La grande guerra e i canti corali di Stefano Saccardi

La prima guerra mondiale fu il conflitto armato che coinvolse le principali potenze mondiali e molte di quelle minori tra l’estate del 1914 e la fine del 1918.

Chiamata inizialmente dai contemporanei “guerra europea”, con il coinvolgimento successivo delle colonie dell’Impero britannico e di altri paesi extraeuropei tra cui gli Stati Uniti d’America e l’Impero giapponese, prese il nome di “Guerra Mondiale” o anche “Grande Guerra”: fu infatti il più grande conflitto armato mai combattuto fino alla seconda guerra mondiale.

Il conflitto ebbe inizio il 28 luglio 1914; l’Italia per un anno si mantenne neutrale poi il 24 maggio 1915 (quando il Piave mormorò) dichiarò guerra all’Austria.

Una delle tante eredità che la guerra lasciò ai posteri è quella delle canzoni; da sempre infatti la musica ha fatto parte della vita dei soldati nei campi di battaglia o nelle retrovie.

Accompagnate da un testo facilmente memorizzabile, furono composte per aumentare il senso di appartenenza a un gruppo, per sollevare gli animi, oppure per esorcizzare la paura della morte, sempre in agguato.

Altre invece narrano di amori lontani, di speranze, di lontananza dalla casa e dall’affetto materno o glorificano le gesta eroiche esaltandone il coraggio e il sacrificio.

I testi delle canzoni composte e cantate durante la Grande Guerra raccontano le gesta di un battaglione, il dolore per i lutti, descrivono i luoghi delle battaglie oppure le speranze di rivedere la propria amata che aspetta il soldato a casa; molte peraltro distinte nelle varianti linguistiche, peculiarità regionali e rifacimenti, segno questo, senz’altro, del grande proliferare di componimenti in tutte le regioni d’Italia.

Cantare per darsi coraggio: quando il freddo e la guerra tolgono ogni speranza, le voci unite in coro possono dare calore e forza.

Così nascevano i canti della Grande Guerra, nei momenti più difficili o più belli: condividere la gioia per un pericolo appena scampato, consolarsi per la morte di un commilitone, gioire per una vittoria o celebrare la fine della guerra.

Molte nate dopo la fine del conflitto per ricordare e tramandare ai posteri quanto accaduto; tutte comunque sono entrate a far parte del grande patrimonio culturale del nostro paese che è il canto tradizionale e popolare corale.

I canti, soprattutto quelli degli Alpini, erano cantati da tutti, senza distinzione di grado o provenienza: nelle trincee sotto i colpi di fucile, oppure nelle piazze nei momenti di pace per non dimenticare mai i momenti di guerra.

L’ufficiale e il soldato semplice stavano vicini, e nel coro diventavano uguali: uomini col bisogno di esprimere le proprie emozioni, di condividere l’esperienza, di sentirsi parte di un battaglione.

La gran parte dei militari di prima linea (cioè quelli mandati alla morte!) erano braccianti, contadini, operai, gente umile, e di conseguenza analfabeti o semianalfabeti.

In trincea nacque l’esigenza di informare le famiglie e comunicare loro notizie e per questo con l’aiuto dei più istruiti e degli ufficiali, iniziarono a scrivere lettere, a tenere diari, molti anche con disegni illustrativi.

Il linguaggio utilizzato è spesso sgrammaticato e di difficile comprensione, poiché gli uomini si esprimevano abitualmente in dialetto con incerta calligrafia.

Teniamo presente che coloro che venivano mandati a combattere erano contadini, braccianti, gente umile, come accade in tutti i conflitti bellici.

Chiedevano notizie dei campi, delle stalle, della famiglia per poter pensare al dopo guerra con il ritorno a casa.

Questi documenti sono giunti a noi e ci hanno fatto conoscere le vicissitudini anche personali della guerra e dei soldati.

Alcuni trovarono il modo di comporre come il musicista piemontese, l’ardito Nino Piccinelli, che in prima linea sul Monte Ortigara, una delle battaglie più sanguinose del conflitto, che raccontò di avere scritto “Ta pum” la notte prima di un assalto a quota 2105: “La nostra trincea distava poche decine di metri da quella austriaca. Diedi una nota ad ogni sospiro della mia anima, nacque così l’accorato e disperato canto, tra i lugubri duelli delle artiglierie, il balenio spettrale dei razzi, il gemito dei feriti, il tiro infallibile dei cecchini”.

Ta pum era il caratteristico rumore che i soldati italiani udivano in trincea quando i cecchini austriaci sparavano con il terribile fucile Mannlicher M95 chiamato anche “l’attrezzo mortale”. Fucile innovativo per il tempo perché il proiettile viaggiava a velocità 2/3 volte maggiore di quella del suono.

Infatti, gli spari partivano da lontano e il bersaglio prima udiva il rumore dello schianto del proiettile “TA” e poi il suono della detonazione “PUM”.

Altro brano della tradizione alpina della Grande Guerra è “IL TESTAMENTO DEL CAPITANO”

Nasce da un 500esco canto piemontese “il testamento spirituale del Marchese di Saluzzo” un capitano d’armi francese che nel 1528 ad Aversa nel Regno di Napoli esprime le ultime volontà ai suoi soldati.

“Il signor capitano di Saluzzo è tanto malato, e morirà. Manda a chiamare, il signor Capitano, i suoi soldati…

Ereditato dalla tradizione alpina all’epoca della Grande Guerra dove il testo è un misto tra il dialetto veneto e quello trentino.

Il capitano ferito e morente ricorda con un ipotetico testamento ai suo soldati riuniti intorno a lui le cose più belle che ha avuto dalla vita: la patria, il battaglione che ha comandato, la cara  mamma, la bella morosa e per ultime le sue adorate e splendide montagne.

Termino questa brevissima rassegna con un canto rappresentativo degli alpini e che riguarda anche la nostra Firenze.

Parlo di “STELUTIS ALPINIS”.

Arturo Zardini applicato del Comune friulano di Pontebba e compositore, era profugo a Firenze ai tempi della disfatta di Caporetto dell’ottobre 1917 durante la Grande Guerra unitamente a tutta l’amministrazione comunale del suo paese e ad altre migliaia di Pontebbani.

Ben 270.000 friulani furono profughi un po’ in tutta Italia, ben 40.000 circa a Firenze.

Sembra che proprio in Piazza Signoria al tavolino di un bar leggendo le notizie dal fronte commosso e rattristato da quelle vicende, Zardini trasse l’ispirazione del testo e della musica.

Scritto in friulano è per gli abitanti di questa regione e per le truppe alpine un vero e proprio inno per una terra che ha vissuto nel tempo molte sofferenze.

Caposaldo della musica corale è considerato una preghiera degli alpini piena di poesia.

La bellezza e la dolcezza del brano sono state avvalorate da esecuzioni di grandi interpreti contemporanei come Francesco de Gregori.

Il canto narra di un alpino morto in combattimento che si rivolge alla sua sposa dicendole che lui e la stella alpina da lei colta nello spiazzo bagnato dal suo sangue lassù tra le rocce le saranno sempre accanto.

In conclusione i canti, insieme alle lettere, ai diari e a tutti i documenti a noi pervenuti siano di monito per le generazioni future per aborrire le guerre.

Per non dimenticare.

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