Dall’alba al tramonto di Sergio Rinaldi

Annuario 2014 – L’addio ai monti di Serin un uomo dal nome fittizio ma tratto da una storia vera dedicata alla montagna avendo vissuto per quasi settant’anni la parabola della sua vita come una attrazione sincera e forse un po’ romantica.

Nell’estate del 1953 la mezzanotte era passata da poco. Sul ghiacciaio era buio fitto quando Serin prese ad allacciarsi i ramponi alla fioca luce della sua primitiva pila appesa al collo e poi tenuta nella tasca della sua camicia per non farla sbattere. Il tenue chiarore era solo di pochi metri e procedere in quella semioscurità era come tuffarsi nel nero inchiostro di un vecchio calamaio. Con la mano sinistra doveva reggere gli anelli di corda che lo collegavano agli altri due amici della cordata, e con la destra usava la piccozza per tastare la consistenza del ghiaccio. Salire in quella penombra illuminata solo dal brillio delle stelle era come avere una benda di garza sugli occhi e scansare i crepacci non sempre era facile. Un po’ di fortuna e un po’ d’intuizione consigliavano i loro passi. Ma la maggiore vitalità e spinta proveniva dai loro giovani cuori di entusiasti ventenni. Come al solito erano partiti dal Rifugio prima di tutti ed ora si trovavano ad attaccare l’affilata e ghiacciata cresta di Bionassy diritta come una vela tesa verso la vetta del Monte Bianco. Altri alpinisti li seguivano da lontano e le loro lucine sembravano tante lucciole sparse per l’immenso ghiacciaio. Da oriente le prime lingue di luce iniziarono a rischiarare e colorire le più alte cime del Monte Rosa facendo brillare come cristalli di ghiaccio le impronte lasciate dai loro scarponi. Quel caleidoscopio di colori rifletteva e scomponeva la luce magica della natura che lentamente si risvegliava dal suo letargo notturno.

FOTD373

Il ricordo vaga ora lontano, indietro di un anno, su un’altra grande montagna dove Serin e compagni si trovarono impegnati sempre in quelle ore oscure mattutine sulle tetre rocce che separano la parete Est da quella Nord del Cervino. In quel tempo essi non conoscevano ancora la via da seguire per la vetta della GANDE BECCA. Sapevano però che una cresta rocciosa si ergeva seguendo una logica via di salita dove gli ostacoli non dovevano essere rilevanti. Ma l’impegno su quei torrioni di roccia non si presentò troppo banale mentre Serin e gli altri due compagni di cordata tastavano l’ambiente quasi al buio delle loro pile per indovinare gli appigli. Da un roccione discesero all’intaglio successivo per risalire poi il torrione successivo. E così i tre amici proseguirono scalando diverse rocce dentellate di quel filo aereo di cresta senza trovare alcuna traccia di passaggio umano. L’incertezza divenne più evidente quando videro più in basso spuntare le lucine di qualche nuova cordata che saliva più spostata verso la parete Est e quindi non sullo stesso loro percorso. Le prime luci dell’alba schiarirono anche le loro idee e così presero a deviare verso quelle lucine che probabilmente indicavano la via normale, più facile, dell’Hornly al Cervino seguita per la prima volta da E. Whymper nel 1865.

Tornando indietro col pensiero erano circa le ore 7 del mattino quando toccarono la cima del Monte Bianco, la vetta più alta d’Europa, e un brillio di lucine rivelò loro la lontana grande Parigi. A Nord e a Est scoprirono altre vette più o meno rocciose secondo l’esposizione, solcate dai ghiacci eterni dell’alta montagna: le Grandes Jorasses, il Gran Combin, il Cervino, il Monte Rosa. E più a Ovest e a Sud : la Grivola, Il Ruitor, il Gran Paradiso, il Monviso e le lontane Alpi Marittime. La visione era davvero stupenda per l’aria tersa facendo vibrare i loro cuori di gioia a contatto di quella bellezza del creato che aveva saputo far emergere e scolpire tali meravigliosi monumenti da un mare ormai ritiratosi in un tempo lontano. In quei primi anni ‘50 Serin non sapeva ancora che più tardi avrebbe solcato, come un nocchiero errante, quelle ardite vette svelandone i segreti e superando le difficoltà per raggiungere le mete culminanti dei suoi desideri e dei suoi sogni giovanili. Pure dalla vetta del Cervino, raggiunta poi con tre diverse scalate (anche d’inverno), scoprì nuovi orizzonti e nuove cime che attirarono la sua attenzione dal vicino Dent d’Herens alle cime del Vallese con la Dent Blanche e lo Zinalrothorn fino alle punte emergenti dai ghiacciai del Monte Rosa. Queste e tante altre cime videro Serin e i suoi amici accedere di buon mattino sui quei picchi slanciati verso il cielo e lassù vi trovarono il silenzio e la pace delle vette. Capirono così che quel breve tempo trascorso lassù in alto in raccolta contemplazione e soddisfazione valeva la pena dei tanti sacrifici da affrontare. Dal cuore e dall’animo si elevarono allora un pensiero e un sentimento di gratitudine verso quel mondo alpestre sorgendo spontanei i versi di quel canto di montagna:

MONTAGNES VALDOTAIN VOUS ÉTES MES AMOURS

La maturazione alpinistica di Serin cresceva con l’età e le occasioni stimolate dai sogni si fecero sempre più frequenti assieme allo sviluppo dell’esperienza. Quelle cime lo attiravano come una ciliegia dopo l’altra e un po’ alla volta la sua cintura non trovò più spazio per nuove tacche (come diceva un suo caro amico) e quasi tutte le più alte vette dell’arco alpino (dalle Marittime alle Dolomiti) udirono il suo grido di gioia quando ne solcava la cima, seguendo l’usanza di quei tempi. Dai vecchi e pesanti moschettoni di ferro, dalle primitive corde di manila e di canapa, dagli scarponi rigidi Serin passò gradatamente alle attrezzature più moderne che permettono oggi di scalare le montagne con maggiore sicurezza. Ma anche lo scialpinismo gli aprì le porte della montagna innevata nel suo periodo invernale, stimolato alla ricerca di nuove mete e nuovi amici usando gli sci per cimentarsi con se stesso e con la tecnica sciistica più impegnativa da usare anche nei canaloni. Imparò, a sue spese, a conoscere e rispettare più da vicino la neve e il ghiaccio. Tanti amici lo precedettero e lo seguirono avventurandosi in ricordi comuni e lasciando la loro firma sui libretti delle cime e dei Rifugi alpini.

Però, nei giorni trascorsi sui monti, non sempre trovò la clemenza meteo del tempo favorevole, ma dovette anche subire l’ira scatenata di improvvisi temporali, di grandinate, di nevicate e di pericolose saette.

Serin e un amico ricordano ancora quando si trovarono, protetti solo da una leggera giacca a vento, alle prime luci dell’alba ricoperti da circa 40 cm. di neve fresca caduta nella notte di bivacco forzato sulla Nord del Visolotto a oltre 3000 m. di quota. Un’altra impegnativa avventura sci-alpinistica la vissero durante la salita invernale al Cervino, con temperature attorno ai 25 gradi sottozero, dove il vino nelle borracce e le arance erano diventate un blocco di ghiaccio. Alterne vicende di tante scalate più o meno riuscite maturarono in Serin il carattere, la volontà, la perseveranza e l’intuizione per risolvere velocemente i momenti più critici presentatosi. Poi, poco alla volta, quell’alito fresco che regna sulle cime a contatto col cielo si fece sempre più raro col passare degli anni. La fatica della salita era diventata gradatamente più dura, Il fiato venne a diminuire assieme al cuore che non pompava più regolarmente andando a singhiozzi o in apnea rendendo necessario un apparecchio per aiutarlo. Le montagne di Serin si fecero sempre più lontane e difficili da raggiungere. L’impegno divenne più arduo da superare perché nuovi acciacchi limarono la sua volontà, sotto la spinta inesorabile dell’effetto anagrafico. Ormai aveva superato di qualche anno l’ottantina e così capì che forse era giunto per lui il momento di staccare la spina e di appendere la corda al chiodo.

Gli amici continuavano a sollecitarlo a non abbandonare perché la sua presenza arrecava ancora una forte spinta emotiva e di riferimento. Ma Serin intuì che era più giusto passare il testimonio ad altri più giovani e più preparati di lui perché difficilmente sarebbe uscito fuori da quel viale del tramonto che ormai aveva, suo malgrado, imboccato.

Gli vennero in mente i versi di quel bellissimo canto Valdostano:

VOICI VENIR LA NUIT LA’ BAS DANS LA CAMPAGNE ET LA FIN DU JOUR LA HAUT SUR LA MONTAGNE …

Anche per Serin era giunta l’ora di scendere a valle con le ultime luci del tramonto che coloravano ancora le alte cime quasi a salutare il suo abbandono. Serin riguardò forse per l’ultima volta quelle cime che aveva tanto amato ripensando che lassù, su quelle montagne, aveva trascorso una vita intera che lo aveva reso tanto libero e felice.

Condividi questo articolo attraverso i tuoi canali social!