Valerio Sestini di Paolo Melucci

Namche_Bazaar_els_bigApprendo dal bollettino sezionale della scomparsa dell’amico Sestini che, allungando ulteriormente la lista degli amici persi per strada, contribuisce a farmi sentire sempre più un sopravvissuto.

La sua attività scientifica mi pare meriti qualcosa di più che non lo scarno trafiletto premesso al suo articolo su “I ponti del Diavolo – Antichi ponti in pietra sull’Appennino Tosco – Emiliano” e quindi, superando la mia consolidata ritrosia per i necrologi, ritengo doveroso scrivere queste righe. La nostra reciproca frequentazione si affievolì naturalmente allorquando, dal 1974 al 1977, mi trasferii in Africa per lavoro, mentre lui approfondiva la sua conoscenza dell’architettura nepalese.

Iscritto al Club alpino italiano dal 1954, nel 1971 si reca per la prima volta in Nepal con l’amico Enzo Somigli, Beppe Tenti e Reinhold Messner per un viaggio alpinistico e ne trae ispirazione per studiare le tipologie costruttive dei ponti himalayani. Ha così inizio per Sestini una lunga attività di ricerca e documentazione in territorio nepalese, che lo vede impegnato su più fronti per il censimento, il salvataggio ed il recupero del patrimonio architettonico. Nel 1975 esce il primo articolo di Sestini sul Nepal dal titolo Origine dei sistemi costruttivi dei ponti nelle regioni himalayane e loro evoluzione tipologica e strutturale. Sempre nel 1975 l’architetto è selezionato per partecipare – come componente del gruppo scientifico – alla spedizione scientifico-alpinistica italiana del Club alpino italiano al Lhotse (8.516 metri, Nepal), guidata da Riccardo Cassin: tale partecipazione fu validamente patrocinata dall’allora Presidente della Sezione Fiorentina Emilio Orsini.

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Sestini e Somigli percorrono lunghe distanze, sovente ad un’altitudine attorno ai 5.000 metri, per documentare le caratteristiche architettoniche delle abitazioni degli sherpa (gruppo etnico di origine tibeto-birmana) nel distretto del Khumbu ed in particolare nei villaggi di Namche Bazar e Kumjung. Nello stesso anno i due tornano nella valle di Kathmandu, dopo un primo sopralluogo nel 1971, per effettuare rilievi dettagliati delle fontane di Patan. I risultati della spedizione al Lhotse vengono pubblicati nel volume Lhotse 75, che accoglie le relazioni di tutti i partecipanti alla missione, e costituiranno materiale espositivo per le mostre di Pescia (Cai) e di Parigi (Unesco). Nell’esposizione di Parigi, promossa dall’Unesco e dal governo del Nepal, le ricerche di Sestini e Somigli sull’architettura sherpa nella valle del Khumbu acquistano risonanza internazionale; in particolare, esse contribuiscono a richiamare l’attenzione della comunità scientifica sulla necessità di un intervento urgente per salvaguardare le valli della catena himalayana.

Nel 1978 Sestini pubblica, per conto dell’Unesco, il libro Sherpa Architecture e diventa consigliere ed esperto per il Ministero degli affari esteri alla XX conferenza generale dei Paesi membri dell’Unesco. È dello stesso anno una nuova missione in Nepal, nell’alta valle della Kali Gandaki e Muktinath, che lo vede impegnato approfondire le tecnologie costruttive impiegate nelle costruzioni himalayane site nell’area influenzata dal buddismo tibetano. L’argomento riceve finanziamenti dal Consiglio nazionale delle ricerche, che gli permetteranno di condurre ulteriori missioni in altre valli nepalesi (valli del Marsyandi Khola e dell’Helambu), nel 1980, 1981 e 1982, per il completamento delle ricerche sulle tecnologie costruttive.

Nel 1981 hanno inizio, con la collaborazione del Ministero degli Affari Esteri, specifici studi sul patrimonio architettonico nepalese (centro storico di Patan, valle di Kathmandu, Jumla e Parco nazionale del Rara), che proseguiranno fino al 1999. Nel 1993 è consulente della missione congiunta Unesco-Icomos per la revisione dei confini dei World Heritage Site nella valle di Kathmandu e, finalmente, nel 2000 le ricerche condotte da Sestini si traducono in un “piano pilota” per la salvaguardia e la tutela dell’ambiente e dell’architettura lungo il fiume Bagmati nella valle di Kathmandu, finanziato dal Ministero degli affari esteri e condotto assieme a Caterina Bonapace (antropologa), Martino Nicoletti (etnologo), Vincenzo Bentivegna (economista), Enzo Somigli e Vincenzo Gabriele (architetti). Nel 2007 pubblica per i tipi della fiorentina Polistampa dell’importantissimo volume “Architettura Himalayana – Architettura tradizionale della valle di Khatmandu”, mentre nel 1010 vede la luce C. Bonapace e V. Sestini (a cura di), Il fiume sacro Bagnati, .chei conclude un’attività di studio, ricerca e domumentazione condotta soprattutto con l’amico e collega Enzo Somigli.

Per comprendere appieno l’enorme lavoro preparatorio richiesto dalle sue spedizioni e i risultatati ottenuti, conviene consultare il Fondo Sestini, da Lui donato all’Archivio di Stato di Firenze (http://siusa.archivi.beniculturali.it/inventari-pdf/toscana/InventarioSestini.pdf).

Ritengo opportuno ricordare come il lavoro svolto da Valerio, mentre da un lato otteneva indiscussi consensi internazionali, fu da Lui sempre oggetto di una cura schiva da ogni sottolineatura trionfalistica o auto-celebrativa. Il che ce lo rende ancora più prezioso.

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