IL BIVACCO: NASCITA ED EVOLUZIONE DI UN PARTICOLARE EDIFICIO MONTANO

Da ricoveri d’emergenza a soisticati oggetti tecnologici: breve excursus storico di una particolarissima tipologia architettonica propria dell’arco alpino.
Cos’è che caratterizza il bivacco e lo differenzia dal rifugio?
I termini “bivacco” e “rifugio” hanno origini profondamente diverse e risalgono a differenti periodi storici.

La parola rifugio è di antica origine e deriva dal latino refugium; per tale si indicava un riparo o ricovero, derivazione dal termine re-fugere, composta dal prefisso re e dal verbo fugere. Il rifugio alpino propriamente detto è definito dalla Treccani come “un edificio […] costruito in alta montagna in posizione riparata dalla caduta di valanghe e sassi, dal vento e attrezzato per offrire temporaneamente riparo ed ospitalità ad alpinisti ed escursionisti”.
Il termine bivacco è invece di origine più recente e risale al 1667. Trova le sue origini nell’ambito militare e deriva dal termine francese bivouac che probabilmente deriva a sua volta dalla parola tedesca e svizzera biwacht, la guardia notturna di riserva.
In ambito alpinistico il termine bivacco assume invece due significati differenti: quello più antico nel tempo indica la sosta notturna generalmente all’aperto su cenge rocciose o su portaledge, effettuata nel corso di ascensioni che si prolungano per più di una giornata; quello più recente e pertinente al tema in oggetto è specificato nell’accezione bivacco fisso cioè una costruzione dalle dimensioni e dai servizi molto ridotti, che viene utilizzata normalmente come luogo di emergenza o come punto di partenza per ascensioni in zone isolate.

Come si differenziano però queste due tipologie?

La prima caratteristica che generalmente viene indicata quando si paragona un bivacco ad un rifugio è che quest’ultimo è gestito da una o più persone specializzate, mentre il bivacco è semplicemente autogestito. Un’altra differenza spesso proposta è quella secondo cui il rifugio è articolato in diversi ambienti, tra cui la cucina e i servizi igienici, mentre il bivacco è spesso concepito come un unico ambiente dotato di letti e un ripiano su cui mangiare.

Ma quindi se un rifugio non viene più gestito, diventa un bivacco?

E se invece ad un bivacco aggiungo il bagno, diventa un rifugio?

La questione penso sia sicuramente più complessa e articolata.

La letteratura in materia è pressoché inesistente: non ho rinvenuto – neppure a livello di strutture centrali del CAI – alcuna trattazione organica su rifugi e bivacchi. Ho avuto però la fortuna di poter approfondire la questione in occasione della mia laurea in architettura.

In seguito alla mia analisi, sono giunto alla conclusione che una distinzione oggetti- va sulla differenza tra le due tipologie di edifici può avvenire utilizzando quattro parametri: l’utenza, le dimensioni, la costruzione e il luogo.

Il rifugio è una struttura capace di ospitare un numero di utenti molto superiore a quello del bivacco; nel primo caso arriviamo anche ad 80-100 persone, mentre nel secondo non si superano mai i 15-20 ospiti. Questa prima distinzione determina quindi la necessità di volumi con dimensioni maggiori per i rifugi e molto inferiori per i bivacchi, indicati anche dal linguaggio comune come  le  scatolette di latta 3×2. Le dimensioni maggiori implicano a loro volta tempi di realizzazione più elevati, con la necessità spesso di impegnativi cantieri in quota, mentre la struttura del bivacco, più compatta e prefabbricata, viene generalmente realizzata in due-tre giorni lavorativi. L’ultimo parametro è quello della differente collocazione: il bivacco è infatti realizzato in posti spesso isolati e difficili da raggiungere, ai piedi di una strapiombante parete rocciosa o in fondo ad una valle remota e deserta, mentre il rifugio è situato in zone più accessibili, raggiungibili con comodi sentieri, in alcuni casi perfino con seggiovie e funivie.

Individuata una possibile distinzione oggettiva fra bivacco e rifugio, è interessante ripercorrere l’evoluzione storica di questa particolarissima  tipologia  di  edificio  che nasce negli anni venti del secolo scorso come piccola struttura di legno e lamiera, smontata in tante componenti e trasportata a spalla lungo ripidi e scoscesi sentieri. Oggi  la  configurazione  e  la  concezione stessa di bivacco sono cambiate radical- mente: le vecchie scatolette di latta sono diventate   oggetti   altamente   tecnologici e performanti, dotati di tutti i comfort presenti nei rifugi, di energia elettrica e perfino, in alcuni casi, della connessione internet.

L’evoluzione è quindi sicuramente avvenuta, ma in che modo?

Nel corso di quasi cent’anni il bivacco ha mutato il proprio aspetto, in maniera anche radicale, cambiando forme, soluzioni tecnologiche e modalità di trasporto. Nella letteratura italiana non esiste un manuale del bivacco: un volume cioè in grado di descrivere e spiegare la sua evoluzione, in grado di dimostrare, se esiste, una connessione tra la forma e la quota di realizzazione o tra l’impiego di determinate soluzioni tecnologiche in riferimento all’esposizione e all’ubicazione.

Per sommi capi si può sintetizzare l’evoluzione del bivacco in quindici tipologie principali, che si sono perfezionate nel corso del tempo, fino a giungere alla progettazione di veri e propri edifici in minia- tura realizzati negli ultimi anni al meglio delle possibilità ingegneristiche e con pregevoli soluzioni architettoniche. I bivacchi per così dire storici – oggetto del presente scritto – possono essere catalogati sulla base di caratteristiche estetiche, raggruppandoli per forme simili e in alcuni casi proprio per tipologie dichiarate, come quella Ravelli o Apollonio.

Il bivacco Hess è stato il primo in assoluto ed il primo della famosa tipologia Ra- velli: «inizialmente si parlava di spianare il terreno e riporvi una cassa ricoperta di lamiera per renderla impermeabile e con- tenente coperte e utensili. Allargando di poco le misure ci si accorse che l’alpinista poteva trovare riparo dentro la stessa cassa: nacque così il bivacco». Nel 1925 furono così realizzati tre bivacchi con la stessa tipologia: uno al colletto d’Estellette, uno al Frebouzie nella catena del Monte Bianco e l’ultimo in Valpelline sulla Tete des Roeses.

Tutti i bivacchi furono collocati senza l’ausilio di mezzi a motore, utilizzando solo uomini e muli. Occorreva inoltre manodopera specializzata per la posa in opera della lamiera zincata della copertura: era infatti difficile la giunzione a graffatura tra i pannelli, anche perché non veniva fornita in rotoli come adesso, ma in misure standard (2mX1m). Di questa tecnica era- no appunto maestri i fratelli Ravelli, da cui il nome della tipologia.

Il progetto  è  attribuibile  a Francesco Ravelli, Adolfo Hess e Mario Borelli. Il bivacco era concepito per poter essere suddiviso in 20 colli da 25kg ciascuno. È composto da una base con una solida intelaiatura in legno unita con bulloni passanti e una coppia di fronti a semicerchio con archi in legno che contengono le aste di collegamento per conferire maggiore rigidità alla struttura. La copertura rivestita in lamiera di ferro zincato appoggia sugli archi frontali, mentre il pavimento è ottenuto con l’affiancamento di assicelle longitudinali investite. Nel frontale anteriore è inserita la porta a cerniera con apertura laterale e finestrino munito di corsoio a vetri, mentre in quello posteriore è inserito uno sfiatatoio ottenuto attraverso una piccola finestra. Ogni bivacco di questa tipologia era provvisto di cinque coperte di lana e un fornello, lanterna, pentole, scopa e pala. Era inoltre previsto un foro nelle pareti per permettere il passaggio del tubo della stufa ad alcool, però non sempre presente.

Il refuge-bivouac al Mont Joly fu ideato nella seconda metà degli anni trenta da Charlotte Perriand, architetto francese di talento dalla straordinaria umanità e gran- de appassionata di montagna, in collaborazione con l’ingegnere Andrè Tournon. Charlotte Perriand si impegnò nell’applicazione del concetto di prefabbricazione, realizzando un bivacco concepito per 6 persone con arredamento compatto e polifunzionale.

Gli appoggi per i materassi diventano delle panche e la credenza ribaltata uno spazioso tavolo; un secchio, sospeso sopra un apparato radiante per l’acqua, permette di raccogliere la neve, mentre 6 sgabelli fungono da contenitori e un armadietto, con apposito scolo per l’acqua, permette di riporre comodamente gli sci. Charlotte Perriand decise di utilizzare l’alluminio per la costruzione del bivacco, a causa delle sue intrinseche proprietà: è infatti un materiale estremamente leggero, quindi facile da trasportare, robusto ed economico. Il bivacco era concepito per essere realizzato in quattro giorni con maestranze non specializzate ed era basato su una struttura a telaio in tubi di alluminio leggeri e pannelli di compensato dalle dimensioni standard.

La costruzione era sollevata su palafitte metalliche costituite da tubolari direttamente inseriti nel terreno. La struttura portante dal peso molto ridotto ricordava la costruzione di un ponteggio per l’edili- zia, mentre le pareti erano realizzate con elementi prefabbricati con pannelli di alluminio e pannelli isolanti isorel. La falda del tetto era inclinata (altezza massima 3,50m; minima di 2,00m); aveva una superficie utile interna di 8 metri quadri che permetteva di ospitare comodamente 6 persone grazie a tavoli e brande ribalta- bili. La disposizione degli spazi interni era suddivisa su due livelli con la zona notte effettiva al primo piano e la zona giorno al piano terra, dove era comunque previ- sta la possibilità di pernottare sul divano con schienale ribaltabile che forniva altri tre posti letto.

Il bivacco Cosi è stato il prototipo della cosiddetta tipologia Apollonio, che pochi anni dopo venne brevettata e diffusa dal- la Fondazione Berti con alcune modifiche, prendendo così il nome di tipologia Fon- dazione Berti. L’ingegnere Giulio Apollonio fu progettista di questo tipo di struttura, pensata per migliorare l’abitabilità di quei bivacchi stretti e scomodi che erano stati ideati e realizzati dai fratelli Ravelli. Apollonio progettò così una struttura parallelepipeda sormontata da una copertura ellittica. Redento Barcellan fu incaricato invece nella seconda metà degli anni ‘50 di studiare una nuova tipologia di bivacco che si materializzò poi con la tipologia Fondazione Berti, basata su quella di Giulio  Apollonio.

Il bivacco Cosi fu trasportato con mezzi a motore fino all’inizio del sentiero per il rifugio Galassi e poi con l’ausilio di muli fino allo stesso; dal rifugio fino alla vetta dell’Antelao fu trasportato invece dagli alpini. Nel 2014 è stato sfortunatamente distrutto da una grossa frana. Misura- va 2,30X2,80m ed aveva un’ossatura in legno di larice rivestita con perline da 1,5mm e protetta da un manto di cartone catramato. Il bivacco aveva un pavimento ligneo con tavole di abete e l’intercapedine di 8cm della struttura era in materiale coibente cadorite, mentre quella del soffitto era in lana di vetro. La struttura era interamente rivestita con lamiera zincata saldata; la porta a due ante. Il bivacco aveva due finestrini issi per l’illuminazione e altri due per l’aereazione. Le cuccette erano realizzate con materassini in crine e rete metallica ribaltabile in modo da poter sfruttare al massimo lo spazio durante il giorno.

I Bivacchi con tipologia Fondazione Berti in genere sfruttano invece una struttura metallica leggera sulla quale viene assemblato un sistema di pannelli a sandwich costituiti da due fogli di cementamianto di 0,6mm e una lastra di polistirolo espanso di 3cm. I pannelli hanno una ossatura di legno di abete e tutta la struttura è rivestita con fogli di cartone catramato e lamiera zincata.

Il bivacco Colombo, inaugurato il 6 Settembre 1959, sorge nella località Col de la More nel gruppo Ortles-Cevedale. La struttura è posizionata in modo strategico tra i due rifugi principali del massiccio e trovandosi lungo la classica cavalcata del- le Tredici Cime che contornano il Ghiacciaio dei Forni, rappresenta un valido ricovero in caso di maltempo.

Il bivacco fu progettato in contrapposizione ai modelli Apollonio, basati su un parallelepipedo di legno sormontato da una copertura a semibotte; il bivacco Colombo nasce infatti come alternativa a quest’ultima tipologia, componendosi sempre di una struttura parallelepipeda, ma sormontata da un tetto leggermente spiovente. Il trasporto del materiale che pesava complessivamente circa 40 quin- tali, venne effettuato fino a quota 2031m

per mezzo di 40 alpini e 10 muli.

Il bivacco misura 4,10 x 3,21 m ed è realizzato con una struttura in legno a pannelli smontabili. La parte strutturale è realizzata con una doppia parete in legno di larice che serve da ossatura ed è rivestita all’interno con una fibra di legno, mentre all’esterno con una lamiera  zincata per proteggerla dagli agenti atmosferici. L’intercapedine tra le due pareti è inoltre riempita con uno strato isolante in lana di roccia Sillian per migliorare il comfort interno. L’intera struttura è ancorata e controventata da tiranti metallici ed è esternamente verniciata in rosso mattone per renderla maggiormente visibile da lontano, anche in caso di maltempo. Il bivacco dispone di 6 posti letto più 3 su un tavolato ribaltabile.

Negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso furono realizzati diversi bivacchi con la tipologia Morteo, derivati delle baracche in lamiera in produzione per l’ANAS. Fra tutti si possono ricordare il bivacco Valerio Festa, il bivacco K2 del 1968 sulle Alpi Apuane – considerabile un po’ come il prototipo – il Bivacco Vigolana del 1966 sull’omonima montagna e il contemporaneo Bivacco Falco Maiorano sulla vetta del Monte Amaro.

Si tratta di strutture realizzate con prefabbricati standard, composte da moduli tipo che possono essere assemblati secondo le differenti necessità: troviamo quindi  il  modulo  con  l’ingresso,  quello con la finestra singola o doppia e infine quello interamente opaco. La struttura pesa complessivamente 40 quintali. Il bivacco ha una pianta quadrata che misura 4,00 x 4,00 m ed ha una altezza massima di 2,85 m ed è ancorata ad un basamento realizzato con un telaio metallico a cui è issato attraverso bullonatura il pavimento in larice. I posti letto interni erano inizialmente 15, successivamente ridotti a 7 più 4 di emergenza: i letti al primo livello sono infatti sprovvisti di materassi. L’illuminazione naturale del bivacco è ottenuta attraverso le due finestre simmetriche. Questa tipologia di bivacchi era normalmente dotata anche di una stufa.

Per la sua peculiarità costruttiva va anche ricordato il secondo bivacco Cesare Fiorio (realizzato in sostituzione del prece- dente tipo Ravelli nel 1952, distrutto da una valanga) ubicato lungo la normale al Mont Dolent. Nel 1973 fu trasportata e realizzata, in soli dieci giorni, la nuova struttura che  venne  prefabbricata  ad  Aosta sotto la direzione di Corradino Rabbi che si improvvisò organizzatore e direttore dei lavori in loco. Il trasporto del materiale e della manodopera avvenne attraverso l’ausilio di due elicotteri che permisero la messa in opera della costruzione in così poco tempo.

Il bivacco misura 6,00 x 3,50 m ed è realizzato con una struttura in legno di larice accuratamente rivestita in lamiera zincata per fronteggiare gli agenti atmosferici. Il pavimento è realizzato con lame in legno di larice di 2,05 m di lunghezza che poggiano su una coppia di quadrelli in legno, mentre alle estremità sono posati sulla coppia di tiranti lignei che compongono l’ossatura del bivacco. I tiranti sono appoggiati ed ancorati a vespai in pietra che trasferiscono i carichi al terreno, diventando così la fondazione della struttura, e sono uniti superiormente alle capriate in larice che costituiscono la struttura por- tante principale del bivacco, scandendone lo spazio interno. I componenti della struttura portante sono uniti attraverso l’uso di piastre metalliche e bulloni pas- santi. Il bivacco dispone di diciotto posti letto distribuiti su tre livelli ed ogni cuccetta è dotata di materasso e coperte La porta d’ingresso è composta da due ante per consentire un accesso più agevole in caso di neve, mentre sulla facciata opposta è presente una piccola finestra per migliorare l’illuminazione interna.

Va infine ricordato bivacco della Fourche, dedicato ai due alpinisti torinesi Corrado Alberico e Luigi Borgna; è collocato nei pressi del col de la Fourche, sulla cresta Sud-Est del Mont Maudit, a quota 3675 m, e dispone di 10 comodi posti letto disposti su due livelli. La struttura  ha  subito  dei  lavori di manutenzione nel 2008 e nel 2014. Il basamento   è   costituito   da una piazzola artigianale ottenuta grazie alla sovrapposizione di grossi blocchi di granito che venne realizzata per il precedente bivacco costruito nel 1935. Per aumentare la capienza della piazzola e quindi del bivacco stesso venne utilizzata una piattaforma in ferro prefabbricata che poteva essere smontata in due parti con un peso di 1000 kg ciascuna.

L’edificio è interamente realizzato in legno e la parte strutturale è affidata a tre capriate lignee le cui componenti sono unite per mezzo di piastre metalliche e bulloni passanti. Il bivacco è interamente rivestito con uno strato di lamiera modulare zincata ad eccezione della facciata principale, lasciata con il legno a vista. Il pavimento è anch’esso in legno; i posti letto sono distribuiti su due tavolati lignei sovrapposti forniti di materassi e coperte. L’accesso al bivacco è consentito da una terrazzina a sbalzo con un parapetto calcolato in modo da impedire la rotazione della porta oltre i 90°, per evitare che le forti raffiche di vento che soffia a quelle quote possa danneggiarla o addirittura scardinarla.

Come sintesi di questo breve excursus possiamo focalizzare l’attenzione su quattro caratteri oggettivi di evoluzione del bivacco storico: sistema costruttivo, caratteristiche della zona notte, materiali ed abitabilità.
Il sistema costruttivo è rimasto invariato per quasi cinquant’anni. Il concetto di elemento prefabbricato era già noto, se pur in maniera molto rudimentale, ai fratelli Ravelli. In genere si ricorreva a un’ossatura portante puntiforme in legno o in acciaio, che successivamente veniva tamponata con pannelli di legno e lamiera a cui veniva interposto uno strato di materiale isolante. Questa soluzione tecnologica consentiva di suddividere l’intera struttura in tante parti minori che quindi pote- vano essere trasportate comodamente in loco mediante l’utilizzo di muli o persone, ma richiedeva anche l’installazione di un vero e proprio cantiere in quota per l’assemblaggio di tutte le parti.

Per ciò che riguarda la zona notte si può osservare che i bivacchi hanno subito notevoli miglioramenti del comfort attraverso una più accurata disposizione dei letti e una correlata evoluzione spaziale, tali da consentire un riposo più confortevole all’alpinista di passaggio: il bivacco diventa così una vera meta escursionistica e non più un solo punto di ricovero in caso di emergenza. In linea generale queste sono le tipologie evolutive: il primo bivacco, tipologia Ravelli, era costituito da cinque posti letto, confinati in uno spazio davvero ristretto, disposti uno accanto all’altro su un unico piano di legno; lo spazio anti- stante era minimo e l’altezza complessiva non era sufficiente per consentire ad una persona di rimanere in piedi. La tipologia Fondazione Berti cerca di migliorare il comfort, disponendo in altezza i posti letto che vengono collocati a ferro di cavallo e non più su un unico piano di legno: con questa tipologia si migliora l’altezza della zona notte, ma le dimensioni della pianta rimangono ancora invariate. Negli anni successivi per aumentare la capienza dei bivacchi ed in particolare il loro comfort, si inizia a modificare l’area della pianta, aumentando la superficie interna. Ecco quindi che si iniziano a differenziare, se pur ancora in maniera molto rudimentale, due ambienti interni: la zona notte e la zona giorno. Nel 1975, con la progettazione del nuovo bivacco Cesare Fiorio, si realizza un’ulteriore tipologia di bivacco all’interno del quale i posti letto sono distribuiti in lunghezza su tre livelli. All’interno di una pianta di 20 m2 si riescono così ad inserire addirittura 18 posti letto e l’effetto finale ottenuto è quello di un vano stretto e lungo le cui pareti sono arredate con letti disposti su tre livelli.

Quanto ai materiali si può osservare che quando si pensa all’involucro dei bivacchi moderni, viene immediato pensare allo strato isolante come materiale scontato all’interno del pacchetto di tamponamento. Confrontando invece i bivacchi storici si scopre che anche a distanza di quasi cento anni, alcuni vengono realizza- ti ancora con la stessa identica tecnologia: strato di legno rivestito dalla lamiera zincata; lo strato isolante viene quindi utilizzato solo in determinati casi e sempre invece quando la struttura portante è metallica e non in legno, questo a causa della minor resistenza termica del materiale strutturale. Un’importante innovazione in ambito tecnologico è stata l’utilizzo della parete ventilata – introdotta però da una tipologia qui non esaminata – che permette di controllare il grado di umidità e di aumentare notevolmente il comfort interno. Anche l’abitabilità complessiva dei bivacchi ha subito decisivi miglioramenti: le dimensioni spaziali sono state aumentate, in particolar modo quella volumetrica. Effettuando un raffronto fra superficie e cubature dei bivacchi in relazione al numero massimo di ospiti previsti, si nota però un miglioramento discontinuo del comfort interno, diversamente da come ci potremmo invece aspettare. L’evoluzione più significativa dal punto di vista del comfort è stata sicuramente la separazione, via via sempre più netta e radicale, tra la zona giorno e la zona notte, arrivando a concepire anche bivacchi modulari in funzione delle diverse attività, come nel famoso caso del bivacco Gervasutti nel massiccio del Monte Bianco.

All’esito del mio studio storico posso affermare che dopo un secolo di esperienze, se è rimasta immutata la funzione, il bivacco di oggi è un oggetto ingegneristico ed architettonico decisamente innovativo e performante, ben diverso dal bivacco Hess che non ha neppure un secolo di vita.

E allora: un’idea per un possibile «nuovo» Bivacco Sberna?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

basamento   è   costituito   da

una piazzola artigianale ottenuta grazie alla sovrapposizione di grossi blocchi di granito che venne realizzata per il pre- cedente bivacco costruito nel 1935. Per aumentare la capienza della piazzola e

 

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