Porrettana, che passione! di Guido Verniani

Si può essere innamorati di una ferrovia? Ebbene sì e l’abbiamo verificato partecipando ad una gita organizzata dalla sottosezione di Scandicci in collaborazione con il gruppo GEEO.

Già alla presentazione Alfio si appassionava a descrivere ciò che avremmo visto percorrendo l’itinerario. Con la gita andavamo a rendere omaggio ad una grande signora, appunto la Porrettana, che certamente mostra gli anni che la gravano, ma anche i segni di una grande bellezza: le linee ardite dell’opera, il materiale usato per la costruzione, il rispetto della natura che pur violata non viene mai sconvolta.

Il tracciato che seguiremo è il «sentiero del vapore», aperto nel 2014 in occasione del contocinquantenario sulla base di un progetto di recupero della sentieristica nell’area di Piteccio legata alla realizzazione della ferrovia. Il percorso è circolare, da Castagno a Piteccio e ritorno; qui prenderemo il treno che ci riporterà a Firenze. La scelta del treno non è casuale ma – ci tiene a precisare Alfio – vuole dimostrarci come il treno possa essere un ottimo mezzo di trasporto turistico penetrando nell’ambiente con una velocità che permette di apprezzarne le caratteristiche.

Prima di descrivere a grandi linee l’itinerario è necessario fare un po’ la storia della Porrettana come ci è stata raccontata dagli amici della Pro loco di Piteccio che sono i custodi della memoria storica e del futuro di questa ferrovia. All’esito di un’accesa contesa fra le realtà economiche di Prato e Pistoia sul tracciato da seguire (entrambe le città temevano di restare emarginate), il 4 aprile 1845 il governo del Granducato di Toscana – sotto la pressante spinta dell’Austria che ricercava un collegamento diretto col porto di Livorno, alternativo a Trieste (posto in un cul-de-sac al vertice dell’Adriatico) – affidò ai fratelli Cini, industriali proprietari della cartiera di Ponte alla Lima, la concessione per la realizzazione della «Strada Ferrata dell’Appennino da Pistoja a Bologna». In realtà, una ferrovia diretta attraverso la valle di Bisenzio avrebbe offerto almeno in teoria minori dislivelli, maggior stabilità del terreno e minime perforazioni. I lavori ebbero inizio quasi subito, ma con scarsi risultati in conseguenza dei modesti finanziamenti disponibili. Nel 1856 entrò in scena una società francese collegata ai banchieri Rothschild, che assunse in proprio ogni onere di costruzione: è il tempo dell’entrata in scena dell’ing. Jean Louis Protche, francese di nascita ma bolognese d’elezione, vero e forse unico artefice delle più ardite realizzazioni della Porrettana; fu lui, tecnico di primo piano, a correggere i primitivi progetti e a dare alla linea un andamento accettabile per una ferrovia destinata alla grande comunicazione.

I lavori, nonostante i rudimentali mezzi impiegati, furono tanto complessi quanto celeri, con soluzioni progettuali ardite, che peraltro seguivano l’idea all’epoca dominante: salire il più possibile di quota per la necessità di una minore lunghezza del traforo di valico, sia per la intrinseca complessità dello scavo che per minimizzare i problemi di esercizio connessi ai fumi prodotti dalle locomotive.

L’inaugurazione dell’ultimo tratto Pracchia-Pistoia, il 2 novembre 1864, mise fine al servizio di diligenza riducendo il percorso dalle 14 ore stradali a 5 soltanto.

Dopo queste brevi note, doverose per capire e apprezzare quello che avremmo visto lungo il percorso, eccoci a Castagno, dove arriviamo con il pullman e dove facciamo conoscenza con il nostro anfitrione nonché «sacerdote del tempio» presidente della proloco di Piteccio. Partiamo in oltre 60; un bel numero non vi pare?

Come prologo facciamo un giro per Castagno, stazione climatica – come recita il cartello di benvenuto sul marciapiede della ferrovia – abbastanza frequentata negli anni sessanta per la villeggiatura estiva. Il paese si arrampica con stradine tortuose e strette sul fianco della montagna ed è caratterizzato dalla presenza di affreschi murali e sculture di artisti importanti come Loffredo, Guarnieri, Bueno, Alinari e altri, a dimostrazione che il luogo era apprezzato da personaggi amanti del buon ritiro.

Finalmente si parte e con sorpresa, anziché salire come da regola del CAI, scendiamo in un bel bosco di castagni la cui coltura in queste zone è stata abbandonata dagli anni settanta. Dobbiamo scendere perché dai 550 metri Castagno arriviamo ai 250 di Piteccio. La distanza a piedi è breve, la si percorre in poco più di un’ora, ma la nostra ferrovia per superare questo dislivello deve fare un percorso molto più lungo con una galleria elicoidale, per contenere la pendenza in valori contenuti, tali da essere affrontati senza l’ausilio della cremagliera. Camminiamo quindi «sopra» la ferrovia e vediamo le opere che furono necessarie per costruirla. Tutti i manufatti sono in blocchi di pietra serena – tagliati e lavorati in loco da abili artigiani scalpellini e murati praticamente a secco – che in 150 anni non hanno subito alcuna alterazione. Il tracciato della ferrovia attraversa un territorio ricco di fossi e torrenti affluenti dell’Ombrone e quindi il progettista e le maestranze dovettero risolvere il problema di far convivere la ferrovia con l’acqua. All’epoca nessuno poteva permettersi di disperdere l’acqua, preziosa risorsa per il territorio ed indispensabile per il funzionamento delle locomotive a vapore: per risolvere il problema furono costruite molte galleria idrauliche che consentono all’acqua di passare ora sopra, ora sotto, oppure a fianco della ferrovia. Andando verso Piteccio incontriamo due gallerie visitabili, una delle quali è lunga più di trenta metri.

L’altro grande problema fu lo smaltimento dei fumi della locomotiva all’interno delle gallerie. A noi, nati con l’elettricità ovunque disponibile e abituati all’Alta Velocità, la questione sorprende ma all’epoca creava una vita di inferno ai macchinisti e parzialmente anche ai viaggiatori. I fumi della combustione del carbone sono tossici e nelle gallerie, dove le locomotive procedevano a velocità limitata avrebbero potuto dar luogo a situazioni critiche: per superare l’inconveniente furono costruiti diversi pozzi di ventilazione – veri e propri camini – che, aperti sulla volta o a lato della galleria e alti anche 30 metri, uscivano dalla montagna e consentivano la dispersione dei fumi. Il nostro sentiero passa sopra la galleria di Fabbiana e possiamo ammirare uno di questi pozzi, un enorme fungo in pietra serena che fuoriesce dalla montagna alto una diecina di metri. Per la lunga galleria di valico, lunga 2727 m, fu addirittura realizzato un grande apparato per la ventilazione forzata, ubicato in stazione di Pracchia. Si narra che all’uscita della galleria vi fossero d’abitudine due ferrovieri che – in caso di necessità – erano pronti a saltare sulla locomotiva per soccorrere i colleghi storditi dal fumo … si tratta di una leggenda (non vi è alcun supporto documentale), ma certo la vita dei macchinisti non doveva essere certo facile!

Continuando il percorso, praticamente sempre sopra alla galleria, incontriamo un altro manufatto atto alla dispersione dei fumi. Il passaggio dei treni ne creava una tale quantità che i pozzi di ventilazione risultarono insufficienti, quindi furono costruite – con soluzioni ingegneristiche non facili – delle aperture a cielo aperto che tagliavano la galleria aprendo un intervallo fra i due tronchi. Dal sentiero possiamo ammirare l’enorme inghiottitoio artificiale con al fondo un tratto dei binari, una voragine impressionante con le pareti sapientemente ricoperte in pietra serena. Non un crollo in 150 anni, un vero record nell’Italia di oggi.

Arriviamo a Piteccio e passiamo sotto le enormi arcate del viadotto che domina il paese. Il ponte originale fu distrutto dalle truppe tedesche in ritirata il 25 luglio del 1944. Questo manufatto era stato bombardato ripetutamente dalle truppe alleate fin dal 1943, ma sembrava dotato di una forza di resistenza eccezionale, fino a quando le mine germaniche non lo fecero saltare. Tutta la Porrettana era stata praticamente distrutta dalla guerra. La Nazione del 29 maggio del 1949 recita: «i più bei ponti monumentali a terra, gli imbocchi delle gallerie demoliti per una profondità imprecisata, lunghi tratti di binario divelti, fabbricati distrutti. La Porrettana ridotta ad un ammasso di rovine …». In soli quattro anni, la Porrettana fu riaperta con un’inaugurazione avvenuta nel maggio del 1949. Il viadotto di Piteccio anteguerra era monumentale con tre ordini di archi tutti in blocchi di pietra forte, tanto da ricordare l’eleganza di una cattedrale gotica. Il ponte attuale, dalle linee asciutte e costruito in calcestruzzo, rimane uno dei più alti d’Italia con i suoi 47 m di altezza.

La ferrovia, pur ricostruita in tempi solleciti, non seppe però riconquistare un adeguato numero di viaggiatori che andasse al di là del semplice interesse locale, definitivamente surclassata dalla ben più moderna Direttissima che con a lunga galleria di valico consentiva il collegamento fra Bologna e Firenze in poco più di un’ora.

Alla stazione di Piteccio troviamo la sorpresa graditissima di un sontuoso buffet organizzato dalla Proloco a base di tortelli rigorosamente fatti in casa (ad agosto a Piteccio c’è la sagra del tortello), ribollita e pappa col pomodoro. Vino e dolci a volontà, fra cui un ottimo castagnaccio.

Un po’ appesantiti iniziamo a percorrere il sentiero per Castagno, questa volta in salita, dove dobbiamo prendere il treno che ci porterà a Firenze. Prima della partenza firmiamo una lettera preparata da Alfio e indirizzata alla Regione e a Trenitalia dove si caldeggia un maggior numero di treni alla domenica per consentirne l’utilizzo a fini turistici.

Se qualcuno pensava di riposare in treno rimane deluso perché è pieno e ci sono solo posti in piedi ma questo non ci impedisce di ammirare ad una velocità ridotta le bellezze di queste montagne. Quindi con il treno anche il viaggio di ritorno, normalmente noioso, risulta interessante.

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