Annuario 2008
”Le montagne che si innalzano dal mare”così vengono definite le Apuanecon le loro cime, alte ed impervie,tanto da meritare la definizione di Alpi. Le si vede in tutta la loro grandiosità dai 20 chilometri della spiaggia Versiliese da Marina di Carrara a Viareggio. Spesso incappucciate da …
(Galleria di foto di Col di Favilla)
una densa coltre di nubi, spesso illuminate dalla radente luce del sole al tramonto, ma altrettanto spesso splendenti nella luce del sole con le luccicanti vene marmifere delle cave in evidenza. Spesso sono considerate dai turisti estivi come sfondo suggestivo ma lontano dalla ben più comoda routine della vita balneare. Eppure basterebbe riservare loro anche una sola giornata per scoprire, oltre alle splendide cime, alle ardite “vie ferrate” e vie di roccia, anche un mondo inaspettato ricco di cultura e di tradizioni nel cuore di quello che oggi è il Parco Naturale delle Alpi Apuane.Una giornata da passare risalendo stradine di antichi borghi camminando nel fresco di faggete secolari.
Il paesaggio attuale delle Apuane risente molto, oltre che degli agenti naturali, della presenza dell’uomo che fin dalla preistoria ha abitato la zona delle Apuane. E’ in questo contesto che si inserisce il Col di Favilla un antico piccolo borgo dislocato anzi meglio dire adagiato su una splendida sella lungo un costone proveniente dal Monte Corchia, a 945 metri s.l.m. Lo incontriamo sul sentiero che da Isola Santa conduce alla Foce di Mosceta e quindi al Rifugio Del Freo della Sezione di Viareggio del CAI.
Dall’800 il Col di Favilla divenne l’alpeggio di Levigliani e quindi abitato stagionalmente e intorno al 1880 venne abitato stabilmente. Il piccolo borgo è ormai completamente abbandonato e disabitato dalla fine degli anni ’60 tantè che con il censimento del 1961 furono contate ben 10 “anime”. L’ambiente montano è di prim’ordine essendo il Col di Favilla delimitato a sud dal Monte Corchia, ad est dal Pizzo delle Saette, a nord dalla Valle della Turrite Secca e ad ovest dal Monte Freddone, a nord-ovest ma più in lontananza dal Monte Sumbra e dal Monte Fiocca. Come spesso accade sulle Alpi Apuane siamo davanti a bellezze naturali di primaria importanza in una posizione di estrema centralità rispetto alle aree versiliese, apuana e garfagnina.
Al Col di Favilla infatti si giunge facilmente attraverso una vasta rete viaria prima e sentieristica poi, sentieri tutti di agevole percorribilità. Gli abitanti del borgo si chiamavano “collettorini” e vivevano principalmente di pastorizia e delle modeste produzioni agricole legate essenzialmente al castagno. Le principali attività che tenevano gli abitanti al Colle di Favilla erano la produzione del carbone da legna, l’estrazione dal castagno del tannino destinato alle concerie di pelle di Santa Croce sull’Arno, la lavorazione dei metalli (presenza di ferriere nel vicino Canale delle Verghe). Vi era anche una modesta attività artigianale legata alla impagliatura delle sedie. Vi sono notizie, ma non scritte, di una filanda chiamata “Filanda del Teverone”; notizie più precise potrebbero essere fornite dall’Archivio di Stato di Lucca o da qualche archivio parrocchiale in zona. Fino a pochi anni fa alcuni ex abitanti si ritrovano al Col di Favilla ogni anno il 26 Luglio, giorno di Sant’Anna, a dimostrazione del proprio attaccamento a queste terre ed alle proprie radici. Nel 1983 un apposito comitato di ex abitanti ha promosso ed effettuato il recupero strutturale della chiesa con l’attigua canonica. Il recupero della canonica è stato finalizzato alla creazione di “punto tappa” per trekking. Una targa di marmo affissa sulla facciata principale della Chiesa riporta la seguente epigrafe: “i superstiti di questa frazione del Col di Favilla sistemati nei vari paesi della Versilia e della Garfagnana hanno voluto riparare la devastazione che mani sacrileghe fecero a questa Chiesa negli anni 1968 – 1970. Ringraziamo l’Amministrazione Comunale di Stazzema e tutti i generosi benefattori che gli hanno permesso questo restauro. I nostri morti e il caro Don Cosimo ultimo sacerdote al servizio di questa Chiesa insieme a S. Anna patrona del paese ci aiutino e ci proteggono. Festa di S. Anna 1983”. Oltre la chiesa con il campanile e le poche case vi è anche il cimitero. A fianco della chiesa un vialetto delimitato da faggi e castagni conduce al piccolissimo cimitero. Piccolo cimitero di montagna con una dozzina di tombe e quattro- cinque cognomi, ma che nonostante l’abbandono appare sempre ben ordinato. Chi sosta qui respira un’atmosfera naturale e di pace al cospetto del maestoso Pizzo delle Saette.
Un’area a vocazione agricola con sistemazione del terreno delle zone circostanti al borgo o nei boschi attigui, a terrazze e gradoni, data la forte pendenza, spesso sorretti da muri di sostegno in pietra, e sempre di superfici modeste. Un poco più ampie le aree agricole verso il Puntato, aree destinate a seminativi ormai abbandonati trasformati poi in pascoli ora ridotte a paleo modesta foraggera con scarso valore nutritivo. Provate ad immaginare la vita che le famiglie svolgevano qui: un lavoro duro di fatica a volte di stenti soprattutto d’inverno, i modesti orti, le poche bestie, ma in un’area meravigliosa tra le più belle delle Apuane.La chiesa con il campanile, le case, il piccolo cimitero, i larghi sentieri che conducevano il bestiame al vicino alpeggio del Puntato attraverso larghi sentieri ben si integrano con l’ambiente, a dimostrazione che le varie costruzioni erano in armonia con l’ambiente perché i contadini, i boscaioli, i carbonai, i pastori, gli artigiani, costruivano le case per se e per le loro famiglie edificandole e modificandole secondo le loro esigenze, tutto questo sfruttando al meglio le poche e modeste risorse disponibili.
E’ significativa e rilevante inoltre la presenza qui di Fosco Maraini che soggiornò al Col di Favilla nel lontano 1928. Al tempo il nostro illustre socio nonché valente alpinista e studioso esploratore delle terre tibetane era adolescente, ma già mostrava un notevole amore per le Alpi Apuane, tantè che Fosco Maraini ha voluto terminare il suo cammino da queste parti dato che è stato sepolto all’Alpe di Sant’Antonio vicino al Piglionico, al cospetto delle Panie.Ecco alcune sue parole tratte dal libro “Farfalle e Ghiacciai”( Editoriale Domus, raccolta di scritti dal 1936 al 2001): “…Lasciato il pastore proseguimmo facilmente verso un paesino più in basso il cui nome, letto sulle carte, ci aveva incantato: Col di Favilla. Colle va bene, ma perché poi di Favilla? Che ci fosse stato qualche fenomeno vulcanico da quelle parti? Oppure il nome ricordava qualche apparizione misteriosa? Scendi e risali, scendi e risali, finalmente scorgemmo, quasi sepolto tra giganteschi castagni, un campanile, poi comparvero dei tetti a lastre di pietra e delle case. Il villaggio sorgeva in un punto di straordinaria bellezza, sulla cresta pianeggiante d’un monte, a quasi mille metri d’altezza, proprio dinanzi ai dirupi spettacolari e selvaggi del Pizzo delle Saette.
Col di Favilla, oggi tristemente abbandonato, era davvero la fine del mondo, non vi si poteva giungere che a piedi, e in capo ad ore di cammino. Lì trovammo accoglienza calda e cordiale presso una vedova del luogo, che affittava una o due stanze agli alpinisti ed ai cacciatori: lire due per notte (se non sbaglio), compresa una ciotola di latte cremoso alla mattina. Della casa ospitale ricordo soprattutto il letto, un trabiccolone di metallo nero, indicibilmente alto e vasto. Inerpicarvisi era come salire sopra un altopiano. Odorava un poco d’antiche muffe, però ci si dormiva da re. La vita materiale a Col di Favilla ruotava intorno al dio castagno: le piante erano secolari e gigantesche, curatissime, amate. Il terreno ai loro piedi era tenuto libero da frasche, sterpi, cespugli d’ogni genere, per poter raccogliere più facilmente i ricci in autunno. Il castagneto aveva gentilezza e respiro di parco. E si mangiavano continuamente i prodotti di questi alberi solenni e generosi: castagne secche ne latte, necci di farina dolce, pattona tagliata col filo, migliacci di specie svariate, tutte saporitissime. …”
L’itinerario principale e maggiormente percorso per il Col di Favilla ha il segnavia “9” e parte da Isola Santa a metri 545 s.l.m., piccola frazione sulla strada della galleria del Cipollaio, strada che collega la Garfagnana con la Versilia. Qui, al posto delle case, venne creato molti anni fà un piccolo laghetto artificiale dai colori incantevoli per la produzione di energia elettrica; le vecchie case vennero ricostruite poco più in alto. L’itinerario “9” parte proprio dalla diga percorrendone la sommità; l’ambiente è dominato dall’aguzza vetta del Monte Freddone. Superata la diga l’itinerario inizia a salire prima dolcemente e poi più aspramente in bosco di castagni. Qui la mulattiera è in alcuni tratti lastricata, a dimostrazione che un tempo, non esistendo ancora la strada del Cipollaio, era via di comunicazione tra Garfagnana e Versilia, transitando per Levigliani. Continuando la salita nel bosco si giunge al col di Favilla. Da qui è possibile ammirare il Pizzo delle Saette, il Monte Freddone, il Monte Sumbra, il bosco del Fatonero sulle pendici del Monte Fiocca. Dal centro di quello che era il paese c’è un bivio: l’itinerario n° 9 prosegue a destra per Mosceta e quindi per il Rifugio Del Freo ( e da qui a Levigliani oppure al Monte Corchia), e l’itinerario n° 11, che porta all’alpeggio del Puntato e di Terrinca prima e al valico di Fociomboli poi.
Lungo le mulattiere ed i sentieri di questa zona possiamo imbatterci con facilità nelle “marginette” piccole costruzioni pietra dove si raccoglievano, un tempo, le fascine di legna, le stie di fieno, i sacchi di castagne per ripararli dall’umidità, si lasciavano gli attrezzi da lavoro, si mettevano i fiori raccolti lì vicino e dove la sera si accendevano lumi per indicare la via. Nelle “marginette”, spesso dotate di immagini religiose, ci si ritrovava non solo per riposare durante il cammino, ma anche per ripararsi dalla pioggia, per parlare, per recitare una preghiera. In questo ambiente mi preme segnalare “il sentiero delle marginette” classificato con difficoltà E, che si percorre in circa 5 ore di cammino con un dislivello in salita di circa 400 m. ed in discesa di 400 m.. L’itinerario inizia a Passo Croce (1.160 m.) al quale si accede da Terrina proseguendo sulla strada della galleria del Cipollato. Da Passo Croce si raggiunge il Passo di Fociomboli (1.260 m.) su
una marmifera che taglia i fianchi occidentali dei Torrioni del Corchia; da qui con il segnavia 11 si scende rapidamente nella faggeta al Padule di Fociomboli, importante zona umida delle Apuane.
Il Padule di Fociomboli custodisce rare piante di particolare valore botanico e conserva, nei depositi di limo e torba del sottosuolo, pollini fossili che documentano le vicende climatiche e fieristiche delle epoche glaciali e postglaciali. Proseguendo si giunge sull’ampio ripiano del Puntato (1.000 m.) con alcune abitazioni ristrutturate e gli antichi terrazzamenti dei pendii a “ciglioni” un tempo coltivati a segale e patate; significativo qui è l’oratorio della Santissima Trinità con campanile restaurato su finanziamento del Parco. Proseguendo il segnavia 11 si raggiunge l’alpeggio del Col di Favilla (945 m.). Risalendo il canale delle Verghe si giunge alla Foce di Mosceta (1.170 m.), spellatura erbosa e muschiosa tra il Monte Corchia e la Pania della Croce, ed al vicino Rifugio Del Freo (1.182 m.). Si prende il sentiero 129 che si stacca alle spalle del Rifugio, acquista inizialmente quota in un bosco di conifere, poi taglia in costa in una fitta faggeta e le pendici nord orientali del Corchia e termina sulla marmifera non molto distante dal valico di Fociomboli.