“Montemignaio, un borgo fatto di borghi” di Carla Mecocci

Annuario 2008

Il nostro è un borgo fatto di borghi, sparsi qua e là lungo i fianchi della montagna, disposti come un anfiteatro che guarda verso Est … Un torrente lo attraversa, scendendo a valle con le sue acque limpide, come a tagliarlo in due. Le case sono circondate di fiori, l’erba è tagliata con cura; boschi di castagni e di faggi lo incorniciano.
La storia è prigioniera di questi luoghi, è impressa nelle case di pietra e nei selciati delle vecchie mulattiere. Con la luce dell’alba la gente del borgo comincia a vivere al sua giornata. Molti vanno presto nei campi, altri si avviano verso il bosco a “smacchiare” la legna. Tutti svolgono i loro lavori giornalieri, più o meno pesanti. Al mattino il piccolo centro si anima: ci si conosce l’un l’altro e si scambia, per la strada,  con tutti un saluto.

Montemignaio

L’unico forno spande intorno il piacevole, fragrante odore del pane e della schiacciata appena cotti, mentre al bar ci s’incontra a prendere il caffè: si discute di politica con passione e si com-mentano i fatti di cronaca. Il medico, fini-te le visite ai pazienti, si ritrova a giocare a carte con il farmacista. Nelle ore più calde della giornata si riposa a meriggio. Gli occhi spaziano sul profilo dei monti e la mente vaga libera immersa nel silenzio. In estate le piccole piazze si riempiono di gente: molti non si vedono da un anno e restano volentieri a chiacchierare insieme. Nel borgo si vive meglio, appagati dalla bellezza dell’ambiente. Esistono ancora i rapporti umani, che fanno apprezzare le cose semplici della vita e ne tramandano le tradizioni. La domenica, infatti, le massaie continuano a fare i maccheroni conditi al sugo, cucinano carne arrosto ed i funghi porcini. Per Pasqua l’aria si profuma di “ciambellini” dolci e pasta reale.

Quando l’inverno si approssima  e strade e piazzette si svuotano, molte case chiudono le doppie porte di cui sono dotate, come se incombessero chissà quali pericoli. Ma chi ama veramente il borgo non lo lascia, anche se il vento di tramontana spazza le vie e la neve avvolge tutto nel suo silenzioso biancore.
L’inverno, a suo modo, è pur sempre una bella stagione ed anche necessaria all’uomo, perché dà il tempo per letture che aiutino a pensare ed a riflettere. La sera spesso si veglia al fuoco del camino: si raccontano leggende e vecchie storie di paura che fanno rintuzzare i bambini in collo alle nonne. Padellate di “bruciate” spariscono insieme al vino novello.

La Pieve di Montemignaio

Ma riusciranno questi vecchi borghi a con-tinuare a vivere in un’epoca come la nostra, dove i  valori co-siddetti principali sono rappresentati dal dena-ro, dal culto dell’ap-parire e non dell’essere, dal successo da con-seguire ad ogni costo? Purtroppo, errori anche gravi sono stati com-piuti anche in un re-cente passato, tant’è che la popolazione del borgo dai 1680 abitanti nel 1958 si è ridotta oggi a circa 400 residenti.  Ciò è potuto verosimilmente accadere, perché poco si è fatto per alleviare i disagi sempre crescenti della gente di montagna, che, rincorrendo il miraggio di una vita migliore, si è riversata in massa verso le città. Se tutto questo era facilmente prevedibile,  si doveva valutare anche il danno che sarebbe conseguito dall’abbandono di campi e boschi, causa prima del peggioramento generalizzato dell’ambiente montano. E’ appena il caso di ricordare  che la cura dei territori montani e collinari è strettamente  legata alla salute delle città. Sarebbe pertanto urgente fare subito qualcosa per cercare di riparare almeno  in parte agli errori commessi. Dovrebbe essere seriamente promosso uno sviluppo sostenibile, che aiuti la gente a continuare a vivere la montagna, a ridurne i disagi che giornalmente incontra ed invogli chi, nonostante tutto, scelga di vivere in questi luoghi come modo alternativo e qualitativamente migliore.

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