“Anche le Alpi Apuane avevano i loro ghiacciai” di Marco Bastogi

Annuario 2010

E’ difficile oggi poter pensare che un tempo anche questa piccola catena montuosa non troppo elevata come quota, sia stata ricoperta da ghiacciai. Si tratta di ghiacciai certamente più piccoli di quelli che si sono sviluppati nelle Alpi, ma anche questi hanno lasciato chiari segni indelebili del loro passaggio.

I ghiacciai delle Alpi Apuane

Ad iniziare da 1,8 milioni di anni fa (Quaternario – Pleistocene), l’azione delle glaciazioni dette gli ultimi “colpi di pennello” al paesaggio apuano come lo conosciamo oggi; l’erosione glaciale ha modellato le sommità della catena ed ancora oggi si riconoscono circhi glaciali, valloni arrotondati dai ghiacciai e depositi morenici frontali che contribuiscono a disegnare un paesaggio molto simile a quello alpino. La formazione di questi ghiacciai è attribuita in particolare all’ultimo periodo glaciale: il Würm (tra 15.000 e 70.000 anni fa); solo in pochissimi casi, la presenza di depositi morenici cementati e direttamente coperti da altri depositi morenici sciolti, fa supporre una glaciazione ancora più antica.

L’area glaciale si localizzava nella regione con quote più alte e in corrispondenza del versante nord orientale e più freddo della catena, dove l’acclività è anche minore ed è quindi stato possibile un maggior accumulo ed una più lunga conservazione dei ghiacci. Le zone più tipiche sono in particolare tra il Pizzo d’Uccello e il Monte Sumbra, poi ci sono le aree di Arni (tra Passo del Vestito e l’Altissimo), l’area compresa tra il Monte Corchia e le Panie e infine, in tempi più recenti, è stata riconosciuta glaciale anche la zona più occidentale tra il Monte Borla ed il Monte Sagro. Il primo ad accertare l’antica esistenza di un ghiacciaio nelle Apuane, fu il Professor Antonio Stoppani, nel giugno del 1872 mentre, in compagnia dell’amico Ing. Emilio Spreafico, percorreva la valle d’Arni. La notizia fu pubblicata, lo stesso anno della scoperta nei Rendiconti del Regio Istituto Lombardo con il titolo “Nota sull’esistenza d’un antico ghiacciaio nelle Alpi Apuane”. Il fatto acquisisce ancora più importanza se si considera che questa è la prima scoperta per l’Italia peninsulare. Anche il Professor Igino Cocchi, insigne geologo e primo Presidente della Sezione C.A.I. Firenze nel 1868, aveva manifestato il sospetto che le Alpi Apuane una volta fossero state interessate dai ghiacciai.
Le tracce del primo ghiacciaio riconosciuto si trovano nell’alta valle della Turrite Secca (Val d’Arni), poco a valle del paese di Campagrina e sono testimoniati da estesi depositi di ciottoli e massi angolosi, talvolta cementati tra loro ad indicare un periodo glaciale precedente a quello Würmiano. I ciottoli se esaminati attentamente, mostrano le tipiche striature determinate dall’azione abrasiva provocata dal ghiaccio in movimento. L’antico ghiacciaio raggiungeva le pendici del Monte Altissimo, del Pelato, il Passo del Vestito, il Monte Macina, il Monte Fiocca fino al Fatonero. Il ghiacciaio si divideva in due rami: quello che occupava la valle delle Gobbie (lungo circa 2 km) e quello principale che seguiva l’asse del Turrite Secca (circa 3,7 km). Giunti poco più a valle di Campagrina, i due rami si riunivano in un unico fronte lasciando il loro carico di depositi morenici. Le forme del territorio, riferibili ai ghiacciai, non sono tuttavia diffuse e marcate come per le Alpi, il motivo risiede soprattutto nel fatto che in Apuane, i ghiacciai si sono formati poco prima che le mutate condizioni climatiche ne determinassero la loro scomparsa; il periodo di esistenza è stato così talmente breve che anche le impronte che oggi ritroviamo sono molto poco accentuate.
Il “circo glaciale”, ovvero la depressione semi-circolare dominata da ripide pareti rocciose e parzialmente sbarrata a valle da una soglia più o meno marcata, è la forma più comune che si può  osservare, le così dette “soglie di transfluenza” (Focolaccia, Foce Giovo, Foce di Mosceta), si localizzano lungo gli spartiacque principali ribassandoli e permettevano alle masse glaciali di attraversare i versanti; in casi più rari si sono formate “soglie di diffluenza” (Passo del Vestito, Foce Pianza), in questi casi il ghiaccio si biforcava formando due lingue distinte. Non mancano naturalmente valli glaciali dalla tipica forma concava come nel caso di Orto di Donna, Fatonero e le “conche glaciali” tra cui Mosceta, Fociomboli e Campocatino.
Poco diffuse sono le “rocce montonate”, ovvero le tipiche forme rocciose convesse modellate dal passaggio della massa di ghiaccio con i frammenti rocciosi in essa inglobati (Fig. 1).
Fig.1 - Roccia montonata presso Fociomboli

Tra le forme di deposito che possiamo trovare, le più diffuse sono le “morene frontali”, ce ne sono di ben riconoscibili in diverse vallate interne, particolarmente spettacolare è quella presso il canale del Libardo a Gramolazzo. Più rare sono le morene laterali o quelle dovute alle fasi di progressivo ritiro del ghiacciaio; un esempio particolarmente esemplare è l’anfiteatro morenico della conca di Campocatino. Si possono trovare massi di enormi dimensioni trasportati dal ghiacciaio (massi erratici) che talora, se di marmo, sono stati oggetto di attività estrattiva. Se ne trovano di notevoli dimensioni nella valle dell’Edron e nella valle di Gramolazzo.

La carta schematica di Fig. 2, ricostruisce, sulla base di tutte le testimonianze glaciali fino ad oggi individuate, la distribuzione degli antichi ghiacciai Apuani. Si tratta di una ricostruzione eseguita da Braschi S., Del Freo P. e Trevisan L. nel 1987, ancora oggi valida, che amplia considerevolmente le prime ipotesi degli studiosi di fine ‘800 che avevano individuato dodici ghiacciai. Vediamo quali erano i più importanti e quelli che hanno lasciato le tracce più significative.
Il ghiacciaio di Gramolazzo
Era il ghiacciaio più esteso con il suo fronte alla quota di m 600 in corrispondenza dell’omonimo paese. Occupava una superficie di circa 12 km2 per una lunghezza massima di circa 6 km. In esso confluivano i ghiacci del bacino compreso tra Pizzo d’Uccello, M. Grondilice, M. Cavallo e M. Pisanino; attraverso la “sella” di Minucciano inoltre, una breve lingua si spingeva (trasfluiva) in direzione nord. Gli accumuli morenici sono oggi in parte coperti da frane recenti e la loro estensione aumenta presso la confluenza tra i torrenti Acquabianca e Gramolazzo.
Il ghiacciaio di Gorfigliano
Dal bacino compreso tra il monte Pisanino, il Cavallo e la Tambura, più ad oriente del ghiacciaio di Gramolazzo, scendeva un ghiacciaio di lunghezza di poco inferiore ai 6 km che occupava una superficie di circa 8  km2. Il fronte e la sua quota era talmente vicino a quello del ghiacciaio di Gramolazzo  che non si può escludere la possibilità che in certi momenti fossero uniti.
Ghiacciaio del Solco di Equi
Scendeva dalla cresta del Pizzo d’Uccello, lungo la valle, in direzione nord ovest, un ghiacciaio fino a poco tempo fa ufficialmente sconosciuto anche se De Stefani nel 1890, senza disporre di prove certe, ne ipotizzava l’esistenza. Anche il Prof. Cocchi, ipotizzo l’origine glaciale di un masso localizzato nel Solco di Equi noto localmente con il nome “Paiolo”. La lunghezza di questo ghiacciaio non eccedeva i 2,5 km e aveva un fronte a quota 400, particolarmente basso rispetto a tutti gli altri ghiacciai apuani. Questa sua singolarità dipende dal fatto che il margine meridionale è costituito da una ripidissima e lunga parete che riparava, mantenendo in ombra, il ghiacciaio esposto a nord. Ancora oggi, una striscia di neve si mantiene fino all’arrivo dell’estate e sulle carte topografiche la zona viene indicata con il toponimo “Cantoni di neve vecchia”.
Il ghiacciaio di Vagli
E’ certamente il ghiacciaio che ha lasciato le tracce migliori. Copriva Campocatino dove ha prodotto la tipica forma a conca perfettamente rotondeggiante. La massa di ghiaccio localizzata ai piedi del Roccandagia, scese il ripido pendio in direzione di Vagli di Sopra proseguendo per il canale del Gruppo e lungo il fosso Tambura dove si sarebbe unita alla “lingua glaciale“ proveniente dal M. Tambura. I depositi della morena frontale raggiungono il lago di Vagli di Sotto a quota 550, fondendosi con i depositi morenici del ramo principale che discendeva dal M. Fiocca e dal M. Sumbra, percorrendo la valle dell’Arnetola. Il ghiacciaio raggiungeva i 6 km circa di lunghezza e occupava un’area di circa 8 km2. A Campocatino, l’ampia cerchia regolare di massi che delimita l’area concava presso il lato orientale di valle, costituisce certamente, per le Alpi Apuane, l’esempio migliore di morena. La perfetta conservazione dei depositi morenici, dipesa dall’assenza d’interferenza erosiva dovuta ai corsi d’acqua, mostra chiaramente l’alternanza tra lento ritiro e avanzamento del ghiacciaio.
Il ghiacciaio della Foce di Mosceta
La Foce di Mosceta, raccoglieva i ghiacciai che scendevano dal versante orientale del M. Corchia e da quello occidentale della Pania della Croce. A Foce di Mosceta sono ancora oggi osservabili depositi morenici. Dalla sella di Mosceta, una lingua scendeva verso nord fino a quota 700 m s.l.m. ed un’altra più ampia,  verso sud, fino a quota 800 s.l.m..
Il ghiacciaio di Puntato
Fig. 3 - La torbiera di Fociomboli, sullo sfondo il M. Corchia (foto L. Tommasi)

Il regolarissimo circo glaciale posto a nord est del M. Corchia (torbiera di Fociomboli) Fig. 3, presenta in vicinanza, depositi glaciali perfettamente conservati che occupano i versanti del canalone delle Fredde e della Val Terreno in direzione della Turrite Secca, indicando l’antico percorso glaciale.

L’antico ghiacciaio scendeva dal versante nord del Corchia e da quello est del M. Freddone e raggiungeva Isola Santa.  Il ghiacciaio si divise a metà del suo cammino a causa di un rilievo a circa metà del suo percorso.
Attorno a Puntato sono evidenti diversi accumuli morenici di forma concentrica ad indicare stadi successivi del ghiacciaio. Qui sono anche evidenti tracce di arrotondamento dei massi ad opera del ghiaccio che raggiunse un’estensione di 2,3 km. La particolarità di Fociomboli cioè il motivo per cui si è formato la zona umida più importante delle Apuane, sta nel fatto che il ghiacciaio ha scavato le rocce carbonatiche (dolomie), raggiungendo il sottostante basamento paleozoico impermeabile costituito da “scisti porfirici”. La conca colmata nel tempo da sedimenti lacustri e torbosi, costituisce la più grande torbiera delle Alpi Apuane nella quale si conservano emergenze floricole endemiche di estremo interesse fisiogeografico come la Pinguicola, una pianta carnivora.
Il piccolo ghiacciaio dei Paduli
A Pian di Lago, all’inizio del canale delle Fredde, si trovano tracce di un piccolo, ma molto preciso circo glaciale. In questo caso, la “conca”, non è bordata da accumuli morenici. Le prove del passaggio del ghiacciaio sono date dai pochi frammenti e massi erratici calcarei su un substrato di rocce diverse, scistose. Questa vedretta ebbe comunque un’estensione di non oltre un chilometro.
Il ghiacciaio di Campo Cecina
Era il ghiacciaio localizzato più ad occidente tra quelli Apuani, ad ovest di M. Borla. Lingue glaciali si staccavano dall’altipiano ondulato di Campo Cecina e dai monti circostanti in direzione nord e sud, congiungendosi con i ghiacci provenienti dal versante ovest del M. Sagro.
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