“Architettura Himalayana, due libri di Valerio Sestini” di Caterina Bonapace

Annuario 2008

“Firenze un tempo amò l’Asia ” tantochè, nell’Ottocento, la città “vantava una valida scuola orientale che fu, per oltre una generazione, alla testa degli studi orientali italiani” …… così scriveva Silvio Calzolari in un suo articolo pubblicato su ‘La Nazione’ del 28 agosto del 1984. Ma in precedenza, fin dal Trecento, mercanti e viaggiatori fiorentini e toscani si recarono in oriente (in particolare in Cina), lasciandoci preziose testimonianze scritte, seguiti poi nel Settecento da vari studiosi.

Chorten presso il Monastero di Tengpoche nella regione del Khumbu (foto V. Sestini)

Questi avvenimenti consentono di notare che tale antica tradizio-ne, fiorentina e toscana, non si è mai spenta e che in tempi più recenti l’interesse per le civiltà dell’oriente si è mante-nuto vivo in vari studiosi fiorentini. Tra questi il De Filippi, Giotto Dainelli, Fosco Maraini, lo stesso Silvio Calzolari, l’architetto Luigi Zangheri ed altri. Fra questi  anche Valerio Sestini, socio della sezione fiorentina dal 1954, che per oltre trenta anni (1971-2002) si è recato in Nepal, un paese di montagne unico ed affascinante che, purtroppo, ha da tempo subito profonde trasformazioni, per svolgervi ricerche.
Queste spaziarono nelle alte valli himalayane, dall’est all’ovest del paese, a ridosso delle più alte montagne del mondo, dall’Everest al Lhotse, alle cime del Langtang, al Ganesh Himal, all’Annapurna, dove vivono  diversi gruppi etnici in cui prevale la cultura di origine tibetana. Qui Valerio Sestini approfondì soprattutto il rapporto tra architettura, ambiente e tradizioni culturali esplorando villaggi e monasteri, curiosando nelle case e lungo le strade, testimoniando un’epoca in cui ancora “l’uomo bianco” era una novità e destava tanta curiosità. Nel 1975 fece parte del gruppo scientifico della spedizione italiana organizzata dal Club Alpino Italiano al Lhotse con lo scopo di documentare l’architettura del gruppo sherpa nella regione del Khumbu.
Contemporaneamente iniziò a studiare l’architettura tradizionale della valle di Kathmandu, con ricerche sulle svariate e particolari tipologie architettoniche legate al culto delle diverse religioni, soprattutto buddhiste e induiste e alla quotidianità, dove religione e necessità si intrecciano creando una moltitudine di opere interessanti per l’uso dei materiali e le abilità tecniche di chi le ha costruite. I risultati di queste ricerche sono state pubblicate negli anni in alcuni saggi, in numerosi articoli e presentate in diversi convegni. Due sono i volumi di recente pubblicazione che racchiudono un po’ tutto il lavoro svolto.

Il villaggio sherpa di Namche Bazar (foto V. Sestini)

Il primo e più sostanzioso volume, scritto in collaborazione con Enzo Somigli (Architettura Himalayana, architettura tradizionale nella valle di Kathmandu), edito da Polistampa è in duplice lingua: italiano ed inglese, e contiene il lavoro svolto all’interno della valle di Kathmandu nel corso di numerose missioni dal 1971 al 2003. Particolarità e preziosità del volume è costituita dalla vasta documentazione grafica originale delle principali tipologie architettoniche tradizionali realizzate dalla civiltà nepalese: dai templi a più coperture, i più noti e impropriamente detti a pagoda (definiti nella lingua locale dega), ai monasteri, di fede sia buddhista che induista, alle case tradizionali originarie della Valle, provenienti dalla cultura newar, agli stupa, edifici religiosi buddhisti ed altre opere, come quelle legate al culto dell’acqua, tra cui le più note sono quelle lungo i fiumi utilizzate per le cremazioni e le abluzioni, i ghat.

Elementi lignei tipici dell’architettura nella valle di Kathmandu (foto V. Sestini)

Nella prefazione del libro Luigi Zangheri commenta “A parte la ricchezza della docu-mentazione fotografica  offerta dal volume di Sestini e Somigli, risultano preziosi i rilie-vi grafici dei monumen-ti nepalesi che qui ven-gono solo in parte resti-tuiti. La loro accuratez-za si accompagna con l’esemplificazione di numerosi dettagli costruttivi, in maniera da rendere perfetta-mente leggibili anche le parti più minute dell’architettura nepalese. Il volume presenta anche un raro corredo di immagini e illustrazioni inedite derivate dalla collezione Hogdson, in parte commentate dallo studioso Alfred Foucher (1897), fortunosamente individuate dai nostri autori negli archivi del parigino Museo Guimét, e che sono capaci di evocare tutto il fascino di una cultura gravemente compromessa se non scomparsa”. Sul testo del volume Zangheri aggiunge “una lettura esauriente, quanto articolata, dell’architettura nella Valle, affrontata in maniera originale e fuori dagli schemi convenzionali con cui era stata analizzata fino ad ora sviluppando le ricerche con il criterio di riassumere e collegare tra loro in una lettura d’insieme i valori di questa complessa architettura. Lo testimonia l’indice del presente volume, che non solo registra un’impostazione originale, ma che include anche nuovi argomenti come quello dei nuovi stili architettonici anglo-indiani, del rapporto tra l’architettura e l’acqua, e dello spazio urbano”.
Il secondo volume (HIMALAYA. Architettura ed ambiente nelle valli del Nepal, Alinea Editrice, Firenze, 2006) ha un taglio più narrativo e suggestivo, è ricco di immagini a colori e numerosi disegni effettuati sul posto, e documenta l’architettura delle principali vallate himalayane, in particolare quelle di alta quota, racchiudendo in un’opera unica oltre venti anni di spedizioni negli angoli più pittoreschi e sperduti del Nepal.

Chorten ad un passo in alta quota nella regione del Khumbu (foto V. Sestini)

Entrando specificata-mente nell’opera, una prima analisi l’autore la dedica alla  letteratura edita sulle valli da lui stesso percorse indivi-duando i precursori e gli studiosi con le loro testimonianze o studi, questi ultimi effettuati da noti etnologi ed antropologi. Succes-sivamente l’osservazio-ne è diretta alla morfologia e ai caratteri dell’architettura religio-sa  e abitativa. Lo studio originale del libro è dedicato al rapporto tra forme architettoniche ed ambiente che si evidenziano nel percorrere le valli pre-himalayane e quelle dell’Alto Himalaya evidenziando la variabilità dei paesaggi naturali in rapporto alle varie altezze, e quindi al clima, le cui variazioni hanno determinato l’insediamento di varie etnie, che a sua volta hanno contribuito a dare una particolare impronta al paesaggio umanizzato ed in particolare all’architettura. Segue una sintesi delle ricerche effettuate nelle valli percorse nella quale la parte iconografica si avvale non solo di immagini fotografiche di valli, monti, tipi umani e specifiche di architettetture, ma anche di una documentazione grafica di opere significative espresse dalla cultura tibetana: sono queste templi, case, chorten e porte simboliche di villaggi. Opere analizzate fin nei particolari tecnologici che permettono di fare conoscere e tramandare la cultura materiale di una civiltà, oggi in lenta trasformazione per una serie di motivi.

Sculture in pietra della scala di accesso al tempio di Nyatapola a Bakthapur (foto V. Sestini)

In conclusione si può condividere l’opinione espressa da Luigi Zangheri nella sua prefazione: “Questo volume di Valerio Sestini è prezioso quanto stimolante…opera unica nel suo genere non solo per la cultura italiana  ,ma anche per quella di tutti i paesi occidentali”. Queste due opere letterarie costituiscono oggi una testimonianza unica dell’architettura dell’antico regno himalayano, rimasto isolato dal mondo fino al 1951, anno di apertura delle frontiere al mondo occidentale. Ad eccezione di missionari, diplomatici e noti studiosi, tra cui il nostro Giuseppe Tucci, pochi furono gli esperti entrati in contatto con questa cultura e di questi nessun architetto.

Fra le tante opere risalenti agli anni delle grandi missioni occidentali in Nepal e in Himalaya, dal ‘50 agli anni ’90, solo pochissime sono da annoverare fra quelle di carattere prettamente architettonico e da queste non ci fu nessun seguito e solo pochi furono gli approfondimenti. Forse perché ritenuta un’architettura minore, forse perché in quegli anni la tradizione nelle costruzioni non veniva così presa in considerazione come ora, rispetto ad una tendenza universale che andava allora verso l’innovazione tecnologica rappresentata dal cemento, che sembrava fosse il futuro, questo vasto argomento non venne considerato se non come corollario di ricerche rivolte verso la conoscenza della cultura delle diverse etnie presenti in questo ambiente.

Tempio a Shikhara dedicato a Krishna nella Durbar Square di Patan (foto V. Sestini)

Lo studio dell’architettura tradizionale, dei suoi materiali, delle sue tecnologie e delle sue manifestazioni rivede invece oggi un suo sviluppo ed un suo interesse ed è una fortuna che fra quei pochi studiosi ci sia stato chi, come Valerio Sestini, non ha mai smesso di credere in una realtà armoniosa e limpida come quella della tradizione nepalese e che ha avuto la costanza di non smettere mai di documentare e di testimoniare un presente che in molti casi è già andato perduto. Oggi questi due volumi danno finalmente luce a quasi 40 anni di missioni fatte con l’occhio di chi sapeva di essere l’unico spettatore attento ad una realtà che gli si stava sgretolando fra le mani.

Nota della Redazione: Caterina Bonapace, antropologa, collabora da numerosi anni con Valerio Sestini in ricerche in Nepal, con il quale ha effettuato varie pubblicazioni. Nel volume Himalaya, architettura e ambiente nelle valli del Nepal  vi sono alcuni suoi contributi sugli aspetti culturali della civiltà tibetana.

(foto Valerio Sestini)
Condividi questo articolo attraverso i tuoi canali social!

Lascia un commento