“Il Gruppo Speleologico Fiorentino compie 81 anni” di Michele Cuccurullo

Annuario 2008

… non potevamo mancare alla celebrazione dei 140 anni di vita della Sezione … della quale siamo costola, talvolta scomoda, ma indubbiamente orgogliosa del contributo dato alla sua crescita …
Scrivere in poche righe la storia degli ultimi 40 anni del Gruppo Speleologico Fiorentino non è impresa facile, lo abbiamo fatto in occasione dei nostri “compleanni”, il settantesimo ed ottantesimo, e come già facemmo nel centenario della fondazione, oggi non potevamo mancare alla celebrazione dei 140 anni di vita della sezione del CAI di Firenze, della quale siamo costola, talvolta scomoda, ma indubbiamente orgogliosa del contributo dato alla sua crescita. 

1964 - il primo Corso di Speleologia del GSF

La nostra storia è legata indissolubilmente all’esplorazione ipogea, sin da quando è stato fondato il Gruppo da un manipolo di soci della sezione fiorentina del CAI che, nel lontano 1927, dettero vita al sodalizio. Esplorazione vuol dire ricerca dell’ignoto, in un’ ambito poi che in molti risveglia paure ancestrali, studio, ricerca, documentazione, divulgazione, preparazione mentale e fisica, ostinazione, concentrazione a tratti maniacale per arrivar a capo di un lavoro iniziato. Tutto ciò  negli ultimi quarant’anni, è stato esaltato alla massima potenza, portando risultati incredibili, ma anche inevitabili cocenti delusioni.
Da quando esiste la speleologia l’abisso Antro del Corchia è stato al centro dell’attenzione internazionale, quindi non solo nostra, ma di una moltitudine di Gruppi provenienti da ogni luogo; alla fine degli anni sessanta le esplorazioni del GSF acquistarono nuovo vigore, con il nuovo e attento rilevamento del fondo a quota –668mt e grazie alla scoperta a –320 di quelle che furono chiamate “gallerie degli Inglesi” in omaggio agli speleologi d’oltremanica che le avevano percorse la prima volta. Da qui, grazie anche ad un minuzioso rilievo, furono scoperti, da un lato la “Galleria franosa”, oltre la quale si accede al “Salone Piero Saragato” e a quello che diventò il secondo ingresso  chiamato “Buca del Serpente”, disostruito dall’esterno nel 1971; in direzione opposta si percorse la “Galleria Firenze”, che da accesso al “Ramo del Fiume” dedicato a “Mario Vianello” che partendo dal nodo cascata – lago nero termina con il sifone del “Lago Paola”; nel 1979 ancora ai  “Rami dei Fiorentini”, grazie all’esplorazione dei quali si innescò un nuovo modo di fare speleologia in tutto l’ambiente.

Abisso Saragato

L’epopea merita un approfon-dimento. Accadde infatti che speleologi torinesi assieme ad altri toscani ed emiliani, intorno al marzo 1976, cominciarono a lavorare, arrivando a circa –400, alla “Buca del Cacciatore”, una grotticella molto promettente già conosciuta dal GSF fin dai tempi passati e posizionata sulla sommità del monte Corchia nella quale iniziammo, nel novembre dell’anno precedente, una lunga disostruzione interrotta da un inverno particolarmente nevoso. Si scatenò un putiferio, specialmente quando oltre alla “piratata” i torinesi cambiarono anche il nome alla grotta, nel frattempo “abisso”, intitolandola a Claude Fighierà, fortissimo speleologo francese, scomparso in quel periodo. Fu una leva enorme per far compiere il fatidico passaggio da progressione su scale a quella su corda (i torinesi avevano appreso tali tecniche dai francesi qualche anno prima), quindi, dopo aver pubblicato  per primi un dettagliato rilievo sulla “Buca del Cacciatore”, grazie alla conoscenza dei problemi irrisolti del complesso Antro del Corchia (cascata al lago nero) e di una colorazione mirata, ma ormai scontata, che ne confermava il collegamento con il sottostante sistema dell’Antro del Corchia, nel novembre del 1979, cominciò una “gara” tra i torinesi che scendevano e noi che risalivamo affinando sempre di più tecniche “alpinistiche” in ambiente ipogeo, per  congiungere attraverso i nuovi rami, battezzati da subito “Rami dei Fiorentini”, i due sistemi. La competizione fu vinta dai torinesi, che nel 1983 effettuarono la giunzione, trovando una borsina d’armo marcata GSF, ma le risalite con tecniche di arrampicata diverse applicate in grotta, per totali 675m e 10km di sviluppo intraprese da noi, costituirono un’esplorazione complessa, forse mai effettuata nel mondo a quell’epoca. “Quell’epica lotta in risalita, dagli stolti chiamata perdente, diede più frutti d’una vittoria litigata in discesa…Accadde infatti che questo modo d’andare in grotta arrampicando diventò esemplare nella capitale toscana e convinse notevoli personaggi che le grotte in realtà non scendono soltanto come crede chi si affida alla monotona forza di gravità, ma penetrano nelle montagne in ogni direzione”  questo scriverà Andrea Gobetti, piemontese, su Alp 27, maggio-giugno 2005.
Come detto si diede inizio ad un modo diverso di vedere le grotte, non solo verso il basso come naturale, ma anche verso l’alto. Fu la prima rivoluzione nella mentalità di tutti gli speleologi. La giunzione però venne vissuta come uno smacco all’interno del Gruppo, un vero e proprio choc e ci volle qualche tempo per metabolizzare l’accaduto. Si rese necessario un ricambio generazionale, compiuto il quale nuovi adepti, voraci di nuove scoperte, fecero proprie le tecniche  di risalita con tale disarmante disinvoltura da provocare una seconda rivoluzione. In pochi anni, dal 1989 al 1994, vennero esplorati ben tre abissi che raggiungevano la fatidica profondità di -1000 metri, Olivifer sul monte Grondilice, Roversi e Saragato sul versante nord del monte Tambura, in Carcaraia. Mettendo in pratica quanto appreso nei “Rami dei Fiorentini” in sole quattro punte si arrivò  a -1215 nell’abisso Olivifer, trovato nel 1988, che divenne la grotta più profonda d’Italia. Fu solo un punto di partenza, perché non bastava aver raggiunto il fondo seguendo l’acqua, si cominciò a traversare pozzi per arrivare a finestre che sembravano irraggiungibili, seguendo questa volta l’aria che correva tracciando percorsi intuibili solo a chi, come i nostri, esploravano col naso in su. Si delineava l’idea di grotta in tre dimensioni, a diciassette ore dall’ingresso vennero risaliti altri pozzi fino all’individuazione di quello che sarebbe diventato l’ingresso basso di Olivifer. Ci risiamo. Perché non mettere in pratica quanto svolto qui in altri abissi? Detto fatto, in Carcaraia c’è l’abisso Saragato, esplorato dal nostro Gruppo nel 1967 e caratterizzato dall’enorme pozzo “Firenze” profondo 210 metri, sul quale venne approntato un traverso di 25 metri per raggiungere una finestra che occhieggiava da un terrazzo. Nuovamente si raggiunse il livello di base a quota -1125 in tempi brevissimi, le punte erano frenate soltanto dai sifoni o dalla fine intempestiva del materiale. Contemporaneamente venne riarmato l’abisso Roversi, stesso furore, stesso risultato, divenne rapidamente la nuova grotta più profonda d’Italia, toccando i -1250 metri dall’ingresso. Ma la storia si fa spesso burle dei suoi protagonisti, dando e togliendo con sottile sarcasmo. Va detto infatti che una delle caratteristiche della “Banda del Buco”, che aveva esplorato in lungo e largo, era quella di affiancarsi ad alcuni personaggi, fortemente dotati e motivati, provenienti da tutta Europa: francesi, veronesi, triestini, livornesi, bresciani; proprio questi ultimi, avevano cominciato l’esplorazione della “Buca dell’aria ghiaccia”, che sembrava potesse confluire in uno dei rami dell’abisso Saragato allora in esplorazione. La beffa avvenne nel 1998: nuova giunzione subita, nuova delusione da metabolizzare.
In realtà quasi dovremmo ringraziarli i bresciani: venne data una tale scossa al Gruppo, che si ricominciò da capo, ridando un vigore altrimenti inaspettato alle esplorazioni. Oltre al Saragato, dove continuarono campi interni per raggiungere zone remotissime dall’ingresso nel 2000 venne riarmato l’abisso Mani Pulite, sempre in Carcaraia, trovato dai lucchesi pochi anni prima, le corde cominciarono a scendere nei pozzi e a traversarli, fino alla fatidica finestra che condurrà, anche questa volta, a quota -1050 e, dato attuale, a 12 chilometri di sviluppo spaziale; l’ennesima applicazione delle tre dimensioni al mondo ipogeo. Troviamo negli ultimi anni il tempo per riarmare l’abisso Roversi per seguire il dolce canto dell’aria che ci porterà a risalire da -450 per 550 metri, portando la quota della grotta più profonda d’Italia a -1350. I lucchesi ci portano fortuna: poco sopra l’ingresso di Mani Pulite, c’è l’abisso Perestrojka da loro esplorato e fermo a -160,  l’aria è quella giusta, dopo aver facilmente forzato la strettoia che sbarrava la strada nuovi fondi oltre i meno mille di profondità, nuove gallerie, nuovo buio che attende di essere illuminato…
Questo è quello che, a grandi linee, è successo in campo esplorativo al Gruppo Speleologico Fiorentino negli ultimi quarant’anni, evidentemente è il frutto di una più ampia visione della speleologia che ci ha contraddistinto. Dal 1969 ben 46 corsi d’introduzione alla speleologia di primo livello, si sono alternati a momenti d’approfondimento tecnici e scientifici. Innumerevoli soci del Gruppo hanno fatto parte, e tuttora ne sono parte integrante, delle istituzioni che tutelano e rappresentano la speleologia sul territorio, ricoprendo tutt’oggi le più alte cariche del CNSAS, della Società Speleologica Italiana, della Federazione Speleologica Toscana. Ricordiamo il nostro contributo indispensabile, con un oscuro lavoro, in favore della legge regionale sulla speleologia del 1980, oppure mettendosi in prima linea nella lotta per la tutela ambientale ovunque ve ne fosse necessità. Abbiamo percorso l’Italia in lungo e largo, dal Trentino alla Sicilia, dal Carso triestino al Marguareis in Piemonte; siamo scesi nelle cavità speleoglaciali della Svizzera della Groenlandia e della Patagonia, in quelle tropicali del Chiapas in Messico, in Filippine, in Honduras, in quelle continentali della Francia, Spagna e Polonia, riportando a casa innumerevoli risultati esplorativi e scientifici.
Non posso concludere non menzionando che 40 anni di vita, come nei precedenti 40, per il Gsf hanno voluto dire anche feroci lotte intestine, litigate clamorose, “colpi di stato” incredibili all’interno del Gruppo, assemblee infuocate ed interminabili. Tanto furore in grotta  non poteva trovare uno stabile equilibrio nel rapporto con tutti i membri dell’associazione, ma questa è stata e sarà la nostra forza: tutto quello che appare come un ostacolo insormontabile diventa uno stimolo irrefrenabile, una nuova ripartenza e spesso si conclude davanti ad un’ottima bottiglia di vino, circondata da amicizie profonde, sorrisi e  sognando l’ennesimo traverso inseguendo l’aria, dove “la grotta va...”.
La società civile dovrebbe essere immensamente grata alla Speleologia che assorbe tutte le energie di potenziali anarchici, schizofrenici e casinisti e risparmia degenze in manicomi e galere” scriveva Giovanni Lenzi su “70 anni del gruppo speleologico Fiorentino” nel 2003, sentenziando in modo inappellabile sulla natura di questi  favolosi personaggi che hanno fatto la storia del Gruppo Speleologico Fiorentino.

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