“Il patrimonio lapideo dei borghi appenninici” di Marco Bastogi

Annuario 2008

Le caratteristiche geologiche del nostro territorio determinano una diversificazione litologica davvero singolare, con caratteri salienti mai scontati… o ripetitivi così che gli abitati che si accrescono diventando borghi e città, sfruttano i materiali lapidei che offre il territorio circostante ed identificandosi proprio per questa caratteristica intrinseca. Una sorta di sigillo impresso dalla natura sull’operato dell’Uomo.

Sassorosso (da www.fototoscana.it)

La ripartizione geologica agisce anche su brevi spazi, differenziando, almeno sotto questo particolare aspetto, borghi e città vicine. Il rapporto materia – identità urbana, dipende in primo luogo dalla con-venienza nel reperire i materiali nelle zone più vicine al luogo di utilizzo, dalla scelta estetica che spesso amplia l’areale di interesse per l’impiego dei materiali e dalla tradizione che condiziona l’uso nel tempo, differenziandolo in funzione della maestria degli scalpellini locali e delle mutazioni del gusto e della moda.  Non mancano, tuttavia, territori caratterizzati da omoge-neità geologica e litologica tale da imprimere notevoli affinità a gruppi rilevanti di borghi e città. Il nostro Appennino con la preponderante presenza di arenarie, ne è un chiaro esempio.

Rimanendo nel territorio Toscano ad iniziare dalla Provincia di Pistoia, (ma anche parte della provincia di Lucca è coinvolta), fino a raggiungere il territorio di Arezzo, buona parte degli abitati sono realizzati in pietra arenaria. Una pietra che nell’ampia fascia di territorio citata, varia molto le sue qualità tecniche ed estetiche, condizionandone l’utilizzo. Spesso l’arenaria ha un uso relegato a mero materiale da costruzione, ma anche così, determina una seducente cromaticità del paesaggio abitato che tutti conosciamo; in altri casi la stessa pietra permette inaspettate e spettacolari elaborazioni ornamentali architettoniche che abbelliscono monumenti e fabbricati di ogni tipo. Ovviamente in quest’ultimo caso parliamo di “Pietra Serena”, la varietà di arenaria che meglio si presta per la realizzazione di particolari architettonici ed ornamentali, in contrapposizione alla “Pietraforte”, notoriamente più resistente al degrado, ma meno omogenea nelle sue caratteristiche estetiche e quindi più indicata come materiale da costruzione.

La grande disponibilità di Pietra Serena e la possibilità di ricavare dai suoi strati, blocchi anche di grosse dimensioni, unita all’effetto cromatico pensato e introdotto dal grande Brunelleschi (il grigio della pietra in contrasto con il bianco delle facciate), hanno decretato l’ampio uso artistico di questo materiale, dal rinascimento in poi, caratterizzando ed abbellendo le città principali, ma anche i borghi minori. Spesso, nelle aree ove si fa uso massiccio di arenarie, alcuni particolari architettonici, sono realizzati con altri tipi di pietre disponibili in quantità subordinata; è il caso del così detto “marmo verde o di Prato” una roccia di origine vulcanica, antica testimonianza di fondali oceanici oggi scomparsi perché coinvolti nei processi orogenetici che hanno  formato gli Appennini. Si tratta di basalti e serpentiniti, distribuite in varie zone del nostro Appennino ed in particolare nell’alta Garfagnana, presso Prato, tra il passo della Futa e quello della Raticosa e tra Anghiari e Pieve S. Stefano in provincia di Arezzo. L’uso di questa pietra, è limitato a particolari architettonici di piccole dimensioni (ad esempio  piccole colonne), poiché, proprio per la storia geologica che ha contraddistinto questi materiali: repentino raffreddamento delle lave originarie a contatto con le acque oceaniche e grandi traslazioni orogenetiche dalla zona di origine alla zona di affioramento attuale, la fatturazione è sempre molto intensa ed è quindi piuttosto difficile reperire blocchi di dimensioni tali da poterci realizzare manufatti di dimensioni importanti. L’utilizzo più conosciuto per questa bella pietra, è quello che ne è stato fatto per l’architettura romanica toscana nei secoli XI e XII per la costruzione di chiese tra Pisa e Firenze, con la sapiente interposizione di conci di “marmo verde” e di altri di calcari bianchi che determinano una splendida e  tipica bicromia.

Col di Favilla (Alpi Apuane)

Tra i calcari bianchi, spicca il noto “Alberese”, diffuso in varie parti della Toscana tra nord e sud, facente parte di formazioni geologiche diverse ma di analoga genesi, che deve il suo nome al colore biancastro (Alberese o Albanizzo). Questa pietra caratteriz-za interi abitati e zone della Toscana; manufatti signorili di pregio storico, ma anche casolari rurali e modeste chiesette sparse nel paesaggio di molte zone toscane. I muretti a secco fatti di Alberese, si svolgono su molti chilometri di territorio collinare, caratterizzando buona parte del nostro paesaggio agreste.

Le Alpi Apuane rappresentano una notoria zona di reperimento di pietre da costruzione di particolare pregio. Spiccano tra tutte i famosi marmi bianchi che ormai da secoli adornano edifici in tante parti del mondo, ma tantissime sono le varietà e le colorazioni disponibili, dal verde al grigio al rosso ed il  giallo e poi anche i brecciati con piacevolissime mescolanze di colori che hanno stuzzicato la creatività di tanti architetti e costruttori. Buona parte delle pietre utilizzate nelle Apuane, presentano caratteristiche di resistenza al degrado atmosferico molto superiore alle altre pietre toscane. Il motivo è ancora una volta da ricercare nella storia geologica che le ha originate. Nelle Apuane infatti affiorano materiali rocciosi provenienti da grandi profondità della crosta terrestre, sollevati in conseguenza delle intense spinte orogenetiche che hanno innalzato la stessa catena appenninica, ma qui, nelle Apuane, il sollevamento è stato molto più intenso. La forte pressione e le temperature presenti all’interno della crosta terrestre apuana, hanno trasformato le rocce in altre più resistenti (processo metamorfico). I calcari organogeni generati da antiche scogliere si sono così trasformati in candidi marmi e le rocce come i galestri (le argilliti), si sono trasformate in “filladi”, cioè le “lastre” che spesso si usano per costruire i tetti.

Anche le più comuni arenarie, in parte, hanno subito il processo metamorfico assumendo una veste più resistente. Il borgo apuano di Col di Favilla, tra Isola Santa e Mosceta, è un esempio di utilizzo di questa arenaria metamorfica ed osservando i particolari architettonici dei vecchi fabbricati oggi abbandonati, cade l’attenzione sulla loro perfetta conservazione in contrasto con le più comuni ed affini arenarie che dopo alcuni anni di esposizione agli agenti meteorologici mostrano evidenti segni di degrado. Altre zone geologiche di particolare interesse per il nostro territorio appenninico, che hanno fornito materiale lapideo per le costruzioni, sono le così dette “finestre tettoniche mesozoiche”. Si tratta d’aree in cui l’erosione ed il denudamento tettonico, permettono di raggiungere, proprio come si può fare attraversando una finestra, le rocce più profonde che si trovano sotto.

Le rocce più profonde nel nostro Appennino, sono quelle ricoperte dalla grande distesa, spessa diverse centinaia di metri, di arenarie. Sotto di queste sono presenti, e predominano, rocce calcaree che testimoniano un ambiente di deposizione marina che ha variato la sua profondità nel corso di milioni di anni. Il cambiamento della profondità del mare, induce la deposizione di sedimenti con caratteristiche differenti e quindi anche le rocce che ne derivano, hanno composizioni diverse. I tipi di rocce che si avvicendano, hanno rappresentato una fonte di approvvigionamento   essenziale per borghi e città prossimi a queste zone; in particolare le aree di questo tipo in ambito appenninico sono la Garfagnana, la Val di Lima, la zona di Marliana e di Montecatini.

Dopo questa sintetica panoramica sulle possibilità geologiche di approvvigionamento lapideo del nostro Appennino, per i tanti borghi montani oggi purtroppo più o meno abbandonati che impreziosiscono la nostra montagna, voglio parlare in specifico di due di questi insediamenti che hanno mantenuto inalterata la loro struttura medioevale e che sono forse meno noti, ma sicuramente particolari per l’uso della pietra che è stato fatto nel corso dei secoli e per le caratteristiche della pietra stessa.

Il primo di questi localizzato nell’alta Garfagnana, ai piedi della Pania di Corfino, è il borgo di Sassorosso, un agglomerato eccezionalmente ben conservato con i suoi edifici in pietra rossastra, perfettamente integrati con il paesaggio rupestre sul quale il borgo si colloca. Il secondo è Lucchio, in Val di Lima, ultimo bastione medievale dello stato lucchese, oggi al confine tra le Province di Lucca e Pistoia. Questo ultimo è certamente uno dei paesi più spettacolari della Toscana che domina l’importantissima via di comunicazione dell’Abetone e del Brennero di collegamento tra Lucca e costa tirrenica con l’Emilia e la costa adriatica.

SASSOROSSO

Nessun Borgo, meglio di questo, può essere d’esempio nel descriverne le pietre che lo caratterizzano. Il nome stesso deriva dalla pietra rossa (saxo rubeo), molto apprezzata per la sua scarsità e bellezza e che si trova sullo sperone di roccia immediatamente a monte del borgo.

Il rosso ammonitico (da www.fototoscana.it)

Se osserviamo l’antico borgo dalla strada che sale verso il Passo delle Radici, si ha l’impres-sione che le sue case, costruite in pietra rossa, siano parte integrante del colle roccioso sul quale sono state costruite; una architet-tura rurale eccezionale nel panorama edilizio storico della dorsale appenninica Tosco Emi-liana. Un paesaggio piacevole contribuisce alla bellezza dei luoghi: versanti con prati perfettamente mantenuti rasati dal brucare delle pecore, rocce sporgenti dai colori vivaci, profondi precipizi che incombono sulla gola del torrente Fiume di Corfino.

La struttura originaria del nucleo abitato è ancora ben conservata grazie al relativo isolamento goduto dall’abitato ed al fatto che il borgo ha avvertito molto poco gli effetti distruttivi del terremoto che nel 1920 distrusse molti centri della Garfagnana tra cui Villacollemandina. La roccia che caratterizza il borgo, è un calcare conosciuto in Geologia con il nome di “Rosso Ammonitico” e localmente “Rosso Collemandina”. Si tratta di strati marnosi e carbonatici nodulari, originati in un mare profondo, composto da resti fossili di ammoniti, (cefalopodi di mare aperto tipici del Mesozoico ed in particolare del Giurassico inferiore, c.a. 200 m.a. fa).; spesso questi fossili sono ben riconoscibili sulla superficie dello strato. Questo materiale, la cui colorazione deriva dalla presenza di ossidi di ferro, venne usato fin dai tempi antichi, per la costruzione delle case del borgo, facendo assumere a l’intero paese di Sassorosso quel leggero color rosa che lo rende unico nel suo genere.

Il borgo sorge in corrispondenza del versante sud dell’omonimo rilievo calcareo; le case sono distribuite secondo l’impianto urbanistico medioevale, caratterizzato da un asse stradale principale che culmina con la chiesa e da una infinità di vicoli, scalinate e sottopassi tra loro ben intricati. S’individua anche qui, come in molti altri antichi borghi appenninici, un nucleo centrale originario che nel caso specifico era costituito da una torre (oggi ridotta alle sole fondamenta), posta sulla sommità del versante. Tipologie architettoniche ricorrenti sono i così detti “caseggiati a corte” cioè ampie aie recintate e lastricate con il rosso ammonitico, precedute da un ampio portale di ingresso che introduce nell’abitazione rurale.

Sono frequenti, in corrispondenza di queste aie, i portali, spesso in rosso ammonitico ad asse trapezoidale o arco spezzato, oppure anche a tutto sesto con pregevoli chiavi di volta recanti bassorilievi stemmati con millesimi del XVII° – XVIII° secolo. Alcuni fabbricati, sono distinti per un corridoio centrale pavimentato in lastre di rosso ammonitico che porta ad un grande loggiato sorretto da delle colonnine; il corridoio separa uno spazio destinato a focolare domestico, cucina e soggiorno, da i vani di servizio.

Gli edifici residenziali sono addossati ad altri a pianta quadrangolare dotati di tetto a due falde e portale centrale, adibiti a stalla, a fienili o per contenere gli attrezzi agricoli. Spesso, le case dei più agiati erano impreziosite da nicchie murarie, al cui interno, sono contenute icone devozionali in marmo o in ceramica colorata.

Sassorosso (da www.fototoscana.it)

Le prime notizie documentate del borgo risalgono alla “Bolla papale” che Papa Ales-sandro III emanò nel 1168, in cui si nomina la chiesa di Sassorosso, dedicata a S. Michele, appartenente alla Pievania di Pieve Fosciana. Nel 1376, nel-la “Bolla d’Oro” emessa dall’imperatore Carlo IV, si nomina il borgo come comune formato dai paesi di Massa e Sassorosso (Comune Masse et Sassorossi). I Conti di Castelvecchio ed i nobili di S. Michele (di Piazza al Serchio), agli inizi del’300 fortificarono il borgo, costruendo una rocca a base quadrata che come torre aveva l’attuale campanile. Nel XIII secolo il castello di Sassorosso diventò un possedimento lucchese (Lucca comprò dall’Imperatore Federico II l’Investitura Imperiale sull’intera Garfagnana), fu utilizzato per la difesa dei confini dello stato lucchese per più di un secolo insieme alla vicina fortezza di Massa; nel 1401 a conferma della sua importanza strategica, in quell’impervia zona montana, lo troviamo inserito nell’elenco, redatto da Paolo Guinigi, dei più importanti castelli lucchesi. Nel 1430 Sassorosso insieme ad altri comuni della Garfagnana, stanchi del dominio lucchese  si offrirono spontaneamente agli Estensi condividendone le sorti fino all’Unità d’Italia.

LUCCHIO

Il Borgo di Lucchio, sovrastato da alte montagne tra cui la Penna di Lucchio (m. 1176 s.l.m.), che da esso prende il nome, è incassato nella montagna a m 670 s.l.m.. Lo si raggiunge per una ripida stradina asfaltata, ma nell’abitato si può entrare soltanto a piedi. Si tratta certamente di uno dei borghi meno noti, ma più spettacolari della Toscana che ha mantenuto fedelmente l’impianto strutturale urbanistico medioevale.

Lucchio 8da www.panoramio.com)

L’agglomerato urbano è localizzato ai piedi della fortezza ed è costituito da case alte e strette, addossate l’una sull’altra con muri costruiti con la pietra bianca calcarea locale, senza malta, che poggiano direttamente sulla roccia viva. Le case si sono sviluppate secondo un andamento che segue la ripidissima pendenza del terreno, in modo tale che gli edifici sembrano sovrapposti uno sull’altro secondo l’impressione che se ne ha osservando il borgo dalla strada principale di fondovalle.

Le abitazioni hanno ingressi a livello del secondo, terzo ed anche in corrispondenza dell’ultimo piano. Lucchio, nonostante la sua posizione impervia, è ancora abbastanza abitato anche se tante sono le abitazioni abbandonate. La pietra locale che era anche cavata fino a pochi anni fa poco sotto al paese, fa parte della Serie Toscana ed appartiene alla formazione detta “Maiolica”. Si tratta di calcari bianco grigiastri, formati tra Giurassico e Cretaceo (140 m.a. fa). Gli strati di questa formazione geologica, localmente molto verticalizzati, presentano una grana molto fine e contengono lenticelle di selce. Il borgo si sviluppa su una variazione litologica (Calcareniti di M. Mosca) caratterizzata da una colorazione più grigiastra in strati a grana più grossolana che si presta molto meglio della varietà più chiara per la costruzione dei manufatti.

Il toponimo Lucchio, deriva da “Lucus” che significa luogo coperto dai boschi ed è stato, molto probabilmente, fondato dai Romani; da sempre, grazie alla sua posizione geografica, ha rivestito un ruolo strategico per la storia della Val di Lima poiché da qui si poteva controllare i traffici tra Tirreno ed Adriatico, lungo la via dell’Abetone e del Brennero. Le prime notizie documentate sul luogo fortificato risalgono al XIV secolo, in un documento del 1327; successivamente alcuni documenti emessi dal Consiglio Generale della Repubblica di Lucca, sottolineano il ruolo strategico che aveva questa postazione a guardia dei confini verso Pistoia. E’ proprio per il suo ruolo strategico di fortezza di confine che Lucchio fu messa sotto assedio varie volte. Con il controllo dell’area da parte dei Fiorentini, Lucchio perde la sua importanza strategica,

Dalla seconda metà del seicento, il ruolo di struttura militare si era già molto ridotto così che iniziò il declino e l’abbandono delle normali attività di manutenzione. Alla fine del XVII secolo il deterioramento della rocca era così avanzato che fu deciso di realizzare dei contrafforti al fine di evitare il crollo delle mura sulle case sottostanti. Le case di Lucchio sono sovrastate oggi dagli scarsi resti della fortezza, costruita intorno al secolo XI su di una cresta di “maiolica”. Una fortezza a pianta irregolare per potersi adattare alla morfologia della roccia affiorante che, sul lato dello strapiombo verticale che sovrasta il Torrente Lima, non è protetta dalle mura. Le mura sono realizzate in conci di pietra calcarenitica murata a filari secondo la tecnica in uso nel Medioevo.

Alla rocca si giunge percorrendo un sentiero e ciò che resta della fortificazione è posto sulla sommità di uno scosceso costone roccioso. Dai ruderi della fortezza si può ammirare un panorama stupendo: in basso un ampio tratto della valle del torrente Lima, la Penna di Lucchio ed il Memoriante, di fronte il Balzo Nero e gli Appennini. I paesi di Vico Pancellorum, Limano, e di San Marcello Pistoiese e Gavinana.

I borghi di Lucchio e Sassorosso, vogliono essere soltanto due esempi del patrimonio paesaggistico e culturale del nostro Appennino e preappennino; non hanno certamente la pretesa di anteporsi alle altre centinaia di borghi e castelli disseminati sul territorio che con le loro storie e stili architettonici influenzati anche dalle pietre che il luogo circostante poteva offrire per la loro edificazione, riescono ad imprimere una propria personalità al paesaggio. I due borghi di cui ho voluto parlare, hanno la particolarità di essere forse un po’ meno conosciuti perché defilati dalle rotte turistiche più comuni e la pietra con cui sono costruiti, meno comune di altre, gli  integra perfettamente con il paesaggio in cui il borgo si inserisce.

Auspichiamo il recupero di tanti di questi piccoli borghi, presidio di zone montane, che non meritano di essere cancellati dal tempo, magari attraverso un rilancio dell’economia rurale della montagna.

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