Monte Cengia-Collerena di Sandro Caldini

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Collerena

Annuario 2014 – Un’escursione ai margini della Prima Guerra Mondiale

Sarà sicuramente capitato a molti di voi di notare il brulicante serpente di persone che ogni giorno di bel tempo estivo, viene scaricato a forcella Longeres dai mezzi pubblici così da disperdersi nei vicini sentieri; molti di loro fanno un turismo semplice, senza pretese, quasi una processione profana che spesso ha come mete il Rifugio Lavaredo, la forcella omonima o il Rifugio Locatelli. Un numero nettamente minore (quelli che con un orribile neologismo vengono chiamati “ferratisti”) si defila verso la Torre Toblin, la Croda Passaporto e il Paterno (anche se la vetta di quest’ultimo è sovente affollata) e, una minoranza etnica, predilige le vette più ambite delle Tre Cime per le numerose vie alpinistiche che le solcano. Eppure a quasi tutti sfugge un messaggio a latere assai importante visto che sono iniziate quest’anno le tristi commemorazioni del Primo conflitto mondiale. Il 2015 coinciderà inoltre con l’entrata in guerra dell’Italia che, “forte “ di generali incapaci di ricoprire il ruolo che avevano, traccheggiò a lungo senza sapere quale fosse la debolezza austriaca nel 1915.

Questi capi militari, copie moderne del Quinto Fabio Massimo romano passato alla storia come “il temporeggiatore”, sono stati gli artefici del massacro di centinaia di migliaia di soldati, giovani o giovanissimi che furono proiettati, quali comparse su un palcoscenico terribile da cui tanti non fecero più ritorno o riportarono segni indelebili delle efferatezze vissute. La zona di Lavaredo era, un tempo, il confine tra Italia e Austria e numerose sono ancor oggi le testimonianze di un conflitto disumano per chi doveva sopravvivere nel mezzo tra il fuoco nemico e il “generale” inverno. Eppure la gran parte dei visitatori di questo museo all’aperto, poco sa di dove stavano gli italiani e dove gli austriaci se non ci fosse la presenza di tabelle indicative ed esplicative.

In un’afosa giornata agostana di due anni orsono lascio la macchina alle 9,45 nei pressi del Rifugio Auronzo, ormai diventato da molto tempo un albergo d’alta quota e privo di un qualunque significato riferito al nome di rifugio. Qui ormai si lavora in serie, una specie di mensa d’alta quota, dove non puoi prendertela comoda perché altri reclamano il tuo posto e il tuo tavolo, il tutto a prezzi esorbitanti. La grande “autostrada” che mena al Rifugio Locatelli è già trafficata di stranieri e indigeni, sempre pronti a farsi immortalare sotto la triade perfetta maggiore dell’empireo dolomitico, per usare un termine musicale. Dopo uno slalom tra la folla, doppio il Rifugio Lavaredo per imboccare, appena passatolo, il sentiero n.104 che mena verso il Rifugio Pian di Cengia. Si scende in maniera abbastanza marcata con poche serpentine per contornare dabbasso la silenziosa Torre Tito ed entrare nell’incantato circo morenico racchiuso tra la Croda Passaporto e le Crode dei Piani. Sono quasi le 11 quando doppio i Laghi dei Piani, piccoli gioielli ormai in sensibile riduzione; qui si trovava nel 1915, una specie di piccolo villaggio da cui partivano i rifornimenti verso le cime circostanti occupate dai nostri militari nonché il deposito che foraggiava le batterie del Collerena. Il sentiero torna poi a salire sensibilmente con varie serpentine per raggiungere un evidente bivio da cui si diparte a destra il sentiero n.107 che costeggia spalti rocciosi modificati dagli italiani come un formaggio gruviera. Salendo costantemente si arriva ad una poco appariscente insellatura senza nome che fa da preludio al vicino Passo Collerena.

I Laghi di Cengia
I Laghi di Cengia

Quest’anonima inflessione del terreno è la chiave di salita per una silenziosa cima, bistrattata dai più che passano da questi paraggi, il Monte Cengia. Una montagna modesta, specie se confrontata con l’aitante prepotenza della Croda dei Toni che la veglia dall’alto. Sono le 11,15 quando lascio il sentiero per risalire lisce lastronate di roccia che mi accompagnano ad una prima calotta sommitale: è la cima NE (2.536 mt.), cinta sul lato SE da un’ampia cengia (da cui il nome del monte?) ancor oggi silenziosa testimone dei miseri resti del conflitto.

Non conoscendo il posto mi ero illuso di aver raggiunto la vetta, ma questa è di poco più in là, alla mercé di chi ha voglia di scoprire le parti meno note dell’ambiente che ci circonda.

Seguendo una blanda traccia di sentiero si scende verso un largo colletto da cui si ricomincia a risalire fino a raggiungere un’evidente caverna di guerra posta su un’anticima. Me la lascio sulla sinistra per camminare sul crinale, al di sopra di questo umilissimo residuo bellico, per poi ricalare con attenzione verso l’ultima forcellina con un breve passaggio di I in un canalino in discesa. Adesso ho di fronte la vetta vera e propria: sono pochi gradoni di buona roccia (I+) da cui, con un breve zig-zag, si raggiunge la stretta sommità (2.559 mt.).

Sono appena 15 minuti dal sentiero n.107 ma quasi nessuno ormai si avventura in queste cime appartate e silenziose.

Monte Cengia
Monte Cengia

Ritorno sui miei passi e m’incammino, dopo essermi ricollegato al sentiero suddetto, verso il vicino Passo Collerena, giusto dietro uno spalto. Il sentiero prosegue pianeggiante verso la Forcella della Croda dei Toni e da qui si sale facilmente il fianco SE del Collerena per toccare la parte più alta di questo brullo cupolone (20 minuti dal Passo Collerena). Anche qui resti bellici ovunque. Ci sono svariate galleria di guerra in questa zona ma non conviene avventurarvisi per il rischio di crolli. Riposo un poco meditando quali potevano essere i sentimenti di quei disgraziati che hanno lasciato i loro cari immolandosi per un concetto di patria assai più grande della loro umile semplicità. Sia fossero italiani od austriaci, nessuno mi toglierà dalla mente le immagini di ciò che rimane a distanza di tanto tempo, crudele testimonianza della ahimè sempre fervida follia umana.

Tre Cime di Lavaredo e Croda Passaporto dal Collerena
Tre Cime di Lavaredo e Croda Passaporto dal Collerena
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