“Dafcedà!” di Andrea Tozzi

Gennaio 2010
Talvolta capita di guardarsi indietro e di cominciare a ricordarsi di fatti e situazioni realmente accaduti, ma con un senso di irrealtà, probabilmente a causa del fatto che tornano alla mente vicende tanto pazzesche quanto lontane dal presente. Che si tratti di escursioni, viaggi, amicizie, incontri, insomma esperienze di ogni genere e tipo: non ha importanza. Affiorano ricordi…
Io ho il ricordo di un’escursione al Lago Scaffaiolo che, rivista adesso, mi pare irreale. Non tanto per la difficoltà, quanto per il senso di coraggio e vacuità che pervase quella gita, per la sua unicità e per quella voglia di mettersi in gioco, che francamente adesso non so se avrei.
Era da alcuni anni che la mia compagna ed io, insieme a Paolo e Maddalena (che da queste pagine voglio salutare dal loro lungo soggiorno in India), bazzicavamo il campo Rom del Poderaccio, zona Argingrosso, prima discarica sulla sinistra, periferia di Firenze, Italia, inizio terzo millennio. Ho molti ricordi di quel posto, alcuni molto belli, altri molto brutti, troppo brutti per farsene una ragione… a meno che non si abbia il cuore di pietra e una cinica mentalità.
Lungi da noi pensarci come educatori di strada o samaritani in cerca del modo di espiare chissà quali colpe, finimmo comunque con il passare molto del nostro tempo in quel luogo e in altri “non luoghi” della realtà fiorentina e nazionale. Come sempre capita quando si comincia a frequentare un posto, si cominciano a tessere rapporti, a conoscere situazioni nuove e alla fine si creano legami affettivi. Da buoni scienziati, visto che tutti e quattro siamo fisici (fatto curioso, ma davvero casuale!) e in considerazione del fatto che oramai eravamo come di casa, tentammo di organizzarci e razionalizzare i nostri sforzi. Individuammo un gruppo, che secondo gli standard occidentali era composto quasi esclusivamente da bambini e ragazzetti, e partimmo con un’attività autofinanziata di… “conoscenza del mondo” fuori dal Poderaccio. Può parere attività inutile e ridondante per delle persone definite “nomadi”… se di nomadi si trattasse! Anche se noi ci ostiniamo a chiamarli tali, quelle famiglie son profughi, scappati dalla guerra in Bosnia o da quella in Kossovo o da quella che sta per scoppiare nel posto X. Spesso son fuggiti lasciandosi alle spalle pezzi di famiglia e case distrutte: le loro!
Con una irresponsabilità disarmante e molto coraggio cominciammo a portarli in giro per conoscere cose e persone, per parlare con gente di ogni genere e tipo, scolaresche, preti, assessori, volontari, chiunque volesse ascoltarci, prima a Firenze poi in giro per l’Italia e decidemmo anche di fare un’escursione in montagna, perchè, chi dall’Agesci, chi dai centri sociali, s’era tutti appassionati di montagna. Quando si dice una passione trasversale!
Il Lago Scaffaiolo ci parve la meta giusta: ben conosciuta a noi gagè (1), priva di pericoli vista la stagione e comunque ben segnata. Soccorso alpino in zona. Facemmo la spesa tutti insieme nel più vicino discount dell’Isolotto e la mattina dopo ci ritrovammo al kampo (nomadi). Vuotate le nostre scassatissime auto dei bambini che ci eran saliti per giocare, caricammo ben benino materiale e persone e partimmo. “Si va in montagna” dicevano con un pizzico di orgoglio a chi gli domandava dove fossimo diretti stavolta. Arrivammo alla Doganaccia con molto comodo, dopo le non poche canoniche e rituali fermate all’Autogrill, al Benzinaio, al Bar, al Tabaccaio e quelle meno canoniche dovute al mal d’auto.
Ricordo la salita lungo il sentiero diretto al Passo Della Croce Arcana con molto affetto. I più piccoli, felici come pasque, erano incontenibili e salivano su che parevano delle gazzelle, con noi dietro ad urlare che non corressero. I più grandicelli parevan proprio non averne voglia, ma fra moccoli e fiatone, fra una pausa e l’altra, arrancavano su pure loro. Altri, un paio più grandi, eran fin troppo seri e fin dalla mattina presto… qualche grossa nuvola stava per addensarsi sopra le loro esistenze e la vista dei monti avrà forse loro ispirato una risolutrice ma impossibile fuga e quella giornata credo sia stata l’ultima della loro breve infanzia.
Arrivati sul crinali incontriamo dei cacciatori con i loro bei fucili abbandonati lungo il sentiero mentre si godevano il paesaggio un poco più in là… le conseguenti osservazioni circa l’irresponsabilità della cosa porta ad un diverbio fra gagè appassionati di caccia e non. I nostri bravi ragazzi maliziosamente rinfocolano subito per benino la polemica, non mancandogli ironia e battuta pronta. Qualche bercio e si riprende il cammino: noi si procede per lo Scaffaiolo, loro per il Libro Aperto a caccia di non so quali predatori. Mai discutere con chi ha un fucile… Arriviamo al Lago Scaffaiolo sgranati come il giro d’Italia sul Pordoi: rompiamo subito la tranquillità dell’ameno luogo, a noi tutti noto, con una serie di urli, richiami, minacce a non tuffarsi, diffide a piantarsi accanto a chi anela palesemente a stare in pace, mentre Paolo tenta pacatamente di far percepire a tutti la suggestione del luogo, la calma che ne dovrebbe naturalmente scaturire e la conseguente gioia interiore.
Maddalena saggiamente e più pragmaticamente urla le fatidiche parole: “Si mangia!” e tutti accorrono. L’attenta e premurosa macchina organizzativa si scatena vomitando quantità industriali di panini di ogni tipo tutti rigorosamente “porc free”. Escon fuori dei pericolosi wurstel di pollo ed ecco che qualcuno se ne esce suggerendo l’accensione di un fuoco: proibiamo tassativamente l’accensione di qualsivoglia fiamma, forti anche del fatto che lì di alberi o cespugli non se ne vede l’ombra dall’era carbonifera.
Il piccolo Gianer preso da entusiasmo irrefrenabile lancia un “dafcedà !” (2) a cento decibel che risuona rimbombando dalla cima del Cupolino. E mentre il fuoco che non doveva riuscire prende vita scoppiettando allegramente, ecco che si vede avvicinarsi Caterina, operatrice della cooperativa CAAT e che lavora al… Poderaccio! Senza parole, basita e stupefatta, viene subito festeggiata da tutti. “Non ci potevo credere! Quando ho sentito urlare dafcedà ho pensato ad una allucinazione! Ma che ci fate quassù?!!”. E giù con il racconto dell’avventurosa e “faticosissima” ascensione. Il pranzo prosegue tumultuosamente: al solito riusciamo a far allontanare tutti nel raggio d’un chilometro. Alcuni ragazzi attratti dalla cima del Cupolino cominciano a correre scommettendo a chi arriva prima. Io e Paolo a malincuore andiamo loro dietro… Sulla cima il paesaggio è decisamente bello e per molti dei ragazzi è la prima cima della loro vita ed anche la prima escursione in montagna a ben vedere! Tentiamo di rispondere alle loro domande su cos’è quel monte dov’è il camp e Firenze si vede? Ma il mare è lontano? Le auto chissà dove sono dafcedà….
Tornati alla base non si riesce ad evitare la temuta irruzione al rifugio. all’epoca ancora in lamiera. Qualcuno tira fuori un pò di spiccioli e fra monetine da cinquecento lire e qualche foglio da mille ecco che anche la canonica sosta al Bar è realizzata: thè per tutti! Usciamo seguiti dagli sguardi curiosi degli avventori. Rimaniamo un pò di tempo attorno al laghetto chiaccherando, raccontandoci fatti, storie e quant’altro ci salta in mente. Anche i due più grandi si sono un pò rasserenati. L’attenta macchina organizzativa richiama l’attenzione sull’ora e fra berci ed incitamenti si riparte per tornare giù “alle macchine”. Arriviamo al campo che il sole tramonta. Riaccompagnamo tutti alle baracche, rassicuriamo qualche mamma e ci salutiamo rumorosamente. Il giorno dopo telefono a Gianer e gli chiedo cos’ha fatto poi a casa: “quando son tornato a casa ero rosso in faccia per il sole. Mi son sdraiato a riposarmi… e son crollato stecchito!” (3).
Note:
(1) la parola “gagè” è usata dai Rom per indicare tutte le persone non Rom.
(2) L’esclamazione “dafcedà” è in realtà la composizione di più parole in lingua Romanè, la lingua parlata dai Rom, e la scrivo così come viene pronunciata. Anche se di facile traduzione è di difficile comprensione… molto difficile! La lingua Romanè ha in sè una profonda ironia e termini non proprio gentili, per non dire offensivi, possono talvolta acquisire un’accezzione fortemente amichevole e gioiosa come nel caso, appunto, di “dafcedà”.
(3) La vicenda raccontata è stata diversamente narrata dai ragazzi in una raccolta più vasta dal titolo “Mi bruciano gli occhi, ‘che ho letto due minuti!” scritto dall’Associazione Amengià e pubblicato sulla “Antologia Vieusseaux”, VIII, 24, settembre-dicembre 2002, Firenze, Polistampa. La pubblicazione fu conseguente alla partecipazione dell’Associazione al concorso “Raccontare le perifierie” ed aver ricevuto il “premio di diaristica e di memorie inedite” indetto dal Gabinetto Vieusseaux.
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