Annuario 2014 – L’orso delle caverne (Ursus Spelaeus), noto anche come orso speleo, era una specie vissuta in tutta l’Eurasia nel Pleistocene, nella scala dei tempi geologici la prima delle due epoche in cui è diviso il Quaternario, compreso tra 2 milioni di anni fa e 10.000 milioni di anni fa.
Questo ritrovamento è stato di particolare importanza per numerosi paleontologi e studiosi, perché si è potuto rilevare che i vari periodi di glaciazione avvenuti nelle Alpi si sono susseguiti ad intervalli assai più ravvicinati di quanto constatato in precedenza. Sono stati, infatti, ritrovati resti che risalgono a 90, 70 e 45 mila anni fa.
Ciò fa intendere che l’Orso Speleo popolava le zone dolomitiche negli intervalli di clima temperato, tra una fase glaciale e la successiva. Soprannominato “Re delle Dolomiti”, l’Orso Speleo pesava circa 500 Kg ed era il più grande abitante della zona. Durante la bella stagione pascolava tra gli alti alpeggi, preparandosi ai lunghi letarghi invernali che trascorreva nelle caverne. Grazie al clima caldo la vegetazione giungeva assai in alto, nei dintorni della caverna con un bosco rado di pini cembri e larici dove quindi abbondava il cibo per gli orsi spelei.
Lo studio della dentatura, infatti, sembrerebbe richiamare a una dieta tendente a un regime maggiormente erbivoro. La corporatura dell’orso delle caverne era davvero massiccia; le zampe erano dotate di lunghi e forti artigli, strumenti che potevano diventare temibili se usati contro gli uomini preistorici. Questi orsi, infatti, entravano spesso in competizione con i nostri antenati per il possesso delle grotte (ma grazie all’uso intimidatorio del fuoco gli orsi erano soppiantati dagli umani).
L’orso delle caverne si estinse circa 10.000 anni fa, al termine dell’ultima glaciazione del Pleistocene, senza lasciare discendenti. Alcuni studi compiuti su una gran quantità di ossa di orso delle caverne sembrano suggerire che una delle possibili cause dell’estinzione di questo grande mammifero possano essere state le frequenti patologie dentarie e della bocca, che non permettevano a molti esemplari di nutrirsi correttamente.
Le ossa di questi animali, naturalmente, sono state rinvenute fin dall’antichità ed erano ritenute appartenere a creature leggendarie come draghi o grifoni. Ancora nel XVII secolo erano rinvenuti crani di “mostri” deformi, dall’aspetto vagamente umano, che si diceva infestassero ancora le profondità delle foreste e delle montagne dell’Europa centrale. Questi teschi misteriosi non erano altro che i crani degli orsi delle caverne, che di lì a pochi anni sarebbero stati rivelati al mondo scientifico.
Andiamo nel gruppo montuoso delle Conturines il settore più orientale delle Dolomiti Orientali di Badia, delimitato dalla Valle di Marebbe e da quella di Rudo fino al Passo di Limo e di qui dalla vallata de “Le gran plan”, e circondato dalla Val Badia. Vi è un gran numero di laghetti montani e tre insiemi di vette; le più basse: quelle di Pares (2.396 m.), Cima Sant’Antonio (2.655 m.) e Furcia dai Fers (2.534 m); il corpo centrale rappresentato dal Sasso di Santa Croce con le Cime Nove (2.968 m.), Dieci (3.026 m.) e il Monte Cavallo (2.907 m.); il corpo meridionale più elevato con Cima Conturines (3.064 m.) e La Varella (3.055 mt.). Il tutto è annesso al Parco Naturale Fanes – Sennes e Braies e, assieme allo stesso, al bene protetto dell’Unesco Dolomiti.
Come spesso accade per invenzioni e scoperte il caso ha un ruolo caratteristico; esse sono derivate, per così dire come risultato concomitante, indagando su qualcosa d’altro. Infatti, il tesoro fossile di cui parliamo fu trovato cercando un “minerale” o per meglio dire una concrezione. Da molti anni gli appassionati erano attratti da un antro della selvaggia Val Travenanzes (incassata fra Fanes e le Tofane) perché vi trovavano delle particolari formazioni sferiformi chiamate Pisoliti o più volgarmente “perle di grotta”.
Si tratta di concrezioni calcaree di forma normalmente sferica, che si originano nelle grotte, in corrispondenza di piccole depressioni (vaschette), dove l’acqua è in movimento. Si formano per accrescimento del carbonato di calcio (CaCO3) attorno ad un nucleo solido che può essere per esempio un granello di sabbia, un frammento di roccia oppure anche un piccolo frammento fossile. La loro struttura interna mostra una successione di veli concentrici che raggiungono diametri di alcuni millimetri fino a qualche centimetro. Parecchie sfere vicine si possono agglomerate in forme fantastiche.
Il 23 Settembre 1987 un albergatore di Corvara, tale Willy Costamoling, andava proprio in cerca di quel tipo di (concrezione – curiosità minerale) dette “bambole di Travenanzes” avendo avuto indicazione di queste rotondità rinvenute dalle parti del ghiaione sovrastante il Valun dles Avares in prossimità di una caverna. Risalì il ghiaione più alto e vide il gran portale della caverna, tetro e misterioso perché immerso nelle lunghe ombre gettate sul circo dalle pareti delle Conturines. Si spinse nell’interno meravigliandosi per le sue vaste dimensioni, e prese a salire su per l’erta rampa buia; il raggio della lampada elettrica frontale illuminava soltanto una zona ristretta, i lastroni scivolosi del terreno lo inducevano a procedere con cautela.
Dopo aver superato il grande crollo della volta caduta dal soffitto, il cono di luce rivolto qua e là inquadrò la prima grande stalagmite. Pieno di stupore, Costamoling superò i pochi metri del liscio pendio che lo separavano dal punto pianeggiante battezzato poi in ladino Salf di Cès cioè la sala dei crani.
Per la prima volta apparve a un essere umano il tesoro nascosto delle Conturines, un tesoro fossile; frammista a pietre e sedimenti, apparve a Costamoling una quantità di ossi e denti, sparsi confusamente sul suolo; una sorta di tomba preistorica. L’albergatore aveva solo una pallida idea di quanto importante fosse la sua scoperta; al momento pensò che si trattassero dei resti di orsi bruni, morti alcuni millenni prima.Ma un amico al quale aveva mostrato una manciata di denti lì raccolti gli confermò che erano denti dell’orso speleo, estinto da gran tempo, già ritrovato in molte caverne d’Italia (Lombardia, Liguria, Umbria, Piemonte, Trieste, Toscana) e d’Europa (Romania, Austria, Francia, Germania, e Regno Unito).
Per due o tre settimane Costamoling riuscì a tenere segreta l’ubicazione della caverna, ma poiché saliva quasi giornalmente, da solo o con qualche amico, a esplorarla meglio e a fotografarla, la voce della sensazione scoperta si diffuse. Inizio un “pellegrinaggio”, all’inizio di residenti dell’Alta Val Badia che cominciarono a visitare la grotta e a portarsi a casa teschi, denti e ossi. Temendo che “l’intero” tesoro fossile fosse disperso ai quattro venti, Costamoling raccolse con il fratello gli ossi rimasti in superficie sul suolo sabbioso o cosparso di detriti. La notizia arrivò ai mass-media, i giornalisti vennero a caccia di particolari; apparvero filmati alla televisione italiana, germanica olandese e belga. Grazie all’interessamento dell’Istituto di Paleontologia dell’Università di Vienna apparvero i primi articoli sulle riviste specializzate come GEO.
In Italia i minerali e i fossili ritrovati, oltre ai manufatti preistorici e antichi e i reperti del sottosuolo, sono protetti in base ad una legge del 1939. La Sovrintendenza ai Beni Culturali della Provincia autonoma di Bolzano intervenne e si poté recuperare gran parte dei fossili asportati dalla caverna. Purtroppo la posizione originaria dei resti è documentata soltanto dalle foto dello scopritore, ma in base a tali foto e la posizione dei reperti successivi risulta che il “danno” fatto dai collezionisti non è stato rilevante (il motivo di ciò molto probabilmente dipende dal fatto che le antiche ossa sono state accumulate casualmente dalle acque che circolavano nella grotta e quindi in maniera casuale senza un utile riferimento stratigrafico che è l’oggetto dei rilievi dei ricercatori).
Sorse anche una controversia sui confini territoriale come spesso succede quando sono rinvenute cose di “interesse” notevole; controversia più che altro a carattere locale. Il sindaco di Marebbe arrivò a far requisire per via legale, con ordine del Tribunale, gran parte dei resti degli orsi raccolti dai collezionisti di San Cassiano, La Villa e Corvara; i fossili furono consegnati alla Sovrintendenza. Il tutto terminò con la determinazione che la grotta si estende per intero entro l’area di Marebbe; la lite è oggi dimenticata e i reperti, in parte, sistemati ed esposti al pubblico nell’interessantissimo “Museum Ladin Ursus ladinicus” di San Cassiano.
Chi vuol visitare oggi la caverna (che ha uno sviluppo di 200 mt. e un dislivello di 80 mt.) può farlo con due itinerari: dalla Capanna Alpina (1.726 m) oltre Armentarola (Alta Val Badia) da cui un sentiero ripido porta in un’ora al Col de Locia; dal Rifugio Fanes (2.060 mt.) in un’ora e mezzo si arriva al Col de Llocia (2.069 mt.)
Dal Col de Llocia inizia la vera salita fino alla caverna (2.750 mt.)