“1970-2010 quarant’anni cantando” di Carlo Marinelli

Maggio 2010

Stiamo vivendo un periodo di grande frenesia, dove tutto il mondo è in corsa (per arrivare dove non si sa). Ho la sensazione che tutto questo correre ci faccia dimenticare le nostre origini, il nostro passato, la nostra storia, tutta la strada che abbiamo percorso per arrivare a quello che siamo, quasi che la realtà quotidiana non il frutto di un lento miglioramento e attento adattamento a nuove realtà, ma un avvenimento miracoloso, un qualche cosa nato dal nulla, improvvisamente.

Il Coro La Martinella a Lugano (foto R. Manni)

Il coro è una compagine del nostro sodalizio che, anche se non prettamente alpinistica, ha il compito di mantenere viva una tradizione popolare montana per farla conoscere e apprezzare a coloro che non hanno avuto la fortuna di vivere certe realtà.

Una volta si cantava nelle feste, durante le soste delle gite e, cosa ancor più bella, nei rifugi alpini; questo contribuiva, oltre che a fraternizzare e a rallegrare “l’ambiente”, a sciogliere la tensione che magari ci aveva accompagnato nella salita. Oggi, purtroppo, s’impazzisce col cellulare, cercando sempre il “campo” e se questo non c’è, ci sentiamo soli in mezzo ad altre persone. Allora il canto univa e compattava il gruppo, attualmente la tecnologia ci divide. Oggi l’importante è il cambiamento, trovare nuove forme, il nuovo eccita, lo facciamo nostro senza valutare se sia meglio o no del passato, senza gustare appieno ciò che siamo stati e siamo, ciò che abbiamo, pur di provare qualche cosa di nuovo, senza riflettere, senza pensare se sia giusto o no.
Questo desiderio del “ nuovo”, a mio modesto avviso, sta prendendo campo, sia pur lentamente, nel nostro coro. Fermiamoci, amici miei, fermiamoci un attimo. Sono convinto, infatti, che dopo quarant’anni di attività sia giusta, o almeno comprensibile una sosta di riflessione per sapere da dove veniamo e dove vogliamo andare. Eravamo, dico così perché sono fra i più longevi coristi, giovani ed entusiasti, cantavamo la montagna e, in un secondo tempo, i canti della tradizione toscana, aborrendo con forza altri tipi di musica cosa che costrinse il nostro fondatore, Claudio Malcapi, ad abbandonarci quando ancora non eravamo divenuti “maggiorenni”. Così dopo soli venti anni ci trovammo orfani di padre ma, per nostra fortuna, con un tutore, Fabio Azzaroli, all’epoca giovane corista. Egli prese le redini del coro lo portò in alto proponendo e insegnando stupendi canti di tradizione alpina o similare, che entusiasmando i coristi dettero loro la forza di intraprendere una “seconda vita”.
Furono anni di grandi “conquiste” di pubblico e di gran soddisfazione che ripagava le nostre fatiche. Ma non sapevamo che il destino ci preparava un’altra sorpresa: avremmo avuto un nuovo tutore, Ettore Varacalli. Così, col canto, siamo arrivati a questa età, ancora giovani (nello spirito) e con tanta voglia di proseguire.
A questo punto faccio la prima mossa: formulo alcune domande alle quali cercheremo di dare risposte obiettive. Dico cercheremo perché porrò le domande, per una pluralità di risposte, oltre che a me stesso (trentasei anni di coro) anche a due coristi che penso siano l’espressione di questa realtà: al più anziano dì appartenenza al coro (ben quaranta anni) Valerio Bortolotti e ad un giovane (sei anni di coro) Stefano Saccardi. Forse dalle risposte potremo avere un sereno giudizio del coro e forse, chissà, potranno uscire alcune indicazioni per proseguire il nostro cammino.
1) Perché sono entrato nel coro?
Non è stata una nuova esperienza poiché gia negli anni cinquanta cantavo in un coro, l’EDELWEISS, insieme con un altro ragazzo che ho poi ritrovato nel La Martinella. Si tratta di Valerio Bortolotti che come ho gia detto è corista fin dalla prima prova (28 Aprile 1970). Ho aderito al coro per la voglia di cantare la “montagna” e tutte le sue bellezze. Qui avevo l’opportunità di entrare, col canto, nelle nostre bellissime valli, di valicare montagne, di sognare paesaggi stupendi o rivivere momenti tragici della nostra storia; mi dava l’opportunità di evadere, anche se momentaneamente dal tran tran quotidiano aprendo una finestra sul mondo che amavo, come ben decantato da un nostro ex corista in una sua poesia:
Una giornata uggiosa
tra litigiose cartacce…
un sole beffardo
che asseta la montagna
in questo giallo inverno
che sa ancora di estate…
l’inquieto desiderio di libertà
di orizzonti aperti
di cieli profondi
che chiama al monte
dal grigiore dell’asfalto…
Ma ogni tanto la mia finestra si apre
e la fatica si dissolve nel canto.
L’odore della neve appena caduta
e la luna che vi accende fugaci scintille
un sole ancora buono
che veste i prati di intenso smeraldo
il sussurro del vento tra i mughi
la notte che scende profumata di fieno
il freddo bagliore dei ghiacci perenni,
tutto questo, ed altro ancora
mi rivive dentro
quando la voce
si fonde con quella di tanti ormai amici
e più che la parola
una sola armonia ci avvolge e ci riunisce.
Ed ecco di nuovo la gioia,
la voglia di camminare
di rifare pace
con quello che domani mi attende.
Grazie, Martinella!
“Martinella” di Raffaele Bazzoffi
Stefano Saccardi
Anche Stefano Saccardi, il giovane corista dice che lo stimolo che lo ha fatto entrare nel coro gli viene “dal suo amore per la montagna e per tutto ciò che la rappresenta sotto ogni forma e aspetto. “Ho cominciato –  prosegue Stefano – a seguire La Martinella già dalla fine degli anni settanta. Un mezzo per sognare la montagna nei lunghi mesi cittadini lontano dalle vette. Interessato da questa forma di canto ho proseguito a seguire La Martinella negli anno successivi, cullando poi in cuor mio il desiderio di poter far parte anch’io del gruppo cosa che è avvenuto nel 2002 in occasione di un corso per coristi organizzato al fine rimpinguare le fila del coro; nel 2003 il mio sogno si è avverato: sono divenuto corista effettivo”.
Non cambia di tanto la risposta di Valerio Bortolotti che dice: “A casa mia abbiamo sempre cantato e abbiamo sempre cantato con gli altri, quando negli anni cinquanta si andava, con quegli autobus lenti e maleodoranti, a sciare all’Abetone o quando d’estate, al campo C.A.I., si passavano le serate in compagnia. Erano canti alla buona, sempre le solite tre o quattro canzoni. Mi piaceva cantare: la voce e l’intonazione non mi mancavano”.
Poi Valerio passa a raccontare la sua vita di corista partendo dagli anni cinquanta quando “ho cominciato a cantare un po’ più sul serio in un coretto organizzato e diretto da Don Sessa per il Centro Sportivo Giovanile. Ricordi Carlo? Le prove le facevamo al seminario di Montughi. Facemmo alcune esibizioni, come quella all’Abetone per la Festa della Neve. Poi venne l’impegno più importante: dovevamo cantare all’Isola d’Elba dove non arrivammo mai per il mare grosso. Ci sentimmo tutti male, il traghetto tornò indietro e l’avventura del coro finì. Mi rimase la voglia di cantare ma dovevano passare poco meno di venti anni per avere un’altra occasione: il coro del C.A.I. diretto da De Bernard che durò un attimo, ma che fu la premessa de La Martinella”.
2) Dopo quarant’anni il coro è cambiato?
E’ una domanda che spesso mi sono posto e la risposta è certamente lunga. Certo in quarant’anni ne abbiamo fatta di strada, e non solo musicale. Siamo riusciti, ovviamente con l’aiuto dei nostri maestri e la nostra tenacia, ad acquisire riconoscimenti sia a livello nazionale sia internazionale, (chi segue la vita del coro lo sa bene), cosa che mai allora avrei immaginato; quaranta anni di vita insieme per noi fiorentini di carattere litigioso e indipendente è un traguardo notevolissimo che solo un grande comune interesse ci ha fatto raggiungere: il canto.
Carlo MArinelli

Se ripenso al passato, da quando con un repertorio di canti di tradizione SAT e alcuni canti toscani che furono armonizzati dal nostro fondatore Claudio Malcapi ci presentavamo ai concerti, sono certo di non sbagliare asserendo che abbiamo vissuto tutta l’epoca di trasformazione del canto popolare dovuta in gran parte a due grandi maestri: Giorgio Vacchi e Bepi de Marzi. Grazie a questi e al loro nuovo intendere il canto popolare, abbiamo rivisto il nostro repertorio orientandolo su canti che oltre alla loro bellezza poetica riuscivano, con la loro musicalità e armonizzazione, ad eccitare tutti i coristi quindi il pubblico. Poi la voglia del nuovo, forse il non sentire dentro la montagna e quindi non saperla esprimere col canto, ci ha fatto prendere altre strade che personalmente non condivido.

Sono entrato ufficialmente nel coro nel 2003 quindi ho solo sei anni d’anzianità, troppo pochi per valutare eventuali cambiamenti – dice Stefano – Ho riscontrato innanzi tutto la difficoltà di un adeguato ricambio di coristi (l’età media mi sembra alta), i nostri giovani hanno altri tipi d’impegni, di modi di passare il tempo. Ho l’impressione che sia diminuito l’impegno nelle prove e l’attenzione dovuta, rispetto ai primi tempi. Ho notato una maggior partecipazione ai concerti vicini rispetto a quelli più lontani. Mi sembra in conclusione che sia stato perso un po’ di smalto; diciamo così”.
Alla stessa domanda Valerio fa alcune considerazioni: “Sono quarant’anni di fedeltà a La Martinella; ho visto passare tre maestri che, ciascuno con la propria personalità, hanno dato impronte diverse al modo di cantare: esatto ma un po’ troppo lento e monocorde nei primi anni di Malcapi, che col tempo aveva però preso più confidenza con le canzoni, rendendole più vivaci. Il passaggio alla direzione Azzaroli aveva portato una nuova forza e anche passionalità nelle esecuzioni, tutte tenute ‘su di giri’, anche se a volte non sempre perfette nell’esecuzione. Anche Fabio è passato e con Ettore abbiamo perso un po’ del brio, forse eccessivo, con cui cantavamo, ma abbiamo migliorato nel colorito dei canti, ora più ‘posati’. Il coro è cambiato seguendo le indicazioni dei maestri e nel contempo c’è stato un continuo netto miglioramento che però non riesco a percepire in questi ultimi anni: mi sembra che il coro sia adesso in un periodo di stallo”.
3) I nostri sogni si sono avverati o sono andati delusi?
Dire che i sogni sono andati delusi sarebbe la più grossa bugia di tutti i tempi. Non solo si sono avverati ma la realtà ha superato i limiti che la più fervida fantasia poteva immaginare. Siamo diventati famosi, siamo invitati a qualsiasi tipo di manifestazione (apolitica e aconfessionale com’e lo spirito del C.A.I.) siamo gli ambasciatori, forse qualcuno sorriderà ma è la realtà, della nostra sezione in Italia e in Europa, e siamo parte attiva nella vita sezionale, permettetemi di dirlo, forse più di altri importantissimi gruppi.Cosa volere di più.
Sono contentissimo – risponde Stefano – della scelta fatta perché la partecipazione al coro si è rivelata un modo intelligente per passare il tempo libero, in buona e cordiale compagnia. Le trasferte sono sempre motivo di serenità ed anche un modo per dimenticare, sia pur momentaneamente, i problemi quotidiani. Lo schierarsi e l’esibirsi davanti ad un pubblico che gremisce la sala come pure il ricevere applausi, è motivo di soddisfazione che gratifica il nostro impegno e ci induce sempre a migliorare. Pensavo però di respirare un po’ più aria di montagna. Ritenevo che cantare nel coro di una sezione del Club Alpino Italiano portasse con sé anche il fatto di parlare di escursioni, sentieri, impressioni, sensazioni montane. Non mi pare che questo avvenga almeno nel modo che ritenevo si verificasse. Noto comunque che la mia vita è in un certo qual modo scandita dall’attività del coro e quando non posso partecipare mi sento a disagio”.
Valerio Bortolotti

Valerio tiene a precisare che: ”pur non avendo motivo di lamentarmi, la mia delusione è il graduale abbandono dei canti popolari toscani che, cominciato con Fabio, è proseguito con Ettore. Peccato, perché era la nostra caratteristica iniziale”.

4) I canti di una volta erano di maggior soddisfazione rispetto a quelli recentemente entrati in repertorio ?
Come ho già accennato, in questi quaranta anni abbiamo messo in repertorio tutti i tipi di canti. Siamo partiti dai canti della SAT per poi passare ad armonizzazioni del Monte Cauriol, da dove proveniva il nostro fondatore, Claudio Malcapi. L’entusiasmo era tanto ma la nostra bravura doveva ancora arrivare. Per non subire confronti forse deludenti con altri cori ci venne in aiuto il nostro Claudio che armonizzò e pubblicò una quarantina di canti toscani molti dei quali raccolti dalla viva voce di anziani personaggi. Questi canti ci permisero di proseguire il nostro cammino senza tanti problemi: li cantavamo solo noi. Ma erano canti che non davano la carica, il canto toscano poco si addice a un coro: è più che altro un canto da solista.
Nel 1990 la svolta, cambio di direttore. Fabio Azzaroli trovandosi un coro ormai amalgamato e bravo attinse dai repertori dei maestri Vacchi e De Marzi canti che esaltarono i coristi e il pubblico che sempre più numeroso veniva ai nostri concerti. Eravamo bravi, non avevamo più timore di confrontarci con compagini di tutto valore. Per la nostra forza interpretativa e la varietà del nostro repertorio cominciammo ad avere inviti in tutta Italia. Adesso anche se il livello di esecuzione si mantiene costante mi sembra che i nuovi canti, salvo alcuni che sono delle vere poesie, non siano all’altezza dei precedenti, sia come testo che come musica. Cambiare va bene ma sempre con gusto e ricordandosi delle nostre origini.
La mia esperienza è limitata nel tempo” dice Stefano “ma ricordo i canti che sentivo ai concerti alla fine degli anni settanta che ritengo, adesso, non adatti per il repertorio di un coro del C.A.I.; a volte ho assistito a concerti alquanto noiosi. Il repertorio recente è vario e ricercato, sempre difficile da cantare perché i canti sono armonizzati in toni alti che richiedono un notevole sforzo vocale, specie nella mia sezione dei tenori primi. Però il risultato finale è esaltante. Purtroppo non mi pare vi sia stato un particolare rinnovamento di canti di montagna: sono sempre gli stessi più o meno da quando sono entrato. Non abbiamo, come tanti cori hanno, canti natalizi: da una vita cantiamo Stille Nacht e Adeste Fideles. Anche in questo ambito vi è un’abbondante disponibilità di canti sia di origine religiosa che popolare dalla quale attingere”.
Valerio trova che una risposta a questa domanda risulta abbastanza difficile perché “ciascun direttore ha scelto i canti secondo la sua formazione. C’erano canti da me amati che sono stati purtroppo abbandonati, come quelli toscani in cui mi riconoscevo e ci sono adesso canti nuovi altrettanto piacevoli. Devo però dire che forse il dispiacere degli abbandoni è un po’ più sentito del piacere dei nuovi”.
5) La nostra appartenenza al C.A.I. sopportata ma non gradita da tanti coristi, è stata ed è una cosa positiva?
Chissà se il nostro Claudio nel lontano 1970 pensava a tanta longevità. Certo è che La Martinella è diventata la realtà che è, oltre che per l’impegno non indifferente dei maestri e dei coristi, anche perché alle spalle abbiamo avuto sempre la nostra sezione, con i suoi presidenti, con i consiglieri che si sono succeduti nei diversi mandati, pronti e sempre disposti a darci una mano. Purtroppo siamo un gruppo nel quale ci sono persone per le quali la montagna è una grande sconosciuta, una realtà che non sentono dentro e che quindi non possono esternare. Per questo anche l’appartenenza al nostro sodalizio pesa, non è compresa e per molti non siamo noi che dobbiamo essere grati alla sezione ma viceversa. Ma sappiate, cari amici, che siete entrati nel coro quando questo era già su un piatto d’argento, piatto sul quale siamo seduti grazie al sostegno della nostra sezione. Senza questo non saremmo LA MARTINELLA. In questi anni, in occasione dei nostri anniversari, è stata scritta la nostra storia; rileggiamola (ci sono, tra i tanti, due bellissimi articoli di Franco Del Buffa e Valerio Bortolotti – Stefano Cerchiai che spiegano tante cose che la maggior parte dei coristi non conosce). Se poi qualcuno non è d’accordo si domandi perché è entrato a far parte di un coro che, di fatto, è un’attività della sezione fiorentina del Club Alpino Italiano.
Effettivamente – è Stefano a parlare – a volte avverto quest’aria di avversità verso l’istituzione C.A.I., pur partecipando alle iniziative della nostra sezione.  La mal sopportazione da parte di pochi ritengo provenga da un’estrazione non montana, cioè di essere nel coro per cantare e non di cantare nel coro del C.A.I. per passione di appartenenza al sodalizio. Personalmente ritengo il coro costola fondamentale del sodalizio dal quale non può essere staccato; auspico anzi una sempre maggior collaborazione per portarci a livelli sempre più alti e diffusi sempre in ambito C.A.I. Si deve pensare che se La Martinella ha quarant’anni con sulle spalle un’attività ricca di grandi traguardi e di fama ad un livello alto si deve, oltre alla bravura dei maestri e dei coristi, anche al sostegno della sezione del C.A.I. di Firenze che ha sempre fatto sforzi economici per il coro. Sforzi che da parte di alcuni Consigli Direttivi del coro, mi sembra, non siano stati giustamente recepiti”.
Se ben ricordo, Carlo – interviene Valerio – sono stato io a far iscrivere i ragazzi del coretto di Don Sessa al Club Alpino Italiano, in particolare alla S.A.T. che allora aveva quote di associazione abbastanza più basse che a Firenze. Io non trovo nessun preconcetto per la nostra appartenenza al C.A.I forse anche perché i miei primi anni di canti di montagna sono stati nel Club Alpino Italiano e con questa associazione continuano. E mi sento di ringraziare il C.A.I. che mai ha forzato la mano sulle nostre scelte”.
6) Con la lunga appartenenza al coro, conoscitore di tutta la sua storia, cosa consiglieresti per il futuro?
Cosa dire. Ormai noi “veterani” siamo troppo in là con gli anni. Siamo invecchiati noi coristi, non La Martinella. Anche se gli anni sono passati lo spirito è sempre alto ma con lo spirito non si va molto avanti. Non s’intravedono giovani entusiasti del canto corale pronti a rinfoltire le nostre fila e questa è una grossa preoccupazione. Vorrei rivolgere un appello a tutti i giovani che leggeranno questo articolo (incrocio le dita): venite tra noi, inseritevi con passione ed entusiasmo e vi doneremo con grande gioia questa magnifica realtà. Vorrei anche ritornare all’inizio di queste poche righe, quando dicevo perché sono entrato nel coro, per invitare chi di dovere a ritornare ai canti che ci hanno spinti ad entrare in un coro C.A.I.
Certamente qualche variazione sul “tema”, come riprendere alcuni canti toscani a suo tempo armonizzati dal nostro fondatore, può essere anche piacevole (dopotutto siamo toscani) purché essi siano debitamente rivisti nell’armonizzazione ‘sì da renderli più ricchi e armoniosi (come i canti e che hanno rivoluzionato il canto popolare). Ma attenzione, deve essere una rivisitazione fatta con molta cura, con grande professionalità e più che altro con moltissimo buon gusto sia nell’armonizzazione che nella scelta dei brani (cosa che ultimamente mi sembra non sia avvenuta). Un’ultima osservazione: le nostre prove. Queste hanno avuto, fin dalla costituzione del coro, una durata di due ore ciascuna (sia pur con un piccolo intervallo); adesso l’impegno è ridotto di un’ora, quando va bene di un’ora e un quarto. Tutto questo perché qualcuno prese al balzo un’indicazione venuta dal consiglio C.A.I. di non fare confusione la sera. A nulla sono valse le spiegazioni che la confusione si riferiva allo stare a parlare nel cortile dopo le prove e per di più non era rivolto principalmente al coro che alle 23,30 cessava l’attività e se ne andava a casa. Comunque la realtà è questa e il tempo per imparare nuovi canti si è notevolmente ridotto e il nostro repertorio è piuttosto vecchio.Torniamo a fare delle prove più lunghe, cantiamo, cantiamo di più (tralasciando magari qualche piccola imperfezione che solo qualche orecchio “educato” potrà percepire) perché solo cantando molto acquisteremo esperienza e sicurezza, cosa che ultimamente sembra sia un po’ diminuita.
A questa domanda Stefano risponde dicendo: ”Mi auguro di appartenere al coro per moltissimi anni ancora perché ritengo questa attività un modo intelligente di impiegare il mio tempo libero; certamente gradirei un repertorio più consono al Sodalizio che mi ha fatto incontrare La Martinella. Mi piacerebbe cantare più la montagna o canti degli alpini, tanti canti sono a disposizione, pagine bellissime che renderebbero il nostro coro più apprezzato. La Martinella è forse l’ultima realtà fiorentina in grado di stimolare nei giovani l’interesse per la montagna e le eroiche gesta dei nostri alpini. In alcuni concerti ho notato che nemmeno un canto di montagna era stato inserito in scaletta; questo per me non è accettabile. È difficile fare proseliti tra i nostri soci se non gli si infonde l’interesse attraverso canti appropriati”.
Direi che la mia risposta è già insita nelle precedenti – risponde Valerio – vorrei che si ricominciasse a prediligere i canti popolari toscani, che come toscani dovrebbe essere una nostra prerogativa, senza però abbandonare ma anzi incrementare i vari tipi di canti che abbiamo in repertorio”.
Ebbene, dopo questa piccola “chiaccherata” tra coristi e al compimento dei nostri quaranta anni d’attività sono convinto, confortato anche dal prezioso pensiero dei due amici, che dovremmo ritornare ai “nostri” canti, ovviamente con una scelta oculata e di buon gusto, tenendo sempre presente, in questa rivisitazione, oltre il testo, anche le armonizzazioni, magari elaborandole un po’ in modo da renderle più vicine ai nuovi “stili” del canto corale. Anche la rivisitazione dei canti toscani, tanto cari a Valerio, può essere una scelta che ci “identifica come toscani” purché fatta in modo da non oscurare i classici canti di montagna con i quali siamo nati e che ci fanno sentire maggiormente un coro del Club Alpino Italiano.
Buon compleanno Martinella.

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