“Catilianum, Cutigliano” di Roberto Masoni

Annuario 2008

Questa storia comincia molti anni fa. Quando l’Appennino era boscaglia, armoniose vallate, gole primordiali. E’ una storia affascinante, eppure incerta in molte sue componenti …

Una storia che ci offre l’opportunità di andare alla scoperta di parte della nostra eredità storica, alla scoperta di un borgo, quello di Cutigliano, che merita di essere scoperto nelle sue opportune dimensioni. Parte vitale dell’evoluzione storica del nostro Appennino, Cutigliano si presenta come pietra nodale di un patrimonio oggi fin troppo dimenticato, come modello di una cultura che altrimenti rischiamo di perdere. Parlerò di un antichissimo popolo italico, d’eventi legati alla storia di Roma, andremo alla scoperta dell’origine dei Capitani della Montagna … faremo un viaggio nella memoria.

Dalla loggia prospicente il Palazzo Pretorio di Cutigliano

gli Ambroni
Chi vivesse e frequentasse l’alto Appennino, prima di quello che è considerato l’anno zero, è incerto. Una sola certezza, quella della presenza dei Liguri Friniates o Frinantes da cui Frignano, termine a noi già più familiare.
I Friniati (1) erano popolo di pianura, “duri et agrestes”. Uno dei popoli più antichi della penisola, probabilmente addirittura pre-indoeuropei, cioè risalenti all’età del bronzo se non a quella del ferro. Appaiono circa 1.200 anni prima della nascita di Cristo e si ritiene provenissero dall’Adriatico, lì giunti via mare naturalmente. E’ uno dei popoli primitivi più importanti, si stabilirono in Padania, questo è certo, ma non solo in Italia, anche nell’Europa occidentale, fino alla Spagna. Fra i loro simboli predominanti l’ascia e il pugnale, ma anche la svastica, simbolo di culto solare. Ambroni, così chiamavano se stessi, stando ad Erodoto.

Passo di Croce Arcana

Molti si domanderanno che nesso vi sia fra Cutigliano e la storia che sto scrivendo. Lo spiego subito, per fugare ogni dubbio, e lo faccio grazie ad una penna di autorevole storicità, che più volte utilizzerò in questo mio contributo, che è quella del Repetti: “… l’Ap-pennino di Cutigliano, il quale confina mediante il suo dosso con quello del Friniano, fu per qualche tempo occupato dai liguri Friniati, innanzi che il console C. Flaminio, nell’anno di Roma 563, combattendoli, … gli incalzasse colla spada alle reni sull’opposto fianco, cercando essi scampo nel vicino Monte Augino (forse il Cimone) …” Prosegue poi, citando altre fonti, che i Liguri Friniati occupavano a quell’epoca “… i due fianchi dell’Appennino fra Modena e Pistoja, e che essi furono come oggi ristretti alla provincia del Frignano; tosto che tenevano più fermo anco nel fianco meridionale della catena (cis Appenninum), dove esiste il paese di Cutigliano”.

Ecco dunque svelato il collegamento. Ma in che modo un popolo di pianura e di mare, quale era quello dei Friniati, finì al monte? Certo è che subirono molte invasioni, prevalentemente degli Italici, degli Etruschi ed, intorno al 1.000 a.C., anche molte infiltrazioni di genti transalpine, Celti o Galli, con le quali tuttavia sembra avessero trovato un accordo di pacifica convivenza. Molti elementi di lingua celtica vi sono in buona parte del territorio ligure, nel Frignano. Era gente, peraltro, amante della libertà, ma che, purtroppo, non riuscì a conservare i propri territori finendo per essere sempre più spinta verso le zone montane da Etruschi e Galli ed, in ultimo, finendo per cedere, dopo anni e anni di lotte, ai Romani che erano ben interessati alla conquista dei territori occupati dai Liguri. Torniamo un attimo al Repetti nel citare Flaminio. Flaminio come Flaminia, cioè via Flaminia ma, nel nostro caso, Flaminia militare proprio per i fatti fin qui narrati, cioè una linea di comunicazione tracciata dalle legioni romane per fini bellici e quindi nata per sostenere, con adeguati rifornimenti, il conflitto. Una linea di comunicazione tracciata anche per combattere i Liguri, i quali “rimasti senz’armi, riuscirono a fuggire attraverso sentieri impraticabili e rupi scoscesi, dove il nemico non riuscì a inseguirli” al di là dell’Appennino (Tito Livio XXXIX, 2, 3). Ecco allora che emerge una realtà del tutto attendibile ed in linea con quanto sostenuto dal Repetti cioè che i Liguri si stabilirono in quella regione oggi detta del Frignano, prossima al territorio dell’Alta Val di Lima. Teoria, d’altronde, sostenuta anche dal Rauty. E’ pur vero, tuttavia, che i Friniati, tutto lo lascia pensare, abbiano valicato “l’Alpe” per stabilirsi in prossimità di quello che oggi consideriamo il territorio di Cutigliano. Per motivi geografici è quindi non solo ipotizzabile che la via Flaminia militare sorse, come voluto da Flaminio Nepote, nell’area dell’Alto Reno, a cavallo quindi delle attuali province di Modena e Pistoia, per superare l’antico percorso fra Fanano e quindi la Val di Lima.

E’ indubbiamente una storia complessa che meriterebbe ben altri approfondimenti, una storia oltremodo ricca di eventi che vanno ad inserirsi nel nostro racconto, ad esempio, con la discesa di Annibale nel contesto della seconda guerra punica. Con Annibale, dirò evitando di dilungarmi troppo, i Friniati non esitarono a stringere alleanze nel tentativo di liberarsi dai Romani; non solo, a guerra finita, molti Liguri non esitarono a seguire Annibale in Africa, mentre coloro che rimasero finirono per essere ben presto sospinti sempre più verso le regioni montane dell’Appennino, quelle al più estremo limite orientale del loro territorio, nelle cui valli si stabilirono in un’ultima disperata resistenza alle legioni romane fino alla sconfitta e quindi alla deportazione.
Ecco quindi, probabilmente, svelate le origini di Cutigliano. Niente lascia supporre, è vero, che la frequentazione dei Liguri, nella zona, abbia dato origine ad un nucleo abitativo in coincidenza dell’attuale posizione di Cutigliano. E’ tuttavia probabile.

Catilianum
Così com’è probabile che, molto tempo dopo, per la precisione circa 500 anni dopo, l’abitato di Cutigliano possa strettamente aver avuto origine da fatti che hanno un legame con la storia della Repubblica di Roma, più precisamente con gli eventi legati alla congiura di Catilina. Da qui l’ovvia traduzione da Catilianum o Cutilianum. Ho detto “possa”, il condizionale è d’obbligo poiché, nonostante l’impegno degli storici, non è certo. Fra le soluzioni proposte è, tuttavia, plausibile che siano proprio i fatti legati alla morte di Sergio Catilina ad esserne i maggiori indiziati, visione suggestiva che ci offre l’opportunità di approfondire un argomento di valore storico nel quale, di riflesso, trova spazio anche un breve scorcio della storia di Fiesole.

Occorre tuttavia una premessa politica. Per quanto si parli di oltre 60 anni prima della nascita di Cristo, le analogie con i meccanismi elettorali attuali sono impressionanti. Nell’antica Roma, allora come oggi, si stringevano alleanze, si facevano calcoli, si faceva campagna elettorale e, per sostenere quest’ultime, si cercavano generosi finanziatori. Il popolo era chiamato ad esprimere delle preferenze sui candidati, due ad esempio per l’elezione dei Consoli, tanti erano quelli da eleggere. Non mancavano brogli, congiure, patti di convenienza e di desistenza.
Quella di Catilina è una delle figure più complesse della storia politica di Roma; per tre volte cercò di essere eletto console, per tre volte fu battuto. Indubbiamente carismatico, possedeva un’utopistica sete di cambiamento, praticava una politica che oggi sarebbe probabilmente definita “populista”: prometteva l’azzeramento dei debiti (a maggior ragione in una società, come quella di allora, dove era largamente diffusa l’usura, lo strozzinaggio), una politica sociale nei confronti dei ceti meno abbienti, interventi mirati al benessere della plebe. Idee che furono viste dal potere costituito come una minaccia e che causarono l’intervento d’influenti rappresentanti politici. In poche parole, idee che furono causa delle sue sconfitte politiche. Prende spunto da qui la famosa congiura di Catilina, contro coloro che ne erano i responsabili e prende spunto da qui, se vogliamo, anche la storia di Cutigliano.   Andiamo ai fatti. L’8 novembre dell’anno 63 a.c. il Senato si riunisce nel tempio di Giove Statore al Palatino. Catilina ha già stabilito il proprio quartier generale a Fiesole (2) dove ha già raccolto le sue milizie agli ordini di Caio Manlio. C’è attesa nell’aula del Senato romano. Dietro il brusio dei senatori si cela inquietudine, un’aria pesante e nervosa grava sull’aula, l’attesa consuma. Cicerone si alza, scende il silenzio nell’aula. In piedi, al centro dell’emiciclo, guarda Catilina, seduto isolatamente di fronte a lui. Sa Catilina che il suo è un gesto di sfida, il fatto di recarsi in Senato è di per se un gesto terribile e nobile al tempo stesso. Nel silenzio … si alza la voce di Cicerone: “Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? …”.

Roma - Senato della Repubblica - Sala Maccari - Affresco che ritrae Cicerone mentre pronuncia le celebri Catilinarie al cospetto di Catilina, sedutogli davanti (dal sito: www.senato.it)

Fino a che punto approfitterai, Catilina, della nostra pazienza? dice Cicerone … per quanto tempo ancora ci sfuggirà codesta tua folle condotta? Fino a che punto si spingerà la tua sfrenata audacia? (3)

Cicerone ha elementi per denunciare la congiura di Catilina, ma non ha prove. Catilina si difenderà contestando le intenzioni di congiura e proponendo di consegnarsi agli arresti domiciliari. Le ingiurie, le offese gridateli dai Senatori presenti in aula non gli permetteranno di concludere la propria difesa. Con un’ultima, tragica affermazione, così come riferitaci da Sallustio: “estinguerò sotto un cumulo di rovine l’incendio acceso contro di me”, Catilina esce dall’aula e prende la strada di Fiesole per raggiungere i suoi soldati. Qui giunto, riparte con l’intento di raggiungere la Gallia Cisalpina ma, braccato dalle milizie romane guidate da Caio Antonio e Quinto Metello, giunge fino nei pressi di Pistoria (attuale Pistoia) dove si trova costretto alla più difficile delle decisioni: scontrarsi in battaglia o arroccarsi in montagna fino alla fine dell’inverno. Sceglie la prima soluzione, una decisione che fa di lui un personaggio non minore della storia.  Non vi sono certezze del luogo della battaglia. Si sa che era una valle stretta e che l’esercito di Catilina fu stretto fra due legioni consolari. Molti hanno identificato il luogo con la località di Pian di Malarme, proprio sopra Cutigliano, altri, molto più sostenibilmente, con la confluenza fra il fiume Reno ed il torrente Maresca in località Campo di Zoro (Campo Tizzoro), fra Pontepetri e Bardalone, dove peraltro abbiamo notizia di una viabilità già presente nel primo secolo a.C. Fatto è che le milizie romane lo sconfiggeranno e sarà decapitato ancora cosciente, per evitarli un processo ed in ogni caso la pena capitale.

E’ stata una storia lunga, credo ne valesse la pena. Da questi eventi prende corpo l’idea che Catilina o sue milizie, forse anche fuggiaschi dell’ultima battaglia, abbiano dato origine a Cutigliano, definendolo, da qui l’etimologia del nome,

Catilianum o Catilianum
Altre supposizioni, forse anche più stimolanti di quelle fin qui narrate, contemplano che il nome Cutigliano derivi da Cutilia, città presso Rieti distrutta dagli Umbri i cui abitanti, alla ricerca di un luogo ove fermarsi avessero trovato nel luogo ove sorge Cutigliano forti analogie con Cutilia, quindi a loro gradite. Altre teorie indicano in Cutigliano una derivazione di Coctio (Re delle Alpi?), Conctianum così come di Cutilio, di Acutilianum addirittura di Catullianum. C’è insomma molta incertezza. Personalmente, considerati i fatti poco prima narrati, ritengo più probabile l’origine legata agli eventi catiliniani. Tutta l’area risente, d’altronde, dell’influenza romana nell’etimologia dei termini: Papilla poi Popiglio, Petilia poi Piteglio, Selva Litana poi Lizzano ed altri. Al di là di ciò, e quindi del periodo romano, Cutigliano si propone alla storia, con certezza, prima del mille. Il motivo per cui, in tale epoca, Cutigliano si affaccia alle porte della storia, è dovuto al fatto che nelle sue prossimità, fin dall’antico, si sfruttavano varchi appenninici che mettevano in collegamento la Toscana con la Romagna. Fra quelli più frequentati vi era quello dell’Alpe alla Croce. Non vi è memoria che esistesse ai tempi di Catilina, ma lo sappiamo frequentato già dal periodo longobardo. Ne è prova, come dice il Repetti, della costruzione della “… villa dell’Ospitale della Giurisdizione di Sestola sul dorso dell’Appennino Cutiglianese sorta da uno spedale (S. Jacopo di Val di Lamola) che sino alla metà del secolo VIII … fu eretto lungo la strada che dall’Alpe alla Croce guidava a Fanano”.

Perché Cutigliano? Il dominio longobardo e bizantino
Vediamo allora come Cutigliano ci offre l’opportunità di parlare di questo periodo nel quale, per quanto riguarda l’Appennino è presenza di indubbio rilievo. La storia della nostra penisola è scandita da grandi, alterni avvenimenti collegati alle invasioni subite; molti di noi ricorderanno, per averli studiati a scuola, popoli come i Goti, Visigoti, gli Svevi, gli Ostrogoti … quanti nomi nella nostra memoria. Ricorderò solo, per incorniciare il periodo,  che la scontata decadenza dell’Impero Romano dette origine ad una serie di eventi che portarono a quello che viene definito dagli storici moderni come Impero Bizantino piuttosto che Impero Romano d’Oriente. Un impero, comunque lo si definisca, che cercò di conservare una romanità, sebbene declinante, che si riconosceva nella “Nuova Roma” ovvero in Bisanzio, antica città greca, poi definitivamente chiamata Costantinopoli, cioè “città di Costantino”, colui che seppe riunire nella sua persona tutte le prerogative imperiali (4).
Ma cosa c’entra Cutigliano? C’entra, eccome. Sappiamo bene come la catena appenninica sia stata, da sempre, non un ostacolo ma una barriera di comunicazione certamente sì. Dividendo in due l’Italia settentrionale da quella centrale è ovvio che si sia cercato di superarla per garantire comunicazioni, trasferimenti e, soprattutto, rifornimenti, anche di uomini. Questo ruolo, cioè quello di “punto” di riferimento prima, o dopo, aver valicato l’Alpe era, al tempo di cui parlo, Cutigliano, sbocco naturale al termine di un avvallamento che iniziava praticamente in prossimità di Pistoia fino a scontrarsi con la catena appenninica. Ma andiamo per gradi …

Una vecchia carta geografica dell’alto Appennino Pistoiese (da www.comune.piteglio.pt.it)

Intorno alla prima metà del primo secolo, l’Italia subì la conquista di buona parte dei suoi territori da barbari di origine tedesca che qui stabilirono una sorta di regime assoluto che andava dalle persecuzioni religiose all’espropriazione dei beni. Fu Giustiniano, Imperatore d’Oriente, a decidere di liberarla dagli Ostrogoti, dopo un periodo di inarrestabile declino, dando origine a quella che è definita Guerra Gotica. Vinta la guerra, per farla breve, stabilì il predominio bizantino dando a Ravenna il ruolo di capitale. Gli Italiani, dopo anni e anni d’invasioni e delusi dal nuovo “padrone” che oltretutto aveva introdotto nuovi e pesantissimi gabelli, non amarono mai i Bizantini, nonostante si definissero “romani”. Nel 568, Giustiniano era morto da tre anni, fu Alboino, Re dei Longobardi (nome proveniente da “Lang Bart” lunga  barba o forse da “Lang Barte” lunga lancia) a prendere di mira l’Italia. I Longobardi erano popolo d’origine scandinava e di lingua germanica. Stabilitosi in Pannonia (attuale Ungheria) erano sostanzialmente mercenari ariani, al massimo pagani, che non conoscevano nemmeno la scrittura. Erano abili nell’arte della guerra, è vero, ma ignoranti, incolti, digiuni a qualunque cultura. Noto con amarezza, lo dico senza alcuna smania politica, come in Europa vi siano formazioni    che ad essi s’ispirano. Fatto sta (ognuno d’altronde è libero di pensarla come meglio crede) che intorno la fine del VI secolo il dominio militare longobardo si era consolidato e se gli Italiani non amarono i Bizantini, tanto meno amarono i Longobardi. Con la morte di Alboino, ucciso per vendetta dalla regina Rosamunda – come  non ricordare, per averlo studiato tutti noi alle Medie, la fatale frase di Alboino “Bevi Rosamunda, nel teschio di tuo padre” –  prende il via tutta una serie di fasi storiche contraddistinte dalla scesa in campo di molte figure delle quali ricorderò nomi che molti di noi hanno nella loro memoria scolastica: Clefi, Autari, Teodolinda, Agilulfo, Gregorio Magno. Unica consolazione, il fatto che nei primi anni del ‘600 d.C. inizia per i Longobardi la lunga conversione al cattolicesimo, preludio all’integrazione religiosa e politica. Acquisirono usi e costumi italici e dettero perciò inizio alla loro civilizzazione.

Veniamo allora a Cutigliano (5). Verso la fine del VI secolo Pistoia cadde sotto il dominio dei Longobardi e nel 753 Re Astolfo donò i territori corrispondenti all’attuale territorio di Fanano al cognato Anselmo con l’intento di rimettere in uso l’antica rete viaria romana che portava in Val di Lima partendo dalla pianura del Po. L’esistenza di una rete viaria che passando da Cutigliano, valicava il passo dell’Alpe della Croce in prossimità del laghetto chiamato di Acqua Marcia, presso il Colle dell’Acqua Marcia, oggi Passo di Croce Arcana, per poi porsi in comunicazione con Lizzano era infatti conosciuta. E’ proprio per mano di Anselmo, una volta rinunciato a tutti i titoli ed aver vestito l’abito benedettino, che fu eretto un ospizio in prossimità di Fanano sin dall’anno 752. L’ospizio dedicato a San Giacomo in Val di Lamola ed il Monastero del S.S. Salvatore – località “Badiola” che deriva proprio da “abbazia” – hanno contribuito, essendo di supporto ai viaggiatori che valicavano l’Appennino, di ricostruire l’antica viabilità. Ed a proposito di viabilità, credo, a questo punto, valga la pena spendere due parole su Lizzano. Scrive il Repetti: “Trovasi sull’antica strada maestra che per Lizzano varcava l’Appennino di Cutigliano e del Frignano donde dirigevasi verso Modena”. Non v’è dubbio che Cutigliano fosse già, prima del mille, un piccolo nucleo abitativo appartenente alla Giurisdizione di Lizzano. Qui, avendo spazio, dovremmo aprire il discorso sul significato storico dei confini montani. Una linea destinata a separare due realtà può, infatti, essere considerata linea di confine? Linea immaginaria che, per lo più, presenta ostacoli naturali, catene montuose, fiumi, foreste. Se così è Lizzano era, al tempo di cui parliamo, un insediamento urbano che presentava forti elementi positivi per il superamento dell’Appennino e quindi della linea di confine, un punto di partenza o d’arrivo a cavallo di quel crinale che separava, e separa, l’Adriatico dal Tirreno. Ed è proprio a Lizzano che le possibilità di superare l’Appennino si moltiplicavano. Dal già citato Passo della Croce Arcana, peraltro il più frequentato, si poteva, infatti, superare la barriera montuosa anche dal Passo della Calanca, localizzato fra il Monte Cupolino ed il Cornaccio, oggi chiamato dei Tre Termini (6) oppure dallo Strofinatoio, tutti però a quote superiori e quindi soggetti agli eventi atmosferici tanto da risultare di difficile accessibilità in alcuni periodi dell’anno. Varrebbe la pena approfondire la differenza fra Passo della Calanca e della Calanchetta ma non abbiamo qui lo spazio necessario. Dirò soltanto che ambedue sono in prossimità di quello che è definito Lago Scaffaiolo, da “scaffa” cioè “conca”, termine che ne evoca l’origine.

Il significato di una rete viaria
Soffermiamoci allora velocemente sulla rete viaria che, all’epoca di cui stiamo trattando, interessava il territorio di Cutigliano. Ho già accennato come una via di comunicazione, in generale e non necessariamente di valico, servisse soprattutto per garantire trasferimenti, rifornimenti, passaggio di eserciti e, soprattutto, collegamento in caso di guerra, ma non solo. E’ infatti evidente come servisse anche a mercanti, viandanti, pellegrini. Peraltro, tanto più lungo questi percorsi si costruivano luoghi di ristoro tanto più l’importanza dei luoghi ove si dava ospitalità cresceva. Le vie di crinale erano, in particolare ed al contrario di quelle di fondo valle, le cosiddette vie d’acqua, quelle che più erano frequentate per motivi di sicurezza; il fatto di svilupparsi, generalmente, in spazi aperti riduceva sensibilmente il pericolo di subire aggressioni, imboscate, erano quindi meno rischiose. Ho già accennato al fatto che nei dintorni di Cutigliano esistesse una buona rete viaria.
Il percorso più gettonato era sicuramente “La strada cosiddetta Cassiola (n.d.r.: il significato di Cassiola è “piccola Cassia”) [che] proseguiva dalla zona di Bombiana verso Fanano e da qui risaliva la valle del torrente Ospitale; questo corso d’acqua prende nome dal paese omonimo che proprio nel suo nome conserva il ricordo dell’antico ospitale di San Giacomo definito della Val di Lamola … tale ospitale fu il più importante di questa strada modenese e fu posto a tutela dei viandanti che risalivano la valle per valicare il crinale appenninico al passo della Croce Arcana, e scendere poi in Val di Lima …” (Le vie Francigene e Romee di Paola Foschi – 1999)

Chiavelli e Cannetani

Cutigliano - Palazzo Pretorio sede del Municipio

Con l’esaurirsi del primo secolo, Cutigliano denota forte connotazione storica. Si dice che la sua urbanizzazione si limitasse ad una semplice villa e ad una chiesa parrocchiale, ambedue dipendenti dalla giurisdizione civile di Lizzano che, al tempo, confinava, sino ai gioghi montani, con i domini territoriali dell’altra giurisdizione, quella di Pupiglio (oggi Piteglio). Linea di confine fra tali territori era il fiume di Rifreddo posto fra Cutigliano e Boscolungo. Si ritiene, poiché tutto lo lascia pensare, che la separazione di Cutigliano da Lizzano sia avvenuta intorno alla fine del 1200, primi anni del 1300, periodo nel quale Lizzano era amministrato da un proprio governatore indipendente da Pistoia. La libertà dei cutiglianesi richiese un prezzo altissimo; non solo a causa di forze “estranee” che ne tentarono la sottomissione (fra le più feroci battaglie quella contro Castruccio di Antelminelli, capitano di guerra lucchese, le cui mire erano quelle di diventare signore di Pistoia) ma anche a causa di forze “interne” alla comunità cutiglianese. Si inserisce in questo contesto, infatti, la presenza di due importanti fazioni cutiglianesi: quella dei Cannetani e quella dei Chiavelli, ricordati come una grande famiglia e come i più importanti signori di Fabriano. Alcuni documenti, se non sbaglio ritrovati proprio a Cutigliano, pongono l’ipotesi che i Chiavelli fossero originari di Toscana. Caduti in disgrazia, intorno al mille, nei confronti dei Conti Guidi, sembra si trovassero costretti a fuggire ed i documenti ritrovati ci dicono che si stabilirono proprio a Cutigliano creando una fazione antagonista ai Cannetani la cui origine è tuttora sconosciuta. Intorno al 1330, d’accordo le due fazioni, fu costruito un ponte sul torrente Volata, che metteva in comunicazione Cutigliano con Lizzano, e programmata anche la costruzione di una fortezza chiamata Cassioli o Cacioli, più o meno nel luogo ove oggi sorge la stazione di partenza della funivia della Doganaccia.
E’ in questo contesto che le liti fra le due fazioni divennero all’ordine del giorno, numerose le rapine, i delitti. Non potendo più tollerare una situazione di questo tipo, Pistoia inviò a Cutigliano un Potestà che aveva facoltà di ristabilire l’ordine con ogni mezzo, arrestare i colpevoli dei vari reati e convincere la popolazione a più mite vivere. Purtroppo fu un tentativo sfortunato, le lotte fra le due fazioni continuarono e l’insoddisfazione crebbe. Crebbe a tal punto che una contestazione di massa degli abitanti di questi territori, negando ulteriore obbedienza a Pistoia, fece degenerare la situazione. Oppressi dal modo di governare di Pistoia i popoli della montagna si ribellarono, occuparono castelli, territori e dettero vita ad un governo indipendente. Solo da pochi anni Pistoia aveva accettato di diventare presidio fiorentino e questa rivolta popolare la convinse che i Potestà, allora preposti al controllo del territorio, non garantivano l’ordine e la governabilità. Con una delibera di buon senso, Pistoia stabilì allora che gli abitanti della montagna fossero esentati da dazi esosi, le condanne furono annullate e quegli abitanti messi al bando furono reintegrati nella civile società. Fu, in poche parole, stipulato un trattato di pace grazie al quale a Pistoia furono restituite torri e castelli e Cutigliano fu fatto oggetto di particolari concessioni: ai Chiavelli ed ai Cannetani furono restituiti i loro beni e, questi ultimi, furono autorizzati a costruirsi un proprio fortilizio in qualunque luogo purchè, tuttavia, non dominasse la via di Fanano. Nacque così la rocca di Cornia, di cui si parla in altre pagine di questo volume, e la torre di Montestuccioli. I Capitani della Montagna

Si stabiliva, inoltre, nella stessa delibera che, da lì in poi, un solo ministro avrebbe governato il territorio: un ministro che avrebbe preso il nome di Capitano della Montagna o Capitano di Giustizia della montagna. In accordo con Firenze, il Consiglio degli Anziani di Pistoia, stabilì che il Capitano avrebbe dovuto essere un fiorentino di parte guelfa a loro gradito. Tale soluzione garantiva non solo imparzialità, eliminando, di fatto, dispute continue fra i tanti ufficiali minori presenti all’epoca, ma anche una buona amministrazione della giustizia in base a leggi stabilite da Pistoia salvaguardando, al tempo stesso, la potenza di Firenze. Aveva pieni poteri civili e militari e la sua giurisdizione comprendeva tutta la montagna pistoiese; era stipendiato dal popolo (un po’ come avviene oggi) e rendeva conto del suo mandato e del suo operato al termine dell’incarico (non esattamente come avviene oggi). Già intorno al 1370 tale Bardo o Baldo di Guglielmo Altoviti si trasferì a Cutigliano. Pochi anni dopo, nel settembre del 1377, le sette Comunità della montagna: Cutigliano, San Marcello, Lizzano, Popiglio, Piteglio, Mammiano e Gavinana, decisero l’acquisto di un terreno, composto da due case ed un orto, situato nell’attuale Piazza del Comune di Cutigliano, per adibirlo ad uso pretorio e quindi a residenza del Capitano di Montagna. Residenza, tuttavia, a tempo, tant’è che il Capitanato soggiornava per sei mesi a Cutigliano ed i successivi sei a Lizzano, prima, ed a San Marcello, poi.
Quello di Cutigliano, finito di costruire intorno all’anno 1382, è l’unico dei tre Palazzi Pretori rimasti fino ai giorni nostri, di tipica architettura fiorentina è arricchito dai numerosi emblemi dei Capitani, circa 100, che qui soggiornarono. Su tutti il grande stemma mediceo posto sopra il portone d’ingresso come voluto, nella prima metà del 1500, dal Capitano Giovan Battista Lippi che, con tale opera, intendeva dimostrare completa fedeltà a Giovanni dei Medici. E’ qui che si amministrava la giustizia, si trascrivevano gli atti notarili, si risolvevano le controversie; sopra a tutti il simbolo della Repubblica Fiorentina, il Marzocco, oggi posto (quello originale) all’interno della loggia prospiciente il Palazzo Pretorio. Come ben descritto dall’attuale pannello informativo del Comune di Cutigliano, questo era il cuore di Cutigliano: “Nell’insieme la Loggia può essere considerata un’appendice del Palazzo Pubblico … questa costituiva all’interno del tracciato urbanistico di Cutigliano il vero centro della vita pubblica: il Palazzo (sede dell’autorità costituita), la colonna col simbolo della città dominante, la Loggia (generico luogo di riunioni) … ne erano i suoi fondamentali interpreti”. Con la sede del Capitanato l’importanza di Cutigliano crebbe gradualmente fino a diminuire l’importanza che fino allora aveva caratterizzato Lizzano. Proprio negli anni in cui si registra l’edificazione del Palazzo Pretorio furono infatti stabiliti alcuni luoghi di confine, fra i quali  il Monte dell’Uccelliera, per risolvere contrasti sorti fra Cutigliano stesso, Popiglio e Lizzano. Ma non solo confini, anche la definizione dei ruoli parrocchiali furono materia di discussione, basti pensare all’importanza che le chiese ricoprivano, all’epoca, per i vari aspetti di natura anche civile. Le riunioni della comunità, le controversie, le assemblee, tutto aveva luogo nelle chiese oltre al fatto che dall’importanza della chiesa dipendeva anche l’importanza della comunità stessa che ad essa faceva riferimento. Non era escluso che atti che accrescevano l’importanza parrocchiale fossero accompagnati da tributi monetari. Nei primi anni del 1400 la Parrocchia di San Bartolomeo a Cutigliano fu, ad esempio, autorizzata all’uso del fonte battesimale dietro tributo pecuniario alla Pieve di Lizzano e solo nel secolo successivo la stessa parrocchia salì al ruolo di Pieve. E’ qui che nell’inverno del 1524 si riuniranno le fazioni cutiglianesi dei Cancellieri e dei Panciatichi per rinnovare una sorta di “giuramento di concordia” stipulato nell’ottica di una pacifica convivenza.
I Capitani di Montagna terminano la loro opera politica e di amministrazione della giustizia intorno alla fine del 1700. La riforma operata da Leopoldo I fisserà infatti l’insediamento a Palazzo Pretorio di un Gonfaloniere con compiti puramente amministrativi e l’insediamento a San Marcello di un Regio Vicario con compiti di responsabile della giustizia. E’ questo, se vogliamo, un elemento di decadenza per Cutigliano.

Il periodo ducale
Proprio intorno al 1700 si inizia a concepire una via che mettesse in comunicazione Pistoia, quindi il Granducato di Toscana, con il Ducato di Modena. I lavori di costruzione furono avviati contemporaneamente, partendo dalla linea di confine, nel 1767; non era una decisione peregrina visto che iniziare i lavori contemporaneamente significava evitare cambiamenti d’idea e garantiva reciproca fiducia nella realizzazione dell’opera. Finalmente si sarebbe potuto collegare il centro Italia con il nord, con l’Austria, e nonostante le difficoltà, nonostante la rete viaria già esistente, valicare l’Appennino non era cosa facile. Ma qual’era la rete viaria esistente? Di sicuro esisteva un tracciato che, prima dell’apertura del valico dell’Abetone, era considerato una delle principali direttrici fra Pistoia e Modena. Questo tracciato seguiva il lato sinistro del fiume Lima che da Cutigliano raggiungeva il Melo, Rivoreta (ancora oggi frazioni di Cutigliano) e quindi arrivava a Fiumalbo attraverso la Foce delle Verginette, nota come Serra delle Motte situata fra il Monte Maiori ed il Libro Aperto. I lavori della nuova strada iniziarono sopra due “braccia” di neve, vi furono grandi discussioni, sopraluoghi spesso inconciliabili, soluzioni matematiche improponibili. La decisione che prevalse, cioè quella che passava dall’abitato di Pianosinatico per proseguire verso la foce di Boscolungo, fu quella di maggior buon senso: passare la montagna nel modo più semplice, nel luogo più accessibile, a maggior ragione ove era consentita la praticabilità in qualunque stagione a carri e calessi, tralasciando gli interessi delle comunità montane. Una scelta dalla quale, appunto, si videro ignorati Cutigliano e Lizzano che, relegati ad un ruolo secondario, videro un crollo dei traffici di merci, che garantivano una qualche ricchezza per gli abitanti, ed un limite, soprattutto, al passaggio di confine che, con la costruzione della nuova strada sarebbe stato ignorato. Cutigliano non si perse d’animo e dette inizio, fra i primi in Italia, all’attività turistica che, ad oggi, rimane la fonte di maggior guadagno di questo borgo montano. Lizzano non ebbe il tempo di riprendersi, nel 1814 una grande frana inghiottì quasi tutto il paese, cancellando vite e case. La strada Regia Lorenese, altrimenti chiamata strada Ximeniana, o Giardini-Ximenes dal nome dei due progettisti, è forse l’opera più grandiosa del secolo XVIII. In pochi anni la strada è già una realtà che giunge fino a San Marcello; superato il valico dell’Oppio entra nella valle del Limestre dove viene costruito un grande ponte in pietra per il passaggio sul torrente Limestre che collega il lato sinistro con quello opposto dove sorge San Marcello.

Cutigliano - il pozzo del Capitano

In coincidenza con il torrente Sestaione fu terminato intorno al 1781, anno di inaugurazione della strada, il ponte che collega la strada con l’abitato di Cutigliano. Un’opera degna di un grande architetto: due arcate elittiche sostenute da spalle laterali e da un grande pilone centrale la cui base poggiava nel fiume. Fu purtroppo distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale e ricostruito nel 1948, “dov’era, com’era”, sullo studio dello Ximenes. Una lapide ricorda ancora l’ammirazione di Leopoldo I per l’arditezza della costruzione. Insieme all’altro ponte, quello sulla Lima inaugurato pochi anni prima (per intendersi quello che, provenendo da San Marcello, si supera prima del bivio con la statale che scende in Lucchesia) il ponte sul Sestaione occupa nella storia un ruolo di alto valore ingegneristico ed architettonico. Proprio della realizzazione di quello sul Lima ma, ritengo, estendibile anche a quello sul Sestaione, lo stesso Ximenes ebbe a dire:”Il pensare nell’orrido di quelle rupi ad ornati di qualche finezza, e leggiadria, sarebbe stata la stessa cosa, che contrastare con la natura, la quale avrebbe sempre portato il vanto di fare sparire qualunque ornato; onde ho pensato piuttosto di secondarla con la arte, componendo il tutto con bozze rustiche, neglette e quasi informi”. Da qui rileviamo una grande attenzione al tema dell’ambiente e all’impatto con cui, anche all’epoca dello Ximenes, erano valutate le opere da costruire.

All’Abetone, l’antico Passo di Serra Bassa, furono poste due piramidi che segnavano il confine fra Ducato e Granducato ed è lì che vennero chiamati a viverci civili, dando origine all’abitato di Abetone, che divennero gestori delle stazioni del cambio cavalli, gestori delle dogane e gestori dei pochi posti ospitali che la montagna offriva. Uomini, donne, bambini, anziani concentrati, dopo la nascita del passo, solo sulla loro sopravvivenza. Ma tutti “ … prima di ogni altro mestiere, furono spalatori di neve e boscaioli. Tenere in efficienza la strada era il primo tormento che assillava i cantonieri…., tenere in efficienza la strada d’inverno era il problema. Mantenere spalato il passo era lo sforzo vano di certi inverni, poi dalla tarda primavera, quando l’ultima traccia di neve era scomparsa, fino all’autunno, erano impegnati a riparare i danni che la strada aveva subito durante le intemperie. Le abbondanti nevicate, il freddo intenso, spesso avevano la meglio sulle forti braccia degli uomini, che per contro, arrivati allo sfinimento, si difendevano con la tenacia e la costanza, stringendo i denti abbracciandosi alle donne nell’attesa del disgelo. Le donne … giunsero al passo un’attimo dopo gli uomini, con questi hanno diviso le fatiche dei lavori più rudi e mascolini che pure bisognava fare per sopravvivere. Con i piedi e le mani avvolte negli stracci, hanno imbracciato la pala e imbacuccate dentro le pezzuole, hanno affrontato la bufera, hanno spalato fino a notte, spalla spalla col marito, col fratello, col vicino, per rispettare l’impegno preso con lo stradino. I metri di strada da mantenere liberi dalla neve erano combinati a forfait (si direbbe oggi), con lo stradino, sorta di esattore a cui era dato l’incarico di mantenere libera ed efficiente la strada nel periodo della neve. Questi appaltava la spalatura della strada al popolo dei monti, venivano stipulati veri e propri contratti con tanto di penale se non erano rispettati e i montanini a volte azzardavano qualche metro in più delle proprie forze, incrociando le dita per avere in sorte una annata clemente […] Le famiglie crescevano, si costruivano le nuove case, sopratutto nel versante modenese. Sul valico dell’Abetone vennero costruite dagli scalpellini toscani, ma pagate anche dai modenesi, due piramidi fatte in bozze di arenaria per definire materialmente il confine fra i due stati sovrani. Sorsero due dogane, quella Modenese in località Serrabassa proprio accanto alle piramidi, e quella Toscana a poca distanza in località Boscolungo. Accanto alla dogana toscana nacque anche una piccola chiesa che dette origine alla parrocchia di San Leopoldo così chiamata in onore del granduca di Toscana. I primi a transitare la nuova strada furono i pellegrini e i viandanti che attraversavano il passo diretti in Toscana, a Roma e al sud dell’Italia, fra loro gli inglesi a cui piaceva soggiornare alle terme dei Bagni di Lucca, affascinati dalla bellezza delle montagne trovavano il tempo per ritornare all’Abetone e soggiornarvi qualche giorno, giusto il tempo per conquistare le montagne vicine” (da http://it.wikipedia.org/wiki/Abetone). Il ‘900

Con l’ingresso nel ‘900 Cutigliano entra nel periodo dello sfruttamento turistico delle proprie risorse e, grazie alla nascita di importanti fabbriche poste nelle sue vicinanze, entra nell’ottica di una nuova filosofia industriale. Chi non lavora con il turismo, con il commercio, trova occupazione nelle fabbriche di valle, un processo che vede analogie con molte altre zone montane. Medesimo legame di equivalenza valgono una serie di occupazioni legate propriamente alla tradizione montana, cioè l’allevamento del bestiame ma anche, soprattutto, lo sfruttamento delle risorse del bosco e la produzione di carbone. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale questo equilibrio si spezza, si modificano i ritmi di vita, si scopre la paura, la precarietà del vivere quotidiano. Nonostante questa drammatica realtà, l’utilizzazione delle strutture della Società Metallurgica Italiana, poste a Campotizzoro e riconvertite alla produzione bellica dai tedeschi della Todt, continuano ad impiegare molti lavoratori locali. Con l’avanzata delle forze Alleate tutta l’area dell’Appennino Pistoiese viene, praticamente, interessata dalla Linea Gotica. Si formano, qui come in tutta Italia, squadre partigiane ispirate alla resistenza che, molto radicate come nel caso di Cutigliano, prenderanno il nome di formazioni Pippo e Gino Bozzi.  Con il passaggio del fronte tutti i paesi dell’Appennino Pistoiese conoscono la distruzione, bombardamenti alleati a tappeto distruggono quasi completamente Maresca facendo molti morti fra i civili.
Cutigliano in modo particolare. La posizione territoriale che occupa lo pone in una condizione di assoluto interesse strategico e di assoluta pericolosità dal punto di vista delle rappresaglie. Una di queste, feroce, ha luogo a Pianosinatico dove trovano la morte molti civili. Anche Lizzano diviene un avamposto strategico in prossimità dello spartiacque che separa, di fatto, i due schieramenti in guerra. Intorno alla fine di settembre viene liberato San Marcello, i partigiani assumono il controllo della SMI di Campotizzoro. Per limitare l’avanzata degli Alleati i tedeschi, ormai in ritirata, faranno saltare il ponte in località Casotti. Si concludono così anni di sgomento, la vita tornerà a fiorire nei paesi dell’Alto Appennino e, finalmente, quel formidabile requisito consistente nella posizione geografica di queste comunità, l’elemento che paradossalmente è la maggiore risorsa ma anche il maggior limite di questi luoghi, riacquisterà il suo ruolo originario di bellezza naturale e di spensierato divertimento.
Itinerari e cultura cutiglianese

Sette sono le frazioni di Cutigliano: il Melo, la Doganaccia, Pianosinatico, Rivoreta, Pian degli Ontani, Pian di Novello e Casotti di Ponte Sestaione. Accennerò brevemente a Rivoreta, alle pendici del Libro Aperto, nato, come ho già accennato, in quanto lungo l’itinerario che collegava con Fiumalbo attraverso la Foce delle Verginette. Ha sede a Rivoreta il Museo della Gente dell’Appennino Pistoiese, un museo inserito nel progetto dell’Ecomuseo della Montagna Pistoiese che ha sede a Gavinana. Un museo che ripercorre la tradizione di questi luoghi, non tanto sotto forma di oggetti quanto di idee, di modelli; un viaggio attraverso legami simbolici e linguaggi diversi. Parlare degli itinerari presenti a Cutigliano e dintorni è impresa non facile, c’è l’imbarazzo della scelta. Due, su tutti, sono secondo me, i più gratificanti: quello che da Cutigliano conduce al Lago Scaffaiolo e l’altro al Libro Aperto che dal Passo di Croce Arcana sfrutta quasi completamente lo spartiacque e raggiunge tutte le cime e le tappe intermedie prima delle due cime del Libro Aperto: il Monte Rotondo e da qui, scendendo alla selletta omonima (chiamata anche La Spianata) al Monte Belvedere. Lungo il percorso si trovano ancora alcuni cippi in pietra con una lettera scalpellata sopra, si tratta dei cippi di confine fra il Ducato di Modena ed il Granducato di Toscana, contrassegnati rispettivamente con una M e con una T.
Ho concluso questo lungo contributo su Cutigliano. Non ne esaurisco tuttavia gli argomenti, molti, che meriterebbero approfondimenti. Per il momento mi fermo qui .

Note:

(1) Altri popoli degni di nota vivevano a quei tempi nel golfo di Genova: gli Intimilii, gli Ingauni, i Genuates, ma anche, nella regione dell’Appennino Ligure e delle Alpi Occidentali, gli Statielli, i Bagienni, i Taurini e i Salassi. Fra costoro anche un popolo che ha, per noi, maggior familiarità: gli Apuani, più comunemente definiti “Liguri Apuani”
(2) Dovremmo qui discutere più a lungo sulle origini di Firenze. Dirò, brevemente, che niente lascia supporre che Caio Manlio, e le sue truppe, abbiano dato origine, in qualunque modo, alla città di Firenze. Scrive il Villani che Catilina “se ne venne in Toscana, ove Manlio … era raunato con gente nella città antica di Fiesole”. Ciò per chiarire come, tuttavia, Firenze, ovvero Fiorenza, nasca a causa delle disavventure di Catilina. Fiesole era già presente nella storia in quanto etrusca (Fiesole ovvero “Fia Sola”, sola in quanto considerata il primo nucleo urbano europeo) e la sua unica colpa fu, appunto, quella di aver aiutato Catilina e quindi di essere accusata e considerata colpevole dai romani di aver, in qualche  modo, dato ausilio ai congiuranti. Ciò causò un lungo assedio, durato più di otto anni, al termine del quale Cesare, sconfitti i fiesolani, dette il via alla costruzione di una città presso la riva dell’Arno che prese nome, dopo alterne proposte, da Fiorino, nobile romano ucciso proprio dagli abitanti di Fiesole. La costruzione di Firenze è fissata intorno al 59 a.C., cioè solo tre anni circa dopo la morte di Catilina. Altre fonti indicano nel nome di Fiorenza una derivazione dai fiori e dai gigli che crescevano nella piana bagnata dall’Arno ma storici autorevoli lo fanno derivare, appunto, dalla figura di Fiorino.
(3) Trascrivo una mia libera traduzione del seguito del discorso di Cicerone: … “fino a quale punto vorrai spingere la tua audacia? Non ti sgomentano il presidio notturno sul Palatino, le ronde che vigilano in città, la paura della gente, la partecipazione di tutti gli onesti, il riunirsi dove ha sede questo sorvegliato luogo del Senato, lo sgomento nell’espressione dei presenti? Non ti rendi conto che il tuo piano è stato scoperto? Non vedi che è nota a tutti la tua congiura e che è ormai sotto controllo? Pensavi veramente che la ignorassimo, che non sappiamo cosa hai fatto ieri notte, chi convocasti, quali azioni ignorandoci arbitrariamente prendesti?”
(4). Suddiviso originariamente in due parti (quello d’Occidente e quello d’Oriente) l’Impero Romano non fu capace di garantire quella collegialità di intenti che, fino ad allora, aveva contraddistinto quel tipo di concezione romana che si identificava in un’unica realtà allo scopo di assicurare difesa dei confini e giurisdizione delle province. Di fatto i due imperi ebbero vita autonoma ed una storia a sé stante. Deposto Romolo Augustolo, ultimo imperatore d’Occidente, solo l’Impero Romano d’Oriente sopravvisse.
(5) A conferma della dominazione longobarda, esistono ancora oggi molte tracce del loro passaggio, se non altro nei termini. Pozza dei Lombardi, ad esempio, toponimo fra la Croce Arcana e la Doganaccia, è ritenuto una eredità longobarda. Lo stesso Chiasso, come Chiasso all’Alpe, toponimo non lontano dal Lago Scaffaiolo, è ritenuto forse di origine longobarda con il significato di “piccola strada”, nelle città con il significato di “vicolo”. La stessa denominazione “Cà”, cioè casa (vedi Cà Coppi, Cà Lombardi, ecc…) è toponimo importato dal nord Italia dal quale la parziale sonorizzazione di KTP attribuita all’epoca longobarda.
(6) Il valico del Colle dell’Acqua Marcia è compreso tra i Balzoni e la Cima Tauffi. Passò alla storia allorquando, completata la strada ducale della Garfagnana più nota come via Vandelli, fu ipotizzata una nuova strada per la Toscana. La via Regia Lorenese, o via Giardini-Ximenes, fu causa della rinuncia a tale progetto, oltretutto in funzione del nuovo Passo dell’Abetone.

Dal Passo di Croce Arcana verso il Cupolino
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