maresca e godendomi la magnifica foresta del Teso arrivai alla Casetta Pulledrari dove lasciai l’auto. Da qui m’incamminai verso il rifugio del Montanaro percorrendo la parte alta della foresta del Teso. Il Repetti, nel suo Dizionario Fisico Storico della Toscana esaminando la situazione arborea della zona scrive: “Una delle foreste più cospicue di questa montagna è la bandita delle RR. Possessioni del Teso, una parte della quale è destinata per la razza dei cavalli e l’altra per le pecore merine spagnole, mentre i poggi superiori sono ridotti a foresta per impedire il discoscendimento de’ terreni e lasciare un vasto manto contro le burrasche ed i venti alle pasture inferiori. Oltre di ciò nel cosiddetto Monte Grosso è stata fatta di recente una piantagione di Larici (circa 4000) tutti messi da sette anni un qua per esperimentare se per mezzo di questa specie di legname si poteva rivestire quella grande superficie di monte spogliato.La qual piantagione avendo ottenuto un felice risultato ha fatto si che nel presente anno 1843 si sono cominciate semente in grande di detti larici”.
Camminavo lentamente, era molto presto, faceva abbastanza fresco, era piacevole camminare. Nel soffermarmi a riprendere fiato, immerso in questa magnifica “foresta” di faggi mi vennero alla mente i versi che scrissi tempo fa salendo a Monte Senario. Ripetendomeli mi convinsi si addicessero bene anche in questo luogo, basta essere disposti ad apprezzare ciò che ti circonda:
Dalle cime degl’alberi che il sole
già riscalda, si mandano i richiami
uccelli vari, e le loro parole,
che intender non so, passan tra i rami.
Dal dolce canto così accompagnato
salgo verso il Monte nella frescura,
il sole non è nel bosco penetrato
e la salita appare meno dura.
Odo rintocchi venir dal Sacro Monte,
chiamano al mattutin ringraziamento;
dicon vieni, abbassa la tua fronte
dinanzi al creator del firmamento.
Fermo l’andare per meglio ascoltare
il canto che nell’aere si diffonde;
verso la valle mi volto per guardare
l’immenso bel creato che mi confonde.
( AL MATTINO – Marinelli 1/7/2010)
Questi ricordi con divagazioni storiche sono interrotti da un certo languorino allo stomaco, apro il sacco e addento un saporito panino. Mi alzo, sono come sospeso tra due vallate: quella della Verdiana e quella del Silla, nel Bolognese. Mi siedo su un vecchio cippo di confine. Tra un morso e un altro un flash: ma questa pietra sulla quale sono seduto è un pezzo di storia! Questo cippo confinario, infatti, risale al 1789 anno in cui, come si legge nel QUADRO GEOGRAFICO – STATISTICO DEL COMPARTIMEN-TO DI PISTOIA” del 1839 a cura del P.P. CONTRUCCI (BIBLIOTECA I. COCCHI – C.A.I. Sezione Fiorentina), “furono fissati i confini stabiliti dall’”istrumento di rinnovazione e stabilimento di confine, descrizione della Linea sei Termini, e rispettive convenzioni, per la Prima Parte della confinazione fra la provincia di Bologna, Stato Ecclesiastico e il Granducato di Toscana…”
Ma torniamo ad oggi. Sono salito quassù per un’altra strada: passando da Maceglia. E’ questo un magnifico tracciato che, partendo dalla Casetta Pulledrari, sale dolcemente nella Foresta del Teso verso Maceglia, un valico che mette in comunicazione con la valle del Verdiana, un torrente che nasce in alto, sotto il passo del Cancellino. Da qui pensavo di vedere le vecchie case Mandronini e i pascoli dove una volta, d’estate, venivano a pascolare i puledri del granduca, ma la fitta vegetazione mi ha impedito la visuale. Queste vecchie case, oggi ricostruite più in basso, dettero il nome “ufficiale” a questo passo. Nel documento relativo alla posa dei cippi confinari, già citato, il passo era denominato “Cancello dei Mandromini” ma Cancellino ha prevalso su quello ufficiale.
Ora basta pensare, devo ripartire se voglio arrivare al Conio, di cui ho parlato altre volte, dove mi attendono gli amici. Sacco in spalla comincio la dura salita che mi porterà al passo dello Strofinatoio, che divide il Cornaccio dal Corno alle Scale. Strofinatoio? Ecco un altro nome particolare. Sembra che il nome derivi dal fatto che i muli, carichi di merce di contrabbando, a causa dello stretto sentiero, strofinassero il carico contro le rocce. Sono in cima. Altre vallate si aprono ai miei occhi, vallate, sicuramente ricche di tanta storia.