“Ossigeno!” di “l’Armando”

Maggio 2010
Per esser certi di venire accolti con favore dagli uomini, è meglio offrire loro cibo per lo stomaco che per la mente
(A. Einstein, 1954)
Mario Verin al mio corso di roccia dell’autunno ’78: “Non leggete quell’idiozia di libro che è le mie montagne di Bonatti”*. Io l’avevo già letto e mi seccava un po’ ritrovarmi idiota senza avere avuto il tempo di maturare questa condizione. Perché da idioti ? mi chiedevo, ma probabilmente la novità d’un mondo che non si conosce ed una passione che lascia all’irrazionale la mano completamente libera era la condizione che faceva passare la retorica, la mitizzazione, la banalità descrittiva per qualcosa di notevole.
Scorre il tempo e le letture, e sempre cime salite a fatica, è vero stanchi ma felici, ed estati che si ripetono come campagne di guerra, e la soddisfazione per le vie fatte dimentichi del fatto che ce l’abbiam fatta per un pelo, per il caso che ha voluto metter un chiodo in quel posto, un appiglio che ha retto per l’appunto, una sassata evitata al millimetro. E tutto questo è, sia chiaro, esperienza, perizia e consapevolezza, razionalità nell’irrazionalità. Fumisteria. Che poi non ci sarebbe nulla di male a romanzare su ciò che la nostra passione ci spinge a vivere, il fatto è che si dicon sempre le stesse cose; scomodando e usurpando (usurpandolo parecchio) Goethe secondo il quale l’uomo è un essere alla costante ricerca di senso, direi che effettivamente mi sento un po’ idiota, adesso consapevolmente, quando leggo racconti di montagna, di salite, che nulla aggiungono a quanto già detto, come dire che il senso del raccontare si sia molto rattrappito e il senso dell’agire sia un po’ legato a questa cultura.
L’odierno scrivere di montagna è un esercizio ripetitivo e neanche di stile che, perlomeno a me, nulla trasmette. La comunicazione che diventa autoreferenziale e nell’era, appunto della comunicazione, si diviene sempre più aridi, poveri d’idee, senza più percorrere strade lanciate sugli anni come un ponte.
Passa altro tempo, io non so cosa comprate voi all’edicola, ma riviste di montagna oramai io ne acquisto pochissime. Non è un fatto di crisi, di taglio del superfluo, è un fatto che non ritrovo più quegli articoli che in svariate maniere ovvero tristi, amari, allegri, pieni di speranza, coraggiosi ed anche eroici, erano parole che erano uomini, adesso invece leggendo di montagna ho l’impressione che siamo infilati in un imbuto dove abbiamo il permesso di trasmettere e il divieto di parlare. Mancano quei pensieri che cercavano di lanciare quest’uomo oltre il confine stabilito che qualcuno ha tracciato ai bordi dell’infinito. La montagna è una delle tante possibilità. Rivorrei la simpatica ironia di Aberto Paleari, l’antiretorica di Silvia Metzeltin, l’umorismo di Gianni Battimelli, la lucida fotografia di Brenna sul mondo dell’arrampicata d’alto livello. E nel nostro piccolo mondo fiorentino che fine ha fatto l’intelligenza innovativa di Mario, l’antieroe Franco col suo “Gringo di che pais”, il muro di Arcetri di Leandro e “Solo il fatto” di Andrea Bafile? Ho perfino una vaga nostalgia di leggere uno di quegli articoli di quel caso sociale, iscritto un tempo all’anagrafe come Marco Baggiani, meglio noto come “Il paracadutista”. “Solo il fatto”, un trafiletto di poche righe che omettendo i nomi riportava appunto il fatto, l’accadimento di una certa cosa sull’alpi. I sogni avverati o le possibilità realizzate, l’uomo e le sue capacità senza costruire miti attorno ad un nome. Certo “Il fatto” oggi sarebbe più difficile perché dire che quattro arrampicatori fanno la Oppio al Pizzo e la somma delle loro età tocca i 200 anni è, adesso, la cosa più ordinaria che ci sia.
Meno proponibile immaginare oggi un condensato d’incertezza costituito da uno che prende una moto inglese d’epoca e se ne va da solo sempre sulla Oppio. Va e torna per pranzo. Oggi non c’è più niente di tutto questo? Forse che chi adesso ha un mondo nel cuore non riesce a esprimerlo con le parole? Oppure la paura di non avere novità nel cassetto ci fa dimentichi che non hanno fatto delle grandi pattumiere per i giorni già usati, come se il già vissuto non potesse, con un po’ d’analisi, contenere emozioni rinnovabili. Voglio dire che è difficile fare il cronista di eventi nuovi, avere corde del cuore che siano un liuto, e si rischia di dare titoli a effetto che coinvolgono la gente in un gioco al rialzo che riesce a dire tutto senza dire niente, ma bisogna pur uscire da questa marea stagnante quasi che le cime che saliamo abbiano impresso un vuoto e non sappiamo più trovare una via di fuga che liberi l’anima dalla gabbia. Manca quell’entusiasmo di spaziare senza limiti nel cosmo, manca la convinzione che la forza del pensiero sia la sola libertà, manca l’avvertire che non è tempo sprecato il farti narrare la vita dagli occhi. Non che sia grave tutto questo ma aprire una rivista e non leggere qualcosa di bello è come entrare nell’inverno con un po’ d’amarezza nel sangue, anche se mi hanno detto che succede di tutto, ci son cose molto interessanti e anche originali, che si fan cose veramente strane, veramente nuove, peccato che a me sembrano soltanto timide e modeste variazioni che nella loro velleità hanno l’aria e la pretesa di sfacciate novità.
E mentre rifletto da solo e mi muovo in questo pulviscolo madreperlaceo che vibra, come un barbaglio che invischia gli occhi e un po’ mi sfibra, apro la posta, la rivista del CAI fiorentino, e inaspettata una trota di luglio balzò col suo acuto metallo lucente. Anzi non uno ma due guizzi: Melucci e Passaleva.
Melucci che finalmente e apertamente rigetta il necrologio, rituale spesso falso e travisato, necrologi che c’informano e un po’ ci annoiano, sbiaditi, una specie di orgia d’energia negativa. Nessuno che dica “Apparve, comparve e come fiamma sparì” consapevoli che in fondo si è soli sulla terra trafitti da un raggio di sole, ed è subito sera. Questi necrologi che assomigliano a falconi ammaestrati e nell’aria alta e fragrante puoi sempre tirarlo giù per imprigionarlo in un cassetto.
E poi Passaleva che finalmente, con ingegneristica analisi e forse anche con gaddiano stile, smonta la stantia architettura narrativa della lotta con l’alpe. Sarà perché l’autore è avvezzo per mestiere a usare il regolo calcolatore per sbrigare le proprie faccende e tale pratica porta a non prendere sul serio una buona metà delle asserzioni umane, ma comunque sia, ci indica il bisogno di credere che i più belli dei nostri giorni debbano essere ancora vissuti e raccontati senza rodomontate, come segni sottili, monete di tempo e d’acqua, detriti, celeste cenere come un’essenziale ebbrezza. C’è il bisogno che il proprio corpo, assieme al pensiero, vibri felice più forte del vento, una lotta contro il tempo perché in questo enorme e indaffarato niente non abbiamo più scampo, rischiamo di perdere le ore perplesse, i brividi di una vita che sfugge come acqua fra le dita. Certo è difficile. Difficile è salire un monte, più sali e più soffri, più sali e più sembra lontana la cima ma quando tu arrivi ti siedi e sorridi hai l’anima dell’orizzonte. Difficile è anche tornare da un monte. Ancora più arduo è riuscire a raccontare un’instabile vicenda d’ignoti aspetti dove il ritmo che li governa ci sfugge e ogni attimo brucia negli istanti futuri senza tracce. Ad ogni modo, leggendo i due Autori, ho avuto l’impressione che questa neve se ne sta andando e forse rifioriranno le gioie passate col vento caldo di un’altra estate. Adesso è ora che queste pupille abituate a copiare inventino i mondi sui quali guardare ricordando però che la sollecitudine di questo secolo e l’inganno delle ricchezze affogano spesso la parola e allora essa diviene infruttuosa. O no?
Nota Bene: questo scritto è un totale assemblaggio di alcuni pezzi, uniti da poche frasi autonome, presi dai seguenti autori: F. De Andrè / E. Montale / R.A. Rilke / L. Cohen / N. Hikmet / P. Neruda / E.A. Poe / J. Prevert / G. Gaber / R. Musil / A. Allegri / S. Quasimodo / Il Corano / La Bibbia
* La frase apparentemente irriverente si rivolgeva a tutta quella letteratura alpina, di cui il libro di W. Bonatti faceva parte, che riproponeva continuamente il tema della lotta con l’alpe.
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