“Miti, legende ed arte” di Valerio Sestini

Annuario 2008

Un percorso di fede che unisce i luoghi di culto dell’acqua lungo il corso del fiume Bagmati nella valle di Kathmandu in Nepal.

I fiumi, come le montagne, sono sacri. Leggende mitologiche e realtà, natura ed esseri sovrannaturali si uniscono, si intrecciano per dare vita ad una cultura popolare fascinosa di immagini e simbolismi.

Così molti segni della natura sono divenuti sacri. Possono essere semplici rocce, alberi, cime di montagne, grotte, come anche sorgenti o semplici ruscelli, grandi o piccoli specchi d’acqua ad avere eccitato la fantasia popolare e intravedere, intorno a questi segni, l’impronta o il passaggio di figure leggendarie, o la semplice presenza nell’aria di esseri divinizzati. Questi segni sono sacri da sempre e, come dice il Tucci, “non hanno mai un principio, sono sacri da quando l’uomo li ha scoperti”.

Il complesso di Jalbinavak presso la gola di Chobar lungo il fiume Bagmati (foto V. Sestini)

Sacra è l’intera Valle, fin dalla sua origine. Questa è narrata in una antica leggenda di origine buddhista. La Valle era un antico lago, sorvegliato da una miriade di serpenti, i naga, esseri semidivinizzati. Un giorno venne dal Tibet un saggio, il Bodisatva Bipaski, il quale si fece strada fra i serpenti per raggiungere una piccola isola (la collina di Swayambunath) dall’aspetto simile ad una perla al centro di una conchiglia. Qui seminò dei fiori di loto, dai quali si autogenerò il Buddha primordiale. Ritornò poi il Bodisatva per liberare il Buddha dai serpenti tagliando con la sua spada la roccia che tratteneva le acque a sud della Valle. Con le acque defluirono anche i serpenti ed il luogo, nei pressi di Chobar, divenne sacro. Così ebbe inizio la vita materiale e culturale della Valle.

Sacro è anche  il fiume che attraversa la Valle: la Bagmati. Sulle sponde di questa, per generazioni, pellegrini, asceti e fedeli si sono purificati, sono state riversate ceneri di re e nobili, di semplici ed umili cittadini. Proprio su queste sponde sono nate importanti opere architettoniche a scala urbana legate al culto verso l’acqua: i ghat (1). Le origini di queste opere sono antiche e risalgono, come testimoniano vari documenti, ai primi regnanti della Valle. I ghat, scalee degradanti verso l’acqua dei fiumi, sono conosciuti in tutto il mondo indiano e, in taluni casi, come a Benares, sono divenuti centri di fede e di culto che hanno richiamato e richiamano milioni di fedeli. Nel tempo, proprio a Benares, si sono sviluppate architetture imponenti e maestose, testimonianza di una profonda fede religiosa.

Il complesso sacro di Gokarna Mahadev lungo il corso del fiume Bagmati nella valle di Kathmandu (foto V. Sestini)

A Pashupati, Kathmandu e Shankhamul, i più importanti ed estesi ghat della Valle, non vi sono principeschi palazzi dai numerosi piani, segno della potenza delle caste più elevate, o le ampie e ripide scalee degradanti verso le acque come nel Gange, ma solo opere religiose, una presenza architettonica costituita da ampi spazi sacri, delimitati da sattal, rettangolari, quadrati o poligonali, definiti sata, in cui sorgono templi, tabernacoli, sculture, stele e cappelle votive. Un’architettura che, rispetto a quella indiana, è molto modesta ed ha avuto una propria evoluzione stilistica. A Pashupati, il luogo più sacro della Valle lungo il fiume, è meta di pellegrini provenienti anche dalla vicina India. Il contesto ambientale è caratterizzato da una stretta gola e da una collina coperta di fitta vegetazione, in alcuni casi una vera jungla, popolata da intere famiglie di scimmie; qui si nascondono vere e proprie opere d’arte, edifici religiosi in vari stili, costruiti nel tempo.
Un complesso sacro, quello di Pashupati, di importanza storico-culturale, ma anche artistico-ambientale, dove il tempio principale, un tempio dega con tre coperture, è dedicato a Pashupati, signore dei greggi, una delle tante forme di Shiva. Non a caso, nel 1982, in rapporto alla Convenzione Unesco del 1972, la comunità internazionale ha ritenuto dichiararlo World Heritage Site (2).  Una caratteristica comune nei ghat citati è nella loro omogeneità stilistica dovuta agli interventi ottocenteschi promossi da Jagat Narayan della famiglia Rana, in quel tempo al potere. Vennero infatti realizzate nuove scalee in pietra da taglio intervallate da caratteristiche piattaforme circolari, le bhakhari, e da caratteristici paramenti murari, pressoché paralleli alle scalee, che una volta isolavano lo spazio sacro del ghat dal contesto urbano e agricolo. I paramenti murari ottocenteschi sono caratterizzati da nicchie, dalle forme plastiche dovute ad archi acuti e colonnine di stile tardo mughul, ben differenti da altre di costruzione successive di stile invece neoclassico, realizzati da altri discendenti della famiglia Rana. Ma esistono lungo il corso della Bagmati altri luoghi di culto che, seppur modesti, non sono di minore importanza dal punto di vista architettonico-ambientale: Sundarijal, Khanti Bhairav e Gokarna, prima dei citati ghat cittadini, e Jalbinayak poi presso la gola di Chobar. Non mancano inoltre lungo i ghat immagini scultoree e bassorilievi delle principali divinità dell’acqua: Ganga, Yamuna e Sarasvati alle quali si deve aggiungere Narayan dormiente sulle spire del serpente Ananta.

Immagine scultorea di Narayan dormiente sulle spire del serpente Ananta nel ghat di Patan (foto V. Sestini)

Purtroppo lungo i ghat si deve notare un pro-fondo e lento mutamen-to di tutto l’ambiente, da quello costruito a quello naturale. Infatti vasta è la captazione delle acque lungo tutto il percorso del fiume tale da ridurne la porta-ta tanto che queste non lambiscono più la base delle scalee, rimaste spesso isolate, come anche le pranalis, le lastre in pietra che servivano a fare im-mergere nelle acque i piedi dei defunti. L’uomo non viene più a svolgere bagni rituali o ad attingere acqua.

Tutti i luoghi menzionati sulle sponde del fiume meritano una visita percorrendo a piedi il fiume. La Bagmati nasce a nord sulle pendici del monte Siwapuri (m 2563) tra folti boschi e discende fino ad un piccolo lago artificiale che raccoglie le sue acque per poi incanalarle in un grosso tubo che le porterà a Kathmandu. Le acque libere, che defluiscono dal lago, si incanalano in una stretta e profonda gola tra rocce modellate dal loro scorrimento formando vortici e piccole cascate. In questo primo tratto si trova un primo piccolo luogo in cui si uniscono leggende e realtà. Il nome del luogo, Sundarijal, che significa “bellissima acqua sacra” e una piccola grotta, sono già esplicativi della sacralità del posto.
Una leggenda parla poi di un incontro tra Shiva e Parvati che, discesi entrambi dalle montagne, si sono soffermati nella grotta in cui oggi si trovano elementi di culto e venerazione.  Il luogo, alquanto suggestivo per la vegetazione e la conformazione, è frequentato durante una festa nel corso della quale i fedeli vengono a bagnarsi nelle acque del fiume. Questo continua la propria corsa verso valle fra boscaglie e salti di roccia per raggiungere il villaggio di Sundarijal dove le acque si placano e proseguono il loro viaggio attraverso la Valle, ai margini delle città di Kathmandu e Patan, e infine giungere alla mitica gola di Chobar per poi riversarsi nel nel Gange in India.

Elementi scultorei presso il complesso sacro di Gokarna nella valle di Kathmandu (foto V. Sestini)

Dal villaggio di Sundarijal, ai piedi delle colline, la Valle diviene ampia e si caratterizza per le grandi aree coltivate e boschi collinari che la racchiudono fino ad un altro piccolo complesso sacro nei pressi di Uttarbhaini dove si trovaè situato il tempio di Khanti Bhairav. Questo è situato su di un’ampia terrazza ottagonale dalla quale si domina il fiume con gli ampi appezzamenti coltivati lungo le sue sponde e le colline con la famosa foresta di Gokarna, alla quale sono legate leggende di divinità del pantheon induista. Questa è oggi una riserva naturale con notevoli varietà di animali e specie legnose. L’area sacra si estende sulle due sponde, unite da un piccolo ghat .
Qui la valle tende a stringersi fino a giungere alla gola Gokarna dove nei pressi sorge il tempio dedicato a Mahadev, all’interno di un complesso sacro con scalee degradanti verso il fiume, vari edifici di culto e per l’accoglienza dei fedeli. La stretta gola rocciosa e alcune leggende hanno dato origine al complesso religioso monumentale, il primo di notevole importanza lungo il corso della Bagmati. Il tempio a più coperture (in lingua newar definito dega) risale al 1582  e nel tempo ha subito vari restauri. In vicinanza del luogo sacro, lungo la strada proveniente da Kathmandu presso il primitivo insediamento, numerose sono le tracce nascoste tra la vegetazione di antiche opere scultoree. Dopo la gola la valle si apre nuovamente per divenire ampia dove in tempi recenti è avvenuta un forte e disordinata espansione urbana  le cui numerose case hanno sostituito gli ampi e dolci terrazzamenti coltivati.

Seguendo ancora il corso del fiume si giunge ad una nuova gola rocciosa dopo la quale si trova il complesso di Pashupati. Ma già prima della gola si incontrano altri luoghi legati al culto dell’acqua, dopodichè è impossibile proseguire lungo le sponde, per cui si deve risalire sulle colline di destra o sinistra. Proseguendo sulla collina di sinistra si raggiungono i luoghi già menzionati tra la fitta vegetazione per poi ridiscendere al centro del complesso sacro, le cui origini, secondo varie testimonianze, risalgono alla metà del Trecento.
Dopo Pashupati il corso del fiume entra nei quartieri periferici di Kathmandu fino al complesso di Koteswar, luogo sopraelevato sopra il fiume, ricco di monumenti a cupola, stele e  lapidi con iscrizioni ed altre preesistenze fra cui un bahal semidiroccato. Superato questo luogo la Bagmati riceve le acque dell’Hanumante e poco dopo si sviluppa il ghat di Patan che si estende sulla riva sinistra per oltre seicento metri. Dopo il ponte che collega la città di Kathmandu a quella di Patan, sulla riva destra del fiume troviamo il ghat di Kathmandu, costituito una volta da numerosi ghat separati ed ognuno distinto con un proprio nome, resi unitari dagli interventi ottocenteschi.
Il fiume dopo Kathmandu prosegue verso la mitica gola di Chobar legata alla leggenda sull’origine della Valle. Lungo questo tratto di fiume non vi sono opere di particolare interesse, se non un modesto ghat di scarsa importanza presso l’inizio del sentiero che conduce al villaggio di Chobhar sulla collina di destra.
Appena superata la gola rocciosa si trova l’ultimo luogo di pellegrinaggi, leggende e feste popolari: Jalbinayak. Un antico tempio dega dedicato a Ganesh è l’opera più importate, questa è al centro di un cortile quadrato delimitato da edifici ottocenteschi, mentre verso le acque del fiume scendono le tradizionali scalinate.Qui finisce il lungo percorso di fede che ha toccato vari luoghi sul fiume dove il culto verso l’acqua ha portato alla costruzione piccole e grandi opere, luoghi legati a leggende mitologiche e configurazioni naturali del suolo, quindi ritenuti sacri.

Note

(1)  Il culto verso l’acqua non ha generato solo i ghat ed i complessi ad essi associati, ma anche altre opere presenti nel contesto urbano o vicino ad esso. Infatti vi sono i kunda, antiche vasche d’acqua nei pressi delle città, mentre in vari luoghi all’interno del tessuto urbano vi sono le dhara, caratteristiche fontane per la loro forma geometrica inserite nel suolo per raggiungere la falda acquifera. Qui l’uomo si reca non solo ad attingere acqua per le esigenze quotidiane ma anche a pregare. Altre opere, oramai caduti in disuso, erano i jharu, anch’essi all’interno di città in piazze o vicino ai templi, dall’aspetto di grandi sarcofagi in cui l’acqua veniva immessa dall’esterno.
Se questi luoghi nella Valle sono facilmente raggiungibili, altri invece si trovano ben lontani, in isolate valli himalayane. Uno dei più noti, frequentato da numerosi pellegrini in alcuni periodi dell’anno è Mukthinath, “luogo di salvezza”, a circa 4000 metri. Qui, all’interno di un vasto recinto sacro, convivono due religioni, accomunati in un solo intento. Una buddhista, proveniente dagli altopiani tibetani, l’altra induista, lentamente risalita dal sud. Nel corso dei secoli, dal culto primitivo dell’acqua, sono derivate opere architettoniche che, con la loro forma, testimoniano la presenza delle due religioni: templi di stile dega e lha khang, vicini gli uni agli altri, visitati da pellegrini tibetani ed induisti.
Se qui l’uomo ha voluto testimoniare la propria fede erigendo templi, chorten o comunque lasciare un segno della propria devozione, altrove, come a Gosainkund, lo spirito delle divinità è solo ideale. Alcuni laghi, dall’azzurro profondo, caratterizzano il luogo, si riempiono di pellegrini in particolari giorni dell’anno, giunti da lontano per purificarsi con le gelide acque. Una antica leggenda ci narra la mitologica formazione di questi laghi legata al culto di Shiva.   (2) Convenzione Unesco per la Protezione del Patrimonio Mondiale Culturale e Naturale.

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