Tutti sanno che il «logo» ufficiale del parco regionale delle Apuane è un volatile, ma non tutti sanno che si tratta esattamente del gracchio, la specie-simbolo della fauna locale. Fra gli animali interessanti, sono presenti l’aquila reale e il falco pellegrino, ma il gracchio è un po’ eccezionale per le regioni appenniniche. Noi che frequentiamo le Dolomiti siamo abituati a vedere i gracchi che si avvicinano per mangiare qualche briciola del nostro panino, ma in Toscana si trovano solo qui; più a sud in Appennino abruzzese/molisano/marchigiano.
In Apuane abbiamo anche gli ungulati alpini, muflone e capriolo, avvistabili raramente, infatti solo la mattina presto mi è personalmente capitato di vederli – ma molto presto. – Nel regno vegetale, si segnala una specie alpina rara che è la felcetta apuana e pure questa fa parte dello stemma del parco, rappresentata «ai piedi» del gracchio. Non chiedetemi perché l’articolo ha questo titolo, ci è venuto così alla riunione della redazione; ho intenzione di fare una breve relazione sugli uccelli e la dividerò in paragrafi, in modo che – se vi sembrerà soporifero – lo leggerete a puntate.
il parco naturale
Un accenno a questo parco, istituito dalla regione Toscana nel 1985, che si estende su parte delle province di Lucca e di Massa Carrara. A partire dal 1975, associazioni «ambientaliste» come la nostra e il WWF avevano proposto alla regione Toscana, che alla fine ha emesso la legge istitutiva, di proteggere e valorizzare la ricchezza di un ambiente montano singolare in Italia: a pochi chilometri dal mare, abbiamo queste montagne di aspetto quasi dolomitico, alte fino a oltre 1900 metri. Conosciute in tutto il mondo per il marmo bianco, furono abitate fin dalla preistoria; le cave presenti sono circa 300 e, se da un lato danno lavoro e hanno un elevato valore storico-culturale, d’altra parte generano una serie di problemi di alterazione estetica e di deterioramento ambientale.
Negli anni 80-90 le popolazioni locali contestavano il CAI che aveva lanciato la proposta di istituzione del parco regionale, e anche il WWF, in nome di una apparente contrapposizione fra le esigenze lavorative dei cavatori e l’ambiente; uno degli slogan era: «CAVE = PANE; CAI = FAME».
In seguito, è diventato chiaro che l’istituzione del parco non toglieva lavoro, ma poteva essere un’opportunità di incrementare un turismo «intelligente», formato da alpinisti, camminatori e turisti rispettosi dell’ambiente naturale e culturale, e che questo avrebbe potuto portare addirittura benefici economici. Anche lo sfruttamento dell’ambiente apuano da parte delle cave non dovrebbe essere impedito per sempre, secondo me, ma disciplinato con una pianificazione di ampio respiro; ma su quest’argomento tante cose si potrebbero dire e c’è il rischio (anzi la certezza) di cacciarsi in un ginepraio e per questo non mi voglio soffermare più di tanto.
il gracchio
Il «gracchio alpino» è un uccello molto comune, che fa parte della famiglia dei corvidi, anche se a prima vista somiglia più a un grosso merlo; in realtà è una specie di piccola cornacchia, è nero come un corvo, con zampe rosse e becco giallo; la specie «gracchio corallino» col becco rosso, è sporadica ed è quella che costituisce il simbolo del parco. Nella regione apuana il gracchio è la specie più caratteristica, ma vivono qui ovviamente anche tanti altri uccelli, passeracei, picchi, falconiformi: abbiamo per esempio il picchio muraiolo, molto bello con piumaggio variopinto, che pure fa il nido nelle crepe della roccia. Anche questo picchio è un uccello comune, non voglio riferire di specie rare. Evito di fare un’ulteriore descrizione del gracchio, perché se ne trovano su Internet a decine, tutte uguali fra loro. Non vi voglio annoiare e mi limito alle cose essenziali: vive in crepe delle pareti rocciose dove fa il nido, in inverno scende nelle vallate e nei boschi. Si nutre di bacche, di lumache, d’insetti, la sua voce è un trillo acuto, come un fischio. Una sua prerogativa, che tutti avrete notato frequentando le montagne, è che quando tira vento ha un tipo di volo spettacolare, cavalca le folate e veleggia con acrobazie originali.
moderne tecnologie
L’Ente Parco ha messo in funzione una videocamera fissa, che inquadra il nido di una coppia di gracchi e che può essere osservata «in tempo reale» sul sito web del parco. Il progetto è nato con il finanziamento della regione, ha avuto una fase sperimentale e, a partire dal 26 aprile 2010, ha permesso a chiunque lo volesse di tenere sotto controllo, con un’immagine ogni 5 minuti, le varie fasi della riproduzione di questa specie. Sono stati i volontari del Soccorso Alpino di Querceta (e quindi soci CAI) ad arrampicarsi per installare la video-camera in un anfratto di una cava di marmo.
Il 16 giugno, i giovani gracchi si sono involati e il nido è rimasto vuoto; dopo questa data, la videocamera trasmette delle immagini in cui non succede niente; confidiamo di poter vedere nuovamente questo spettacolo della natura nella primavera del 2011.
altri uccelli di passaggio
La regione apuana è un punto di passaggio molto importante per gli uccelli migratori, in particolare per i rapaci che passano l’estate nella penisola italiana e si spostano in autunno. La migrazione dei rapaci in Italia è ancora oggetto di studi che devono essere approfonditi e soprattutto il «biancone» è stato studiato per anni da appositi «campi di studio» della migrazione, sia primaverile che autunnale, dei rapaci nei pressi delle Alpi Apuane: studiosi, esperti e volontari si piazzano per 15-20 giorni alle pendici del monte Lieto, sopra Pietrasanta, e stanno col binocolo a guardare il cielo. Questi appassionati stanno «di vedetta» in una stagione che spesso è ancora molto fredda, a veder passare mediamente 9 rapaci l’ora.
Per fare un esempio, nell’ultimo di questi campi di studio – marzo 2010 – sono stati osservati quasi 1.500 rapaci migratori, con un massimo in un giorno solo di oltre 400; la maggioranza dei quali, fra 80 e 90 percento, era costituita da bianconi (nome scientifico Circaetus gallicus); si tratta del nuovo record, dato che ogni anno si è verificato un aumento rispetto al precedente. In altre località italiane, il passaggio di rapaci (ma non di bianconi) è molto più consistente; sullo stretto di Messina ne contano oltre 40.000, alle pendici del monte Conero oltre 10.000. Si calcola che, in marzo, attraversino il Mediterraneo quattro milioni di cuculi e sedici milioni di rondini: in totale, secondo la LIPU, si tratta di oltre quaranta milioni di uccelli!
Già dai primi studi, effettuati in Toscana dal dr. Premuda negli anni ‘90, fu evidenziata l’importanza delle Apuane come punto di transito per i rapaci; ma fu osservata una cosa strana, cioè che gli uccelli andavano verso nord in autunno, con una rotta contraria rispetto a quella logicamente seguita da tutti gli uccelli che se ne vanno dall’Italia. Fu formulata l’ipotesi, poi confermata da successive osservazioni, che i bianconi nidificanti nell’Italia centrale risalissero la penisola volando presso le coste del Tirreno e successivamente del Golfo del Leone, probabilmente per raggiungere lo stretto di Gibilterra e attraversare il mare da lì. Per qualche oscura ragione che non conosco, gli ornitologi la chiamano migrazione «a circuito» inversa. Pure in primavera, la direzione di passaggio è al contrario, da nord-ovest a sud-est.
Gli altri rapaci migratori osservati costituiscono fra il dieci e il 20 per cento del totale; la seconda specie osservata è in genere l’aquila minore (nome scientifico Hieraaetus pennatus), seguono falco pecchiaiolo, lodolaio, falco di palude, gheppio, sparviero, poiana, eccetera; ultimo, con un unico esemplare, il falco pellegrino.
il biancone
Il biancone, detto anche aquila dei serpenti, è poco conosciuto, eppure è un bel rapace, che ha mediamente un metro e ottanta di apertura alare, inoltre, come dice il nome, ha questo piumaggio chiaro inferiormente; ma è discreto, vive nelle zone boscose meno frequentate e prova a passare inosservato, anzi ci riesce proprio. Dopo aver trascorso la stagione invernale nell’Africa subtropicale, cioè nelle steppe a sud del Sahara, si sposta da noi, arrivando in marzo e sistemandosi principalmente in tre aree: le Alpi occidentali, l’Appennino Ligure e la Maremma, e anche in altre zone più meridionali, tipo zone collinari della costa adriatica e ionica. È una specie a basso rischio di estinzione e in Italia si stima che nidifichino fra le 380 e le 410 coppie. I bianconi che transitano sulle Apuane sono, presumibilmente, quelli delle popolazioni maremmane.
l’oasi della LIPU
A Campocatino, la LIPU ha allestito un’area protetta, in cui vivono il gracchio alpino e il picchio muraiolo, esattamente nella parete nord-ovest della Roccandagia, insieme a diversi rapaci: la poiana, lo sparviero, il gufo, e così via. Nelle praterie più in basso abbiamo molte altre specie di uccelli e, in primavera, tutti si danno da fare in senso riproduttivo e la vita nell’oasi è uno spettacolo di colori e un concerto di canti. Ogni tanto, può passare di qui, in cerca di possibili prede, l’aquila reale, che nidifica stabilmente in un’altra zona delle Apuane.
L’oasi LIPU di Campocatino ha un centro visitatori, con materiale informativo; da qui parte un «sentiero natura» che passa dai luoghi più significativi. Il periodo più adatto per le vedere l’area protetta è il mese di aprile, però è aperta fino a ottobre e si può anche prenotare una visita guidata.
il canto
Se in passato era ambizione dell’umanità conoscere la lingua degli uccelli, al giorno d’oggi gli scienziati cercano di capire perché nelle giornate di primavera si sentono gli uccelli cantare di prima mattina, cosa che d’inverno non si verifica. La risposta è nell’allungamento delle giornate, sembra ovvio e scontato. A questo punto, qualcuno potrebbe farmi notare che alcuni uccelli, per esempio i pettirossi, cantano anche in inverno, e questo è vero. Ma il loro scopo è un altro, sono uccelli stanziali e cantano per la difesa del territorio e il canto invernale è leggermente diverso da quello del corteggiamento; e comunque sono un’eccezione alla regola. Nel 2008, un gruppo di ricercatori giapponesi e un professore scozzese, per studiare il canto delle quaglie, hanno ricostruito in laboratorio un meccanismo fatto di neuroni, geni e ormoni che viene attivato dall’arrivo della primavera. Takashi Yoshimura e i suoi collaboratori dell’Università di Nagoya e Peter Sharp dell’istituto Roslin di Edinburgo, però, non sono ornitologi ma neurologi ed endocrinologi e volevano scoprire la «centralina» delle stagioni, in grado di cogliere la variazione della durata del giorno. Le giornate che si allungano vengono registrate dal cervello delle quaglie e mettono in azione una serie di geni all’interno dei neuroni; i geni così attivati producono un ormone della crescita, che porta a un ingrossamento dei testicolo degli uccelli maschi; la volontà di riproduzione si traduce nel canto per corteggiare le femmine. Tutto questo nel mese di marzo, in modo che nei mesi da aprile a maggio ci sia la nascita e lo svezzamento dei piccoli e a giugno il cosiddetto «involo».
Ecco spiegato, in modo scientifico e sicuramente … per niente romantico, perché le giornate di primavera iniziano con il canto degli uccelli. Anche il cervello dell’uomo ha un gruppo di neuroni sensibili alla durata della luce e questo meccanismo potrebbe spiegare alcuni nostri comportamenti. Un ritmo regolato con tanta precisione, però, si scontra in questi anni con i cambiamenti climatici: ogni singolo giorno di primavera, la progressione delle ore di luce è la stessa degli anni precedenti, ma la temperatura subisce delle variazioni anche notevoli. Mi spiego meglio con degli esempi: si sono avuti casi di rondini arrivate in Europa quando faceva ancora freddo, di orsi usciti dal letargo prima che il terreno fosse sgombro dalla neve, di gelate che avevano colpito peschi e mandorli in fiore. L’inverno del 2008 è stato fra i più caldi della storia, invece quello del 2009 ha fatto registrare una quantità di precipitazioni elevatissima. Persino gli appassionati ornitologi, citati prima, si sono ritrovati a osservare i rapaci sul monte Lieto con la neve, nel mese di marzo dell’ultimo anno. In conclusione, negli ultimi anni, per gli uccelli la stagione riproduttiva è stata troppo anticipata rispetto alle temperature.
La prossima tappa dei ricercatori nippo – scozzesi sarà scoprire se questo meccanismo funziona così anche nelle altre specie di uccelli, per esempio merli e cinciallegre, oltre che nelle quaglie.
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