Marmo e Apuane sono un binomio inscindibile: chi parla dell’uno dice inevitabilmente anche dell’altro. Tutti sanno dove sono le Apuane e il marmo di Carrara è noto in tutto il mondo; pochi però sono a conoscenza che per l’inoltro a valle del materiale estratto dalle cave di Carrara fu a suo tempo realizzata un’ardita ferrovia, con varie diramazioni per l’accesso ai singoli bacini di escavazione.
La linea, collegata sia al porto che alla rete FS, era esercitata con trazione a vapore e fu in servizio dal 1876 al 1964; nella stazione terminale di Ravaccione raggiungeva la rispettabile quota di 445 m s.l.m., affrontando una pendenza massima del 60 ‰.
L’escavazione del marmo nelle Alpi Apuane, già in atto sin dal tempo degli etruschi, fu sviluppata dai romani per la costruzione dei sontuosi edifici di epoca imperiale. Dopo la stasi del medioevo, le cave ripresero sviluppo al tempo dei Medici: Michelangelo stesso si recò più volte a Carrara per scegliere il marmo per i suoi capolavori e presenziare all’estrazione dei blocchi.
Intorno a Stazzema le cave mischio, breccia policroma di rara bellezza, erano già celebri al tempo dei romani; nelle valli del massese l’estrazione si sviluppò a metà ‘800; nello stesso periodo furono aperte le prime cave di marmo ad Arni; nel 1901, nonostante le difficoltà dei trasporti, vennero aperte cave anche a Minucciano e Vagli; infine, intorno al 1912, iniziò l’estrazione anche sul Sagro e a Equi Terme, nella valle del Lucido.
Gran parte delle cave storiche si trova sui fianchi dei canali, anche oltre 1000 m di altitudine. I blocchi di marmo preparati sui piazzali di cava venivano fatti scendere a valle, lungo il pendio scosceso della montagna e fino ad un piano caricatore disposto lungo le sottostanti vie che conducevano alla pianura, col pericoloso ma insostituibile sistema della lizzatura, in uso fino al tempo dei romani: sotto il blocco o i blocchi costituendi la carica di 15-25 tonnellate di massa, si disponevano due lizze, travi di legno ricurve verso l’alto lunghe fino a 12 metri. Esse posavano su travicelli (parati) disposti trasversalmente alla via di lizza, insaponati superiormente; la carica scivolava sui parati, continuamente tolti di dietro e con prontezza portati avanti dai componenti di una compagnia di lizza, composta da 6 a 15 uomini specializzati e da un capolizza; alcuni di essi, dall’alto, manovravano i canapi a cui era attaccata la carica, amministrandone le spire di avvolgimento a pioli di legno infissi saldamente in luogo sicuro, ai margini della via. Le strade della lizzatura a monte, con tracciati vertiginosi, a fondo naturale o con rozza pavimentazione marmorea, consentivano di superare anche forti pendenze. Fino alle segherie in piano o al punto d’imbarco a mare il trasporto dei blocchi veniva effettuato con i caratteristici carri romani, rimasti immutati per secoli, tirati da lunghi traini composti di norma da sei a dieci paia di buoi.
La situazione cambiò con l’arrivo dei binari e delle macchine a vapore nei bacini marmiferi che dettero luogo a una repentina espansione della estrazione del marmo, che poteva essere assorbito dal trasporto ferroviario, ma che favorì indirettamente la nascita delle prime strade marmifere, seppur inefficienti e malsicure. Sul finire dell’800 comparvero le prime trattrici stradali a vapore, grosse macchine che erano in sostanza locomotive a vapore adattate per la marcia su strada; fornite anteriormente di ruote sterzanti, avevano grandi ruote posteriori munite di larghi pattini inclinati, per una maggiore presa sul terreno; da qui l’appellativo di ciabattone dato alle trattrici, che nel loro lento, ma sicuro movimento potevano trainare anche più di un rimorchio. Al termine della guerra 15-18 comparvero alcune trattrici automobilistiche disponibili a basso prezzo come residuati bellici; fu poi la volta delle bubbe (così chiamate dal nome del produttore, cavalier Pietro Bubba di Piacenza) grosse trattrici stradali con motore a testa calda monocilindrico, adattamento specifico di trattrici agricole.
Nel contempo, dopo i successi realizzati a seguito dell’introduzione dei più sicuri cavi d’acciaio in luogo dei canapi, proseguivano i tentativi per superare la tradizionale lizzatura meccanica; furono costruiti alcuni piani inclinati, su pendenze fino all’80%, armati con un binario sul quale, manovrato mediante un argano elettrico, un cavo tratteneva in discesa un carrello, mentre un altro carrello risaliva, con binario di raddoppio a metà percorso per l’incrocio dei carrelli.
Furono realizzati anche pochi impianti a fune, che andavano dal rudimentale dispositivo volante conosciuto come palorcio alla mastodontica teleferica del Balzone, che serviva a calare i marmi degli alti bacini del versante nordorientale del Sagro, a quota 1200 m, verso i depositi e le segherie di Monzone, nella valle dell’Aulella, 700 m più in basso. Questo grande impianto, che traeva nome dal profondo canalone, detto del Balzone superato da un’ardita campata, venne abbandonato nell’anno 1957, quando la rottura dei cavi fece precipitare un carrello carico di blocchi, causando vittime fra gli operai.
Vanno infine rammentati impianti, unici nel loro genere, ideati e realizzate dagli stessi tecnici e operatori del marmo. Il più caratteristico era certamente la monorotaia alla Cava della Piastra: si trattava di una via di lizza meccanica, che superava un dislivello di 1600 m con andamento sinuoso, adattandosi ai pendii o penetrando in anfratti e stretti impluvi. Altro curioso mezzo era la macchinetta Ronchieri, così detta dal cognome del suo ideatore, dotato di un originale sistema di trazione (due dispositivi a cingoli azionati da motore Diesel agivano sui lati della monorotaia), per rimorchiare una sorta di slitta capace d’una carica fino a 20 tonnellate, alla velocità di circa 600 metri l’ora.
La genesi della Ferrovia Marmifera di Carrara fu alquanto travagliata. Già nel 1846 si era cominciato a parlare di una «strada ferrata per il trasporto del marmo di Carrara alla spiaggia del mare», ma per difficoltà di carattere finanziario non si andò oltre i disegni preliminari. In seguito, l’imprenditore fiorentino Giuseppe Troyse-Barba presentò al Comune di Carrara un progetto organico, riguardo al quale una parte del Consiglio comunale riteneva che la concessione della ferrovia marmifera spettasse al Governo, ai sensi della legge 20 marzo 1865 sui Lavori pubblici; mentre altra parte sosteneva la facoltà del Comune ad accordare in nome proprio la concessione richiesta, in virtù della giurisdizione diretta del Comune sugli agri marmiferi. Dopo un vivace dibattito, il Consiglio comunale rilasciò la concessione, con deliberazione 5 dicembre 1866, precisando che la ferrovia non era destinata al trasporto di persone, trattandosi di infrastruttura a servizio delle cave. Il Consiglio di Stato, al quale fu sottoposta la questione, ravvisando che il Municipio di Carrara aveva il potere dispositivo sulle cave di marmo, stabilì che gli accordi stipulati per la costruzione della strada ferrata fossero da considerarsi alla stregua di una convenzione privata, una sorta di ausilio del Comune all’esercizio e allo sviluppo di una propria industria.
Dopo alterne vicende, nuovi disegni e varie ipotesi alternative, si giunse al progetto esecutivo redatto dagli ingegneri Carlo Willy e Pietro Ganzoni e al contratto di concessione definitivo della ferrovia marmifera; ciò avvenne alle condizioni stabilite con atto 19 ottobre 1866, a favore di un gruppo di imprenditori che si era sostituito a Troyse-Barba, e in breve si dette inizio ai lavori di costruzione, affidati all’impresa Ferroni & Prati di Senigallia.
Il Governo non rimase spettatore passivo: ignorando completamente le deliberazioni del Comune di Carrara, rilasciò ad altri imprenditori un’autonoma concessione per la costruzione e l’esercizio di una ferrovia pubblica dalle cave alla stazione di Carrara e fino al mare, secondo un progetto praticamente identico al tracciato Willy-Ganzoni: con decreto reale datato Firenze 12 aprile 1871 vennero approvati la convenzione e il relativo capitolato d’oneri.
Ne venne fuori una clamorosa contesa tra il Comune di Carrara e lo Stato che terminò solo a seguito della sentenza della Corte di cassazione di Torino del 17 marzo-3 aprile 1882, che pose fine alla lite con piena ragione del Comune.
Intanto il treno era giunto a Carrara il 10 settembre 1866 con l’inaugurazione della breve tratta di 4,5 km da Avenza, subito caratterizzata da un vivace servizio, merci e viaggiatori.
Con atto 29 maggio 1874 venne formalmente costituita la società anonima «Società della Ferrovia Marmifera Provata di Carrara». Il 19 agosto 1876 venne inaugurato l’esercizio dei primi tronchi tra Carrara e Miseglia e tra Avenza e il mare, che però allacciavano un solo importante scalo, quello della Piastra. Ben presto apparve evidente la necessità di completare la ferrovia, collegando le cave alte (Colonnata, Fantiscritti, Canal Grande e Ravaccione) in modo da raggiungere il più gran numero possibile di fronti di coltivazione. Furono così presentati due progetti, differenti tra di loro, che il Comune giudicò insufficienti ed approssimativi; sorsero polemiche e difficoltà di vario genere, fino a quando, prevalso il buon senso e nell’intento di evitare un’ulteriore lite giudiziaria, la FMC presentò un nuovo progetto organico.
I lavori di costruzione dei nuovi tronchi, per i quali erano previste lunghe gallerie ed il grande viadotto di Vara, vennero affidati alla Società Veneta, affidabile ed esperta costruttrice ed esercente di ferrovie, che riuscì a portarli a compimento in soli quattro anni di intenso lavoro, nonostante l’intrinseca complessità delle opere. L’inaugurazione dei tronchi superiori della Marmifera avvenne il 15 maggio 1890; due anni dopo fu costruito l’allacciamento ferroviario tra Colonnata e la cava di Gioia, che era stato in un primo tempo stralciato. Si giunse così al compimento della rete ferroviaria fra Ravaccione e il mare che metteva in collegamento un cospicuo numero di fronti di scavo attraverso un percorso ricco di diramazioni e di opere d’arte. Grazie alla regolarità e all’affidabilità del trasporto, la Marmifera divenne ben presto strumento indispensabile per lo sviluppo delle cave: ardita opera di geniale ingegneria ferroviaria, svolgerà per lunghi decenni un servizio efficiente e capillare a servizio dell’industria marmifera locale.
Lo sviluppo totale della Ferrovia Marmifera propriamente detta (escluso quindi il tronco intermedio Avenza-Carrara San Martino che dal 1905 sarà preso in carico dalle FS) era di 21.945 m, dei quali 16.041 m erano costituiti da binari di corsa e 5.904 m da binari di servizio nelle stazioni. Esistevano inoltre raccordi e diramazioni con numerosi stabilimenti e depositi per uno sviluppo complessivo di 8 km circa di binari.
La linea si svolgeva attraverso una regione estremamente tormentata, penetrando lungo anguste vallate separate da monti alti oltre 1000 m. La pendenza della linea era davvero notevole per l’esercizio ad aderenza naturale (cioè senza cremagliera) con livellette dal 50 al 60 ‰ lungo i due binari di salvamento di Miseglia Superiore e di Tarnone. Esistevano ben 15 gallerie della lunghezza complessiva di 4.537 m e 16 tra ponti e solidi viadotti con arcate della luce da 10 a 30 m. Le numerose opere d’arte erano conseguenza sia della conformazione del terreno, che del costo molto elevato delle aree che si sarebbero altrimenti dovute occupare, nonché delle grandi masse di detriti sparse nelle vallate che non si potevano evitare se non passando in galleria; queste ultime erano di regola scavate in banchi di marmo compatto e perciò prive di rivestimento. I materiali di scavo delle gallerie avevano fornito i blocchi per la costruzione dei muri di sostegno e il pietrisco della massicciata del binario. La notevole incidenza delle tratte in galleria e la curata disposizione del tracciato riducevano al minimo i tratti scoperti o mal difesi, rispetto al pericolo derivante dalla vicinanza delle cave e delle discariche di detriti.
I fasci dei binari delle stazioni erano proporzionati allo smistamento del traffico e alle operazioni di caricamento: le stazioni di Ravaccione e Fantiscritti, che nei primi anni di esercizio erano sprovviste di vere e proprie attrezzature di sollevamento, possedevano impianti fissi costituiti da una gru a ponte e da una gru a cavalletto, della portata di 30 tonnellate ciascuna. La linea, dovendo supportare un traffico assai pesante, era armata con rotaie da 36 kg/m in barre di lunghezza variabile. Lungo tutto il percorso si contavano 17 impianti tra stazioni e piazzali di caricamento (Avenza, Fiorino, scalo Peghini, Carrara San Martino, Carrara Monterosso, Miseglia Inferiore, Miseglia Superiore, Torano, Piastra, Betogli, Tarnone, Fantiscritti, Ravaccione, Colonnata, Gioia, Marina di Carrara e Covetta). C’era poi il tratto di prolungamento verso il molo caricatore di Marina di Carrara e un collegamento con il sistema di raccordi industriali localizzato all’interno della stazione di Marina di Carrara.
La Marmifera dette fin dall’inizio vigore e impulso all’economia carrarese e favorì lo sviluppo dell’estrazione e della lavorazione del marmo. I lenti traini dei buoi un po’ alla volta vennero soppiantati, il progresso andava avanti, si stava sovrapponendo a una tradizione bimillenaria con importanti ripercussioni su aspetti sociali e umani: i bovari, temendo per il loro lavoro, con una temeraria azione di sabotaggio minarono nottetempo il viadotto di Vara, che rimase seriamente danneggiato alla base delle pile. La ferrovia era però il futuro: operando in modo economico ed efficiente svolse una funzione fondamentale per tutte le attività del settore del marmo, tanto che nel 1910 l’80% della produzione della cave veniva trasportato su ferro.
Il 2 agosto 1916 la concessione fu prorogata fino al 31dicembre 1966, in cambio di una partecipazione del Comune agli utili del traffico ferroviario.
Negli anni successivi alla fine della guerra del 15-18 l’attività della cave era in forte, costante ascesa, ma la ferrovia non riusciva a far fronte all’aumento dell’estrazione: quasi la metà del materiale estratto giungeva ormai alla stazione di Carrara San Martino delle FS con altri mezzi: dai superstiti carri a buoi ai più moderni rimorchi delle trattrici a vapore, un po’ alla volta sostituite da quelle con motore a combustione interna. È in questo periodo che si manifestarono i primi segni tangibili dello sviluppo della concorrenza alla ferrovia da parte dalle trattrici automobilistiche, attraverso strade improvvisate e con materiale proveniente dai residuati bellici. Grazie al tracciato, però la ferrovia riuscì a difendere il suo predominio, specialmente nei due canali di Ravaccione e Fantiscritti, nei quali non esistevano strade.
Nel 1926 si ebbe il massimo dell’espansione della Marmifera; il traffico s’innalzò a punte mai raggiunte, oltre 500.000 tonnellate in totale, cosicché la FMC decise di acquistare nuovo materiale rotabile, pur sempre avvalendosi della trazione a vapore assicurata da locomotive di costruzione tedesca. Nei primi anni trenta il trasporto dei marmi effettuato via strada continuò a espandersi, nonostante misure protezionistiche adottate a favore della Marmifera.
Da segnalare in quegli anni un timido esperimento di servizio viaggiatori con finalità sostanzialmente turistiche. Leggiamo cosa dice in proposito la Guida d’Italia del Touring Club Italiano che negli anni ‘20 non disdegna di suggerire apertamente la strada ferrata per la visita alle cave di marmo delle Alpi Apuane:
«Ottimo l’approfittare con misura e modo della ferr. marmifera privata, di cui il primo tronco è stato attivato nel ’76 e che ha raggiunto ora uno sviluppo compless. di km. 21. Serve esclusivam. per le merci: ha però un vagoncino passeggeri (capace di 25 persone) per uso della Direzione della Società, che viene cortesem. messo a disposiz. dei visitatori che fanno richiesta con preavviso (scrivere alla Direz. della Società di Carrara dando qualche larghezza nella scelta del giorno; le domeniche sono escluse. Possibilm. riunirsi in comitive. Se si tratta solamente di 1 o 2 visitatori uomini, essi possono ottenere il permesso di salire in locomotiva o su altri carri, perché il vagoncino obbliga a manovre non indifferenti. La visita è gratuita: mancia la personale del treno).
La ferr. è ardita, con numerose opere d’arte: lunghi viadotti di cui alcuni in curva e gall. scavate nel marmo. Pendenze fino a 60 per mille, curve di piccolo raggio (fino a 80 m.) scartamento normale.
Si descrive qui il percorso che di solito viene fatto dai turisti. Partenza dalla stazione di Monterosso (dove si trova un enorme deposito di marmi) nella parte alta, N, della città, di solito alle 8,30 per essere di ritorno alle 13 (non occorrono provviste; a Ravaccione si trova eventualm. da mangiare qualche cosa. Scarpe robuste se si vuol salire a qualche cava super. Mettersi a d. o stare sulle piattaforme esterne quando la ferr. non è in gall.). Subito comincia la rude salita, vista limitata nella valletta del Carrione fino alla prima stazioncina di Miséglia Inferiore. Qui il treno, per l’angustezza della valle, fa il primo regresso. Poco dopo, belliss. vista sulla città e la pianura fino al mare (ad 8 km. in linea retta, Marina di Carrara si distingue benissimo co’ suoi ponti caricatori e col suo gran deposito di marmo). Lo stesso panorama, si presenta ancor più bello dopo il regresso di Torano. Da questa staz., mentre il treno manovra, si può andare fino all’imbocco N della breve galleria Créstola (bella veduta sulla valle bianca di marmi uscendo dalla gall.). Da qui si vedono le cave di statuario e di paonazzo. Si vede pure la cava di Bettogli, in cui nel ’91 una frana seppellì 11 operai. Si passa Miseglia Sup.; subito dopo una galleria di 629 m., indi altre due minori. Presso Bélgia, bella visita sugli altipiani verdi dominati dai tre villaggi di Miseglia, Colonnata e Bedizzano.
La galleria di Montenovelli, di m. 949, conduce a Fantinscritti, importante centro di estraz.; notevole panorama. L’ultima galleria del Torrione, di m. 1194, porta a Ravaccione, ove la linea ha termine. Le cave si mostrano qui in tutta la loro imponenza».
La concorrenza dei mezzi stradali si fece sempre più incalzante, nonostante la diminuzione delle tariffe ferroviarie; il traffico delle trattrici non accennava a diminuire tanto che la Marmifera nel 1937 fu costretta a rilevare alcune imprese di autotrasporti, assumendo proprietari e dipendenti e pagando il valore dei mezzi.
Dopo anni di incertezza, nel giugno 1944 l’esercizio ferroviario venne sospeso completamente: le cave marmifere erano campo d’attività di reparti partigiani e i tedeschi proibirono ogni comunicazione con quella zona montana. La Marmifera, oltre a sopportare le perdite dovute alla forzata inattività, subì danni da incursioni aeree; alcuni tratti di linea furono minati dalla Wehrmacht; parte del materiale rotabile fu reso inefficiente dai dipendenti stessi. Tutti i fabbricati rimasero distrutti o gravemente danneggiati, così come le principali opere d’arte.
Nel maggio 1945 l’esercizio fu riattivato alla bell’e meglio e si potè soddisfare le prime rare richieste di trasporto. Con la linea delle FS ancora inattiva per danni bellici, la FMC supplì con un servizio di trattrici stradali tra Carrara ed Avenza, ma si era ormai sul viale del tramonto.
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale vi fu una marcata espansione dell’autotrasporto: ormai una fitta rete di ardite vie di arroccamento (molte delle quali asfaltate!) collegava praticamente tutte le cave direttamente con i fondovalle e col piano. Il nuovo sistema viario facilitava l’afflusso alle cave di attrezzature e di macchine operatrici cingolate e gommate di ogni specie, con le quali il lavoro riusciva ora più celere ed economico.
All’inizio degli anni ‘50 la FMC mise a punto un programma tecnico-economico per la riorganizzazione e la modifica dell’esercizio per cercare di ridurre gli eccessivi costi di gestione, determinati anche dall’invecchiamento del materiale rotabile. Con atto del 25 maggio 1956, la concessione della Marmifera venne prorogata al 31 dicembre 1971 e nel 1960 iniziò un timido processo di ammodernamento degli impianti e del materiale di trazione. S’iniziò con l’automatizzazione di sei passaggi a livello nell’abitato di Carrara e si proseguì con la graduale sostituzione delle locomotive a vapore con più moderne locomotive Diesel. Non si ritenne però conveniente l’applicazione ai vecchi carri, sia pure al numero strettamente occorrente per un servizio riorganizzato, del freno continuo (cioè comandato dalla locomotiva), per cui l’adozione dei nuovi mezzi di trazione apportò ben modesti benefici, non potendosi ridurre il numero degli agenti addetti alla manovra dei vecchi, ma indispensabili, freni a mano.
Il 3 agosto 1962 il Consiglio comunale di Carrara approvò un piano tecnico con la graduale sostituzione del trasporto su rotaia con quello su gomma, da effettuare sugli stessi itinerari interessati dalla ferrovia, senza però aver neppure tentato di conciliare la coesistenza della ferrovia con una rete stradale migliorata in un sistema di trasporti integrati. Anche se la scadenza della concessione era stata ulteriormente prorogata al 31 dicembre 1981, si era ormai alla fine: nell’agosto 1963 iniziò lo smantellamento della linea, partendo dai tronchi superiori; il 15 maggio 1964 si ebbe la completa cessazione ogni forma di esercizio ferroviario.
E oggi cosa resta?
Molte delle opere di ingegneria civile che furono realizzate per la costruzione della ferrovia sono ancora esistenti; alcune di esse sono adibite alla circolazione stradale. Tra le più importanti si ricordano la galleria tra Fantiscritti e Ravaccione, i ponti di Vara, i ponti in ferro di Vezzala e Ravaccione, i viadotti di Miseglia. Di sicuro interesse è la visita alla cava di Fantiscritti con ciò che resta dell’omonima stazione ferroviaria che ospita l’interessante “Museo delle cave”; con visite guidate è possibile anche l’accesso all’enorme cava sotterranea a cui si accede utilizzando l’originario tracciato in galleria della Marmifera.