Tre per Tremila

Testo di Chiara Mignani, Simona Vanni, Chiara Selmi

Le gite sezionali che non si risolvano in una scampagnata sono sempre un po’ una brutta bestia.
È difficile gestire tante persone tutte insieme; diverse sono le capacità tecniche di ciascuno, diversa è la preparazione atletica, diverse sono le aspettative e gli interessi; e poi – diciamocelo francamente – la divisione fra gita “A” e gita “B” spesso proposta per far numero viene di regola intesa come divisione fra quelli che son bravi e quelli che lo sono meno.

In cima all’Angelo Piccolo

Quest’anno, rincuorati dal buon esito complessivo e dalle soddisfazioni personali dei partecipanti alla gita dell’anno scorso al Bivacco Sberna, abbiamo provato a mettere a punto qualcosa di diverso: un’unica gita dal punto di vista logistico però con tre destinazioni autonome, tutte e tre oltre i “tremila”, diverse per caratteristiche ma accumunate dalla bellezza dei luoghi e dalla necessità di un’adeguata preparazione.

Così il gruppo diretto all’Angelo Piccolo vedeva gli amici in cammino verso l’Angelo Grande- A. Ciabatti

C’abbiamo creduto e con serietà abbiamo organizzato nel dettaglio ciascun itinerario, consapevoli che la montagna è sempre la stessa, ciò che cambia sono le caratteristiche oggettive di ciascun contesto e le capacità tecniche di affrontarle

Punto d’appoggio il Rifugio Serristori a Solda, in valle di Zai; obbiettivi per il giorno dopo la salita all’Angelo Piccolo (in 12, 3318 metri, EE – A – I – F+), la Croda di Cengles per la ferrata (in 11, 3375 metri, classificata abbastanza impegnativa), e poi all’Angelo Grande con la traversata della vedretta di Lasa (in 15, 3521 metri, nel complesso valutabile EEA – AG – II – PD).
Chi può descrivere la salita meglio di chi l’ha fatta?
Lasciamo loro la parola.

IL MIO PRIMO GHIACCIAIO
di Chiara Mignani

Finalmente ho fatto la mia prima salita su di un ghiacciaio!
Che meraviglia!
Anche se un semplice ghiacciaio che a detta degli accompagnatori non presentava grosse difficoltà tecniche, sono riuscita a concretizzare un desiderio che da tempo avevo in mente.
Grazie agli organizzatori di questa bellissima uscita, finalmente si è presentata l’occasione che non mi sono fatta scappare, nonostante dubbi e perplessità che vengono in mente quando devi affrontare qualcosa di nuovo, ma la curiosità e la voglia di sperimentare hanno avuto la meglio sulla decisione di tentare.
Il gruppo era numeroso, composto principalmente da partecipanti che già avevano esperienza e con pochi altri che, come me, erano alle prime armi.

Ultimi passi sulla Vedretta di Lasa prima di raggiungere il Passo di Rosim – A. Mattioli

Un gruppo che da subito ha dimostrato attenzione e disponibilità nel dare consigli e aiutare nei passaggi più impegnativi i meno esperti come me.

Dopo una concitata preparazione mattutina di tutti e un’abbondante colazione, siamo partiti di buon’ora, com’è consueto per chi pratica alta montagna e ci siamo messi in cammino sul sentiero che per blocchi di pietra e piccoli nevai, ci ha condotto alla base del ghiacciaio.
L’avvicinamento è stato emozionante.
Tra meraviglia e stupore, quello che da lontano sembrava essere un piccolo ghiacciaio, man mano che si avanzava, diventava sempre più ampio e verticale. Una distesa di neve bianca  e compatta quasi incontaminata, tanto da sembrare un mare increspato.

Dopo aver messo con qualche incertezza i ramponi (i lacci sono sempre troppo lunghi per capire alla prima come stringerli) e impugnata con emozione la piccozza (ma al contrario ovviamente!) è iniziata l’avventura della salita.
I primi passi mi hanno dato subito una strana sensazione.
Un po’ come quando impari ad andare in bici, ti manca il giusto equilibrio per stare in piedi e avanzare.
Procedendo verso la cima per piccoli passi, a tratti affondando anche nella neve con il timore di sprofondarvi del tutto, data la mia altezza non troppo spiccata, il tragitto diventava sempre più in salita e faticoso, alternando anche passaggi su roccia dove i ramponi talvolta slittavano stridendo.

Lo spettacolo che è apparso alla vista una volta arrivata in cima ha però ricompensato la fatica della salita.
Un’immensa distesa a perdita d’occhio di monti e vette innevate e non, ci circondava, sullo sfondo di un cielo azzurro attraversato solo da qualche nuvola; sembrava di stare dentro a un dipinto di Segantini.
Dopo una breve pausa mangereccia per recuperare energia e godere ancora un po’ del bel panorama, a malincuore ci siamo rimessi in cammino per la discesa, non meno impegnativa della salita.
Nonostante la fatica e l’impegno, sicuramente è stata una prima esperienza più che positiva, sia per la compagnia che per il tipo di meta; da ripetere questa volta senza la minima esitazione. Resta solo l’attesa di qualche altra bella occasione come questa!

VALLE DI ZAI:
ferrata alla Croda di Cengles
di Simona Vanni

Tutto pronto: scendo in strada con zaino e scarponi. Nell’ora grigia fra giorno e notte… ma quando arrivano gli altri? Pochi chilometri più lontano, Gianluca e Arabella preoccupati del ritardo telefonano a Sandra, che non risponde. Le lancette girano, una lunga scampanellata… dopo qualche secondo dal citofono: “… Pronto?” … la sveglia non aveva suonato! Fra panico e risate raggiungiamo il pullman, in ritardo. Ci scusiamo in fretta, vergognosi dell’incidente, ma portando con noi un sottofondo di allegria che proseguirà per tutto il viaggio, contagiando anche gli altri.
Il tragitto è lungo, ma per raggiungere le “montagne alte” dalla nostra Toscana non è possibile altrimenti. La prima tappa inizia comunque con la seggiovia, che fin da bambina mi ha deliziato, un premio più ambito del giro sulla giostra.
Saliamo un bel sentiero, facile e panoramico fino al rifugio Serristori, dove il resto del pomeriggio passa veloce; chi esplora l’ambiente circostante e chi si dedica alla socializzazione. Il rifugio è adagiato in una conca di un verde tenero, punteggiata da laghetti glaciali, e, ulteriore premio, ha perfino un’altalena. Circondata da una corona spettacolare di monti, in mezzo ad amici e risate, non manca nulla per essere felici!

A letto presto, perché la mattina partiamo molto per tempo.

Il sonno viene polverizzato dalla luce dell’alba, che si affaccia piano piano dalle vette, regalandoci un cielo di cristallo e un senso di ammirazione e gratitudine.

Splendido panorama sul laghetto di fusione della vedretta dell’Angelo Piccolo; sullo sfondo Gran Zebrù, Monte Zebrù e Ortles – S. Fivizzoli

Saliamo in silenzio, fino all’attacco della ferrata, fra pietraie, laghetti blu, chiazze di neve e pecore. Sono tesa, e poco esperta e dunque vengo sistemata fra compagni di cammino più preparati. Scelta che si rivela valida, perché un passaggio verticale secondo me particolarmente difficile, mi fa rimanere inchiodata sui miei passi. Ed è qui che si scopre un altro dei motivi per cui si viene in montagna, perché nella solitudine dei propri pensieri, in bilico fra rocce e cielo, in realtà non si è mai soli. Ci sono i compagni più esperti che si prendono cura di te, ti aiutano ad affrontare un momento buio, un passaggio difficile. Michele e Massimiliano hanno fatto di tutto per farmi uscire dall’impasse, ma anche dal dietro, sentivo tutti gli altri che mi incoraggiavano.

Ripartita, ho affrontato tutto il lungo (e non banale) percorso con tranquillità e piacere, godendo dei panorami, cercando con lo sguardo gli altri compagni impegnati nelle altre ascese ai due Angeli, assaporando il piacere di toccare la montagna, una roccia diversa dalle altre che avevo incontrato, più aspra e difficile. Qualche incertezza nei passaggi, qualche fittone divelto, ci hanno fatto accumulare un po’ di ritardo sulla tabella di marcia.  Ma finalmente, la cima della Croda!

Per tutti la soddisfazione era palese, baci, abbracci, sorrisi, foto ad immortalare il momento (con Michele, il nostro accompagnatore, preoccupato che nell’euforia non finissimo giù, un migliaio di metri più a valle, fra alberi di mele microscopici e chiesette giocattolo). Per me la sensazione di pace e gratitudine di essere in cima, di aver superato le difficoltà, di averci provato ed essere riuscita.

La discesa, per la via normale, è stata comunque impegnativa, e abbiamo raggiunto il pullman, dove ci attendeva un gradito rinfresco, veramente stanchi, ma con gli occhi ancora luminosi per il bel regalo che anche oggi ci ha fatto la Montagna.

IN CIMA ALL’ANGELO GRANDE
di Chiara Selmi

Anche stavolta non credo di essere capace di scrivere di montagna. Nonostante gran parte del mio tempo libero lo passi su vette, rocce, valli e pendii innevati, non mi sento ancora pronta per raccontare qualcosa così più grande di me. Così vi racconto di un viaggio fatto di persone, di occhi e vite che si incontrano su un cammino, come in esperimento sociale ad alta quota dove però nessuno è protagonista tranne la Natura.

Salendo all’Angelo Piccolo – S. Fivizzoli

Il gruppo è numeroso, anche quest’anno la gita sociale ha riscosso successo fra i frequentatori del CAI, ma già prima di venire ideata, plasmata e organizzata, la voglia di una storia da vivere insieme nasceva nei cuori di uno sparuto gruppo di amici.

Gli aperitivi erano il momento prediletto per discutere di vette viste, ed altre solo sentite raccontare, o parlare di cime mitiche con nomi altisonanti; mentre accanto al nostro tavolo scorreva la movida, noi invece ci tuffavamo in relazioni alpinistiche o immagini di rifugi i cui tetti potevano essere scorti solo dallo sguardo delle aquile, incapaci di esser attratti da altro che non fosse la Montagna. Più si consumavano i brindisi, più le imprese ardite ci sembravano un gioco da ragazzi se affrontate tutti insieme.

Il gruppo impegnato alla salita della Croda di Cengles – M. Rondina

L’entusiasmo che ci portavamo dentro viene accolto con calore ed emozione dal nostro mentore e fan più accanito, Neri, il quale a sua volta si prodiga per noi e per i soci a creare la gita perfetta, quella che ci potesse far sperimentare tutto ciò che desideravamo.

Aerei passaggi verso l’Angelo Grance – N. Baldi

Il gruppo dei ragazzi degli aperitivi al sapore di montagna viene premiato e i responsabili della gita ci comunicano che in Val di Zai saremo, tutti noi amici insieme, fra quelle cordate che saliranno l’Angelo Grande, la gita che fra i vari itinerari proposti più si avvicina all’alpinismo.

Al Rifugio Serristori ci attendono una aspra parete sopra di noi e i racconti dei veterani su ciò che ci aspetterà l’indomani che rendono la nostra “impresa” ancora più emozionante. Come ogni anno io mi tengo accanto Carlo, Rampone selvaggio per gli amici. Accanto a lui respiro la naturalezza di chi la montagna l’ha assorbita fin sotto pelle; Carlo ti parla del dettaglio di un passaggio di V sul Gran Zebrù o di una passeggiata in appennino con lo stesso trasporto, Carlo non è mai ostentazione, è semplicemente tutto per la montagna in ogni cosa che fa o ha fatto, e la vive come se in ogni passo si portasse dentro un infinito presente colmo di storie.

Verso la Croda di Cengles -M. Rondina

La notte è breve, l’alba frizzante, la luce inizia a sbucare da dentro al buio quando ci incamminiamo, già imbragati, verso la nostra lingua di neve che da sotto appare verticale e sospesa nel vuoto. Il materiale appeso addosso tintinna e ci deve far apparire al cospetto delle prime rocce ritte e improvvise come un  allegro corteo discreto e rispettoso. C’è chi sdrammatizza, chi ora non parla più, chi osserva se qualcuno ha bisogno; è come se, passo dopo passo, ognuno trovasse la propria identità, il proprio posto in quel drappello di anime seppur sconosciute e diverse.

Inizio del lungo traverso in discesa dal Passo dell’Angelo verso la Vedretta di Lasa – N. Baldi

Noi “favelesse”, così ci siamo soprannominati durante uno degli aperitivi di briefing, siamo sempre vicini, uno dopo l’altro, come collegati da un invisibile cordone ombelicale scaturito da Madre Montagna, pronti come fratelli a cogliere attimi di vita o tenderci la mano.

All’uscita in cresta dal nevaio sommitale ormai siamo in cima all’Angelo Grande – N. Baldi

Il cavo metallico ci aiuta a superare il risalto verticale e ora cede il posto agli sfasciumi della cresta che incerta lambisce il nevaio, il quale appare meno ostico rispetto a sotto.

Arriviamo in cima alla croce dell’Angelo Grande con il sole che ci trafigge gli occhi e scalda l’aria, ma non c’è tempo che per qualche foto, il cammino è ancora lungo e per niente banale.

Le rocce a volte sembrano non volere stare al loro posto, la via deve cambiare il suo assetto così spesso che a volte diviene difficile distinguerla, fintantoché sotto di noi non ci appare nella sua limpida magnificenza il Ghiacciaio di Lasa. Ampio, lucente, calmo, come un piccolo anfratto di mare rubato all’oceano dal ghiaccio, e che adesso la montagna costudisce solo per coloro che si spingono a cercarlo.

Sulla cresta dell’Angelo Grande – N. Baldi

Giusto il tempo di metterci i ramponi e legarci nelle cordate che le rocce minacciose della Vertana sopra le nostre teste iniziano a dar segni di insofferenza. Qui, nonostante le apparenze, è tutto più vivo e in movimento di quanto possa sembrare…

Il mio terzo di cordata, Guido, fa appena in tempo ad accennare a un discorso sull’arretramento dei ghiacciai negli anni e sentiamo delle scariche di sassi che ci fanno rabbrividire e ulteriormente accelerare l’andatura. Guido è, come tutti i membri storici del CAI, un uomo di grande esperienza, competenza e compagnia. Si prende in giro da solo quando fa fatica e allo stesso tempo fa il tifo per me quando cerco di aiutarlo con la corda all’uscita, un po’ ostica, del ghiacciaio.

In ogni caso è motivo di festa per tutti aver superato brillantemente sassi improvvisi, piccoli crepacci e saliscendi che a 3500 mt di quota si fanno sentire su gambe e fiato.

Il gruppo “escursionisti anonimi” si prodiga in foto da inviare a chi degli amici non ha potuto partecipare alla gita, in modo da far sentire anche agli assenti di essere su in vetta con noi.

Dopo 7 ore abbondanti di cammino però siamo a poco più di metà percorso, la strada che ci porterà a ricongiungerci agli altri due gruppi è ancora lunga. Solo dopo aver corso liberi su un nevaietto, esserci rituffati in un’altra lingua di ghiaccio e tanti, tanti (!) altri sfasciumi che l’acqua di millenni ha levigato, finalmente vediamo in lontananza dei prati, la verticalità della discesa si fa più docile, i passi possono divenire meno circospetti, le gambe libere di lasciarsi andare.

Una cascata dà vita al fiume che disegna un nastro scintillante a fondo valle. Abbiamo giusto il tempo per sederci e rifocillarci un attimo accanto a un giovane torrente, far il punto e finalmente complimentarci davvero per l’impresa.

Pochi minuti e ci riuniremo con gli altri membri, ma vogliamo goderci ancora un attimo i nostri “segreti” senza che alle orecchie di qualcun altro diventino solo “fatti”.

Abbiamo ancora immagini da condividere, chiacchiere che non siamo riusciti a fare in quota, idee da far sgorgare. Ma, stanchi e felici, torniamo verso gli impianti, e dagli impianti al pullman, e dal pullman a casa.

Ci saranno tanti altri aperitivi al sapore di montagna con gli amici in cui poter sognare.


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