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Riflessioni sul coronavirus
di Paola Pagliai
Che giorno è? Devo guardare sul cellulare per rendermi conto che oggi è giovedì 9 aprile. Sembra passato un secolo da quando abbiamo sentito parlare di Wuhan, megalopoli cinese sconosciuta ai più, dove stava imperversando un nuovo virus contagiosissimo.
Compriamo subito le mascherine! Ma no, dico io, non facciamoci prendere dal panico, la situazione è sotto controllo, e poi è confinata in Cina. A posteriori mi sono resa conto che era un’ottima idea, solo oggi sono riuscita ad averne due dal Comune.
In breve mi rendo conto che il virus si trasmette velocemente, d’altronde questo è un mondo in continuo movimento, ecco i primi due turisti cinesi contagiati. Ma vengono subito isolati. Si, ma subito dopo 40 turisti che rientrano in Italia vengono messi in quarantena. A questo punto il cervello ha già messo in conto che la faccenda andrà avanti. Ed ecco Codogno, un errore da parte dell’ospedale, forse, oppure ormai era troppo tardi per fermare il contagio.
Arrivano le misure di chiusura e di restringimento della libertà personale, l’ultimo giorno “libero” è stato l’8 marzo, festa della donna, ma, complice il bel tempo, ci sono stati tanti, troppi assembramenti e le maglie si stringono sempre di più fino a non poter uscire dal comune di residenza e da casa se non per i motivi di urgenza che tutti conosciamo.
Inizia il tempo sospeso. Assediata da telegiornali, talk show, quotidiani, notizie dalla rete, mi rendo conto che la giornata è fagocitata dal coronavirus. Ed è normale che sia così, la paura per noi e per le persone alle quali vogliamo bene, il dolore per tutti gli altri che sono malati o che muoiono da soli, come si fa a non sentirsi coinvolti?
Tutti hanno bisogno di condividere, i video su whatsup nonché i link su argomenti che riguardano il virus si susseguono a un ritmo impressionante: basta, non li guardo più, se sono buffi (come molti sono) perderò un’occasione per farmi una risata, se sono seri pace, ho bisogno di portare il cervello altrove. Da sempre amo leggere e ho avuto sempre poco tempo per farlo. Ora di tempo ne ho fin troppo ma non è facile concentrarsi sulla lettura, la mente torna sempre lì …
Rifletto: cos’è che mi manca di più? Non vedere più nessuno, e qui la tecnologia viene in aiuto. Skype, videoconferenza, ci vediamo con la famiglia e con gli amici, viene quasi voglia di toccarsi attraverso lo schermo, è come un abbraccio virtuale di cui al momento dobbiamo accontentarci.
Quando ripartiremo? Non lo so, né riesco a figurarmi questa ripartenza “progressiva”: prima chi lavora, e poi? Quale criterio verrà usato? Dobbiamo essere comunque consapevoli che il virus ci farà compagnia per tanto tempo ancora. Un ultimo pensiero alla montagna, che mi manca tantissimo, parafrasando una delle più belle poesie di Salvatore Quasimodo: ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito montagna.