Ben Nevis 2018

Testo e foto di Lorenzo Toscani

Pianto la picca, salgo con i piedi e poi ripianto anche l’altra picca. Finalmente sono nei pressi della fine del muro di ghiaccio, la vite ben piantata non troppo più in basso dei miei ramponi mi dà sicurezza, ma preferirei averne messa un’altra; pace, altri due passi e sono fuori. Salgo e finalmente vedo il canale che si appoggia sempre di più di fronte a me. In un attimo si alza il vento e mi ritrovo sotto uno spindrift* incredibile; la neve che scendeva in una calma irreale fino a qualche momento fa adesso si sta riversando sopra di me. La maschera non serve più già da un paio di tiri dato che si è appannata e poi ghiacciata; il guscio che mi sono aperto durante l’avvicinamento sta accogliendo tutta la neve che scende. Chiudo gli occhi per evitare che ci entri la neve e impreco in silenzio per la situazione in cui mi trovo. Vorrei issarmi sopra nel canale e togliermi da quel getto di neve ma non riesco a vedere niente. Continuo a imprecare, dentro di me incolpo i due inglesi con cui abbiamo discusso a Peretola, gli aeroporti, Lufthansa e i lost baggage, la bella giornata perduta aspettando i bagagli, la visita al lago di Loch Ness (bello eh, ma ne facevo anche a meno), il ciccione sudato che mi ha dormito vicino e tutte le sventure vissute in solo due giorni. Incolpo tutto questo.

Forza, esci da qua!

               Apro gli occhi.

Sulle ciglia mi si è incrostato un po’ di ghiaccio, il fiume di neve continua a scendere. Ripianto le picche ed esco, faccio una sosta e recupero Checco. In due tiri siamo fuori, il vento si è calmato ed è uscito il sole. Siamo in vetta al Ben Nevis il primo giorno effettivo di scalata.

Siamo felicissimi e penso a dove possono essere Simo, la Cri e il Biancio; speriamo si siano goduti questa giornata. Dopo tutte le tensioni legate alla perdita dei bagagli ci meritiamo un premio.

Arriviamo allo shelter che c’è in vetta, la foto è d’obbligo e via in discesa. Freddo, tempo bello e vento quasi assente; cosa chiedere di più?

Vicino al cic hut, il bivacco dove dormiremo per tutta la settimana, incontriamo gli altri di ritorno da una bella via seguita da una veloce discesa per poi salire un’altra cascatina più breve. Entriamo dentro e finalmente per la prima volta da quando siamo partiti si dipingono sui nostri volti dei sorrisi. Sorrisi di soddisfazione per la bella giornata passata. La serata scorre via veloce, mangiamo, scherziamo, prendiamo per il culo e assegniamo nomignoli a chiunque sia nel bivacco. Anche se dal giorno dopo il meteo annuncia allerta rossa e temperature percepite prossime ai -30 non ci scoraggiamo; armati di guide e foto studiamo le vie che ci interessano. Poco tempo dopo siamo tutti a letto, vicini per i letti minuscoli e ancor più vicini per le quattro persone di troppo all’interno del bivacco.

Il secondo giorno di scalata (terzo, se contiamo il canale che abbiamo fatto lunedì dopo 1300 metri di dislivello carichi come muli di viveri e materiale) si prospetta assai duro. Il vento ci mette in seria difficoltà anche a camminare e, essendo la via che abbiamo scelto sulla parete più esposta al vento, annulliamo quella salita. Ci spostiamo nella valle adiacente e mentre io e Checco saliamo una bella cascatina di due tiri, gli altri vanno in vetta per una bella classica.

Usciti dalla cascata ci troviamo in mezzo a raffiche mostruose che sembra ci vogliano strappare dalla parete insieme a quella misera sosta alla quale siamo legati. Aspettiamo qualche istante distesi sul pendio, e guardandoci senza dire niente capiamo che scendere dal percorso prefissato è troppo pericoloso. In un attimo in cui il vento si calma mi slego dalla sosta e inizio a correre nel canale sopra di noi che conduce al plateau sommitale, facile ma comunque esposto. Corro fino a fine corda mentre il vento ricomincia a soffiare. Checco parte in conserva dietro di me e mi segue fino a quando, sputando i polmoni e con i polpacci in fiamme sono costretto a fermarmi su un lato del canale cercando di farmi ancora più piccolo per riparami dalle ventate. Sono ancora a riprendere fiato quando vengo raggiunto e superato dal mio super-compagno che in un attimo supera il tratto finale del canale, quello più ripido, oltrepassa la cornice e mi recupera quasi fossi un bambolotto.

Dieci minuti dopo scopriamo che purtroppo il bivacco di vetta è pieno di scozzesi; velocemente apriamo la tendina di emergenza e ci chiudiamo dentro. Ci rendiamo veramente conto del freddo che fa, quando uscendo dalla tendina notiamo che il tè bollente caduto poco prima su uno scarpone è diventato una crosta di ghiaccio.

Un’ora dopo e 500 metri più in basso ci stiamo riprendendo tutti insieme con whiskey, salame e pecorino.

L’ultimo giorno di scalata inizia con il meteo peggiore e questo viene confermato dagli scozzesi che rientrano al caldo senza aver fatto niente poco dopo le nove. Con questo brutto segnale usciamo con aria mesta e senza grandi obiettivi. Passando sotto la parete però mentre salutiamo gli altri che hanno optato per una via decisamente più dura di quelle fatte nei giorni passati, veniamo attratti da quello stretto rigagnolo che ci ha “chiamato” fin dal primo giorno quando l’abbiamo visto. Avendolo lasciato fare nei giorni precedenti a causa del grado più elevato, ma forti del fatto che abbiamo preso dimestichezza con questo particolare ghiaccio, decidiamo di attaccare; con una punta di incoscienza realizziamo la via più impegnativa della settimana.

Rientrati tutti nel rifugio, coscienti del fatto che non avremmo ritoccato le picche il giorno seguente ci diamo alla pazza gioia cucinando tutto ciò che ci è rimasto e offrendo agli scozzesi una super cena italiana.

Con l’ultimo giorno diciamo “arrivederci” a questa incredibile montagna scozzese e torniamo nella civiltà dove festeggiamo con birre, shopping, biliardo e freccette (dai quali ovviamente esco vincente), ma soprattutto con la prima meravigliosa doccia dopo quasi una settimana.

IL BEN
di Simone Faggi

Il Ben, come chiamato dai locali, si trova nelle Highlands scozzesi, vicino alla città di Fort William. Alto 4406 piedi (1344 metri), è la montagna più alta delle isole britanniche, ma l’interesse alpinistico per il Ben Nevis non è la quota bensì il roccioso e articolato versante nordest, con speroni, pareti, creste e canali (gullies) più o meno ripidi, che d’inverno si incrostano di neve e ghiaccio formando itinerari invernali da salire con piccozze e ramponi.

Per la sua vicinanza al mare e la sua altezza è esposto a frequenti perturbazioni e continui mutamenti delle condizioni meteo: la cima è un ampio pianoro spesso avvolto nella nebbia o battuto da forti venti e può presentare notevoli difficoltà di orientamento in caso di scarsa visibilità. Alla base della parete nordest, a circa 680 metri di quota, si trova la CIC Hut, un rifugio di proprietà dello Scottish Mountaineering Club, base ideale per gli scalatori. Il Ben Nevis è uno dei luoghi storici dell’arrampicata su ghiaccio e sui suoi fianchi sono stati tracciati centinaia di itinerari di tutte le difficoltà, dal classico all’estremo.

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