Annuario 2007
Una ferrovia al servizio della montagna: la nascita e la morte.
Quello che vediamo oggi passando per la strada che conduce all’Abetone è abbastanza diverso da quello che era circa un secolo fa. Solo l’occhio attento intravede ancora le testimonianze di una ferrovia legata ad una economia ormai scomparsa.
La valle e gli insediamenti industriali
Per alcuni secoli l’economia della montagna pistoiese ha avuto il suo fulcro nella lavorazione dei metalli. Già dal ‘400 – ‘500 si hanno testimonianze della lavorazione del ferro fatta da esperti artigiani. Le ampie superfici boschive forniscono la materia prima per alimentare i forni per lavorare il minerale proveniente dall’isola d’Elba. I prodotti vanno dagli attrezzi agricoli alle armi per il combattimento, ma alcuni artigiani lavorano anche il rame e lo stagno e le loro leghe.
Ma è soltanto nell’800 che queste lavorazioni diventano trainanti di un’economia che occuperà ampi settori della zona. Il minerale grezzo estratto dalle miniere della maremma o dell’Elba veniva trasportato via mare fino al porto di Livorno dove attraverso il canale dei Navicelli fino a Pisa e poi sull’Arno fino a Signa dove veniva trasferito sui carri, ”i barrocci”, per raggiungere le fabbriche della montagna pistoiese per la trasformazione in prodotto finito. Si capisce subito che in questa catena di lavorazione l’anello debole è il trasferimento del materiale dalla pianura alla montagna. Nonostante le difficoltà questa economia va avanti anche grazie al fatto che i progressi industriali del periodo, siamo nell’800, stanno facendo passi da gigante.
Le risorse della montagna, l’acqua e gli alberi, fanno si il che cav. Cini nel 1822 in località la Lima costruisca la cartiera a cui darà il suo nome che diventi presto la prima impianto della Toscana. Su questa traccia altri imprenditori costruiscono stabilimenti più piccoli ma sempre produttivi. La cartiera Cini nel 1906 si dota di una propria centrale di produzione elettrica alimentata dal torrente Lima. Il panorama che si poteva osservare allora era abbastanza diverso da quello odierno, le coltivazioni in atto che occupavano molte delle aree verdi e i frequenti tagli del bosco rendevano l’area più aspra. Chiaramente anche le costruzioni erano molto meno delle attuali e legate essenzialmente alla conduzione del territorio. Il turismo era inesistente.
Un altro stabilimento storico della montagna pistoiese è a Limestre. Inizialmente è destinato alla produzione di carta, viene poi riconvertito, nel passaggio alla soc. Ponsard & C, nelle creazione di minuterie metalliche per l’abbigliamento. Il materiale consisteva in bottoni, filo metallico,e quant’altro utile in quei tempi per gl’indumenti che non conoscevano l’uso di materie plastiche. Nel 1899 questo grande stabilimento veniva acquistato dalla Soc. Metallurgica Italiana. La soc. Metallurgica Italiana (SMI) è fondata a Livorno nel 1866 da un gruppo di francesi e nel 1902 sarà acquistata dall’ing. Luigi Orlando il quale imprime nuova vitalità agli stabilimenti della montagna. La storia della SMI attraversa la tutta storia economica del secolo trasformandosi nella attuale multinazionale con il marchio KME.
Un altro grande impianto produttivo presente nella zona era lo stabilimento di Mammiano conosciuto semplicemente come “il laminatoio”. Anche questa industria è oggetto di vari passaggi di proprietà, dalle Soc. Ferriere di San Giovanni Valdarno che ne avevano intravisto la parte terminale del processo di lavorazione dei metalli prodotti appunto nello stabilimento in valle. Purtroppo a causa del costo troppo oneroso del trasporto, l’impianto viene ceduto prima alla soc. Turri di Firenze e successivamente alla Soc. Metallurgica Italiana. Le lavorazioni dello stabilimento si estendono dal metallo per le monete metalliche, la manganina per le resistenze elettriche, ottone per le cartucce da fucile ed altro. La soc. Metallurgica Italiana (SMI) collega gli stabilimenti di Limestre e Mammiano con una teleferica per rendere celere lo scambio di materiale. Anche il conosciuto “ponte sospeso” per l’attraversamento della Lima, fu costruito proprio per facilitare il raggiungimento dello stabilimento di Mammiano da parte degli abitanti di Popiglio o da coloro che venivano dalla bassa valle della Lima.
Già dal 1865 è attiva la ferrovia Pistoia Bologna, la Porrettana per intenderci e il punto di accesso della montagna pistoiese alla ferrovia è la stazione di Pracchia. La vicinanza della ferrovia facilita molto lo sviluppo di queste industrie ma i circa 15 km che separano Limestre dalla stazione di Pracchia considerando lo stato delle strade a quei tempi limita ancora molto i trasferimenti dei prodotti.
Un altro tassello utile per delineare il panorama in cui si evolverà la storia della FAP è lo stabilimento di Campo Tizzoro. Il Governo Italiano nel 1910 in preparazione al conflitto in Turchia e Libia e forse al grande conflitto mondiale che è già nell’aria, sta ricercando per mano del Ministro della Guerra il gen. Paolo Spingardi, un sito dove costruire una nuova fabbrica di munizioni. L’incarico viene affidato alla SMI che dà le necessarie garanzie. La scelta cade sul paese di Bardalone e l’area individuata si chiama Campo di Zoro o Campo Tizzoro che si trova logisticamente vicino alla ferrovia porrettana. Questo insediamento produttivo viene costruito in tempi estremamente rapidi, solo 6 mesi, e la produzione di materiale bellico fu subito elevata. Il fabbisogno di munizioni per la prima guerra mondiale elevò l’area a strategica per le necessità militari. Le persone impiegate nello stabilimento in quegli anni arrivarono a circa 6000 a fronte delle 250 all’inizio dell’attività. L’energia elettrica necessaria al funzionamento degli impianti veniva fornita dalla centrale elettrica della Lima della SELT (Società Elettrica Ligure Toscana) fondata e presieduta dell’ing Alberto Lodolo.
In questo contesto viene costruito dalla SMI una prima ferrovia per raccordare lo stabilimento di Campo Tizzoro con la Stazione FS di Pracchia. Questa ferrovia, al servizio esclusivo del munizionificio, era a scartamento ridotto metrico. Il percorso dalla stazione di Pracchia si sviluppava fondamentalmente in sede stradale nel massimo dell’economia di costruzione. Il servizio era svolto da due locomotive a vapore di tipo tranviario e alcuni carri merci a sponde basse. Il servizio, iniziato nel 1915, termina nel 1925 anno in cui inizia il servizio la FAP. Al termine del conflitto lo stabilimento riconverte la produzione riducendo anche il personale ma, fortunatamente, non in modo pesante evitando così l’abbandono dell’area. Si stima che siano stati ancora circa 2000 gli occupati nello stabilimento dopo la fine della guerra. Bisogna pensare che oltre all’occupazione negli stabilimenti descritti e il loro indotto, non c’erano molte altre fonti di sostentamento. Di rilievo nella zona c’è la produzione del ghiaccio nella valle del Reno. Il ghiaccio si formava in inverno in grandi vasche appositamente preparate e veniva conservato per l’estate all’interno di particolari costruzioni chiamate appunto “ghiacciaie”. Le altre attività sono riconducibili alla tradizionale coltivazione delle castagne, gli allevamenti di bestiame e la produzione di carbone che allora aveva un rilievo particolare. In alternativa a tutto questo c’era l’emigrazione.
La nuova ferrovia
Il progetto per una nuova ferrovia che collega Mammiano, attraversando San Marcello Pistoiese, Limestre, Gavinana, Maresca e Bardalone fino alla stazione FS di Pracchia, viene presentato nel 1915 dagli ing. Luigi Orlando e Alberto Lodolo al Ministero dei LL. Sono gli anni in cui lo sviluppo delle ferrovie è all’apice. Nel 1915 c’è tracce di un progetto di massima per alcune linee ferroviarie nell’Appennino Tosco Emiliano per il collegamento dell’alta valle della Lima con Modena. Queste ferrovie dovevano rilegare la ferrovia della Garfagnana da Bagni di Lucca con la Lima raggiungendo l’Abetone attraversandolo e passando per Pievepelago fino a Maranello già collegata con
Modena. Dalla Lima doveva esserci una diramazione verso San Marcello Pistoiese, Pontepetri e di qui a Pracchia oppure passando dalle Piastre fino a Pistoia. Un progetto che guardava avanti nel tempo e avrebbe permesso un diverso sviluppo alle popolazioni delle vallate. L’elevato costo per la costruzione di queste linee di montagna dovute all’elevato numero di Km , circa 100, le la ridotta sovvenzione che lo Stato avrebbe concesso, fecero si che il progetto rimase sulla carta.
Il progetto della nuova ferrovia viene accettato nel 1916 e a Livorno viene fondata la “Società Ferrovie Alto Pistoiese fra imprese industriali (FAP)”. Nel 1917 viene resa esecutiva la convenzione per la costruzione ed esercizio della ferrovia elettrica tra lo Stato e la FAP per la durata di 70 anni con il sussidio annuale per 50 anni di 10.000 lire/Km (questo valore sarà aggiornato a 50.000 lire/Km nel 1924 a seguito degli adeguamenti economici resi necessari dopo il termine della grande guerra). Il tracciato della nuova ferrovia inizia dalla stazione FS di Pracchia (616 m), attraversa il Reno su un nuovo ponte, si inserisce parallelo alla sede stradale della attuale SR 632 fino a Pontepetri e di lì ancora verso Campo Tizzoro (693 m) dove ci sarebbe stato il raccordo per la SMI, costeggiando il torrente Maresca. In questo tratto la valle ha i grandi pendii pieni di faggete, in quei tempi meno estese dovuto principalmente all’uso intensivo del legname per i motivi già detti.
Da Campo Tizzoro il percorso si sviluppa verso Maresca (780 m) sulla sponda destra della valle. Da questo punto la ferrovia risale in sede propria, e, dopo aver attraversato il torrente Maresca, attraversa il paese omonimo ed inizia la salita del passo dell’Oppio (843 m) spartiacque tra Tirreno ed Adriatico, che raggiunge con un’ ampia curva dopo aver attraversato gli splendidi prati dell’Alpe Piana. Da qui la vista sconfina su tutta la valle della Lima, dai crinali de l’Abetone a quelli di Lucchio e a quelle delle Lari. La discesa verso San Marcello è tra ampi castagneti e prati. Si attraversa Gavinana (779 m) e poi dopo due ampi tornanti si raggiunge Limestre (655 m) dove ci sarebbe stato l’altro raccordo SMI. Ora il tracciato entra in sede stradale e raggiunge il paese di San Marcello Pistoiese (623 m). Il termine della ferrovia è a Mammiano (613 m) dove c’è l’altro stabilimento SMI. La lunghezza complessiva è 16,500 Km e la pendenza della linea è massimo del 40‰. Lo scartamento è 0,95 mt e l’alimentazione elettrica è a 1200 V in corrente continua fornita dalla sottostazione di Limestre collegata alla linea elettrica dalla SELT. Il percorso originario prevedeva una galleria sotto l’Oppio con meno curve e pendenze fino al 90‰. Alcune varianti al tracciato imposte da alcune prescrizioni del Ministero dei LL tra i quali l’abolizione della galleria sotto l’Oppio ed alcune curve in più per avere una acclività minore, portarono al tracciato definitivo.
Le stazioni costruite con l’uso delle materie prime locali risultano ancora oggi molto gradevoli e tenendo conto delle economie imposte, furono ben riuscite. L’uso della pietra e legno di castagno con il mattone le rendono ancora oggi piacevoli e nello stesso tempo danno il senso della solidità. Fra varie vicissitudini e critiche (come ancora oggi spesso succede) i lavori iniziarono nel 1919 con l’affidamento dell’incarico all’ing. Giusto Puccini e terminarono alla fine del 1925.
Lo sviluppo
L’inaugurazione fu fatta il 21 giugno 1926 e fin dall’inizio la ferrovia si dimostrò all’altezza delle aspettative ma benché fosse nata dalle necessità della SMI si rivelò alquanto importante anche per la popolazione delle vallate che toccava.
Il percorso benché modesto per lo sviluppo chilometrico, offriva panorami emozionanti sia in estate che d’inverno. Il fatto è compreso dalla direzione della FAP che incentiva i viaggi turistici sulla sua linea per la conoscenza della montagna pistoiese. Nell’ambito dello sviluppo turistico della zona, la FAP progetta e costruisce su richiesta villini nei pressi della stazione di Gavinana. Anche sul notiziario del CAI di Firenze gli trovano inserti pubblicitari della FAP. Le escursioni del CAI fiorentino utilizzano peraltro in modo regolare il trenino per recarsi in zona come si legge dai programmi delle gite di quegli anni. Nell’estate molti villeggianti soggiornano nell’area e nascono così gli alberghi all’Abetone, San Marcello, Pontepetri e Pracchia e la domenica ci sono molte comitive di gitanti per la tradizionale scampagnata. Durante l’inverno molti turisti utilizzano il trenino per raggiungere le piste di sci dell’Abetone che nel frattempo è diventata la stazione più importante per gli sport invernali dell’Appennino Tosco Emiliano. La montagna pistoiese scopre così la sua vocazione per il turismo che incrementerà sempre di più. Tuttavia il flusso principale di viaggiatori è prevalentemente di operai che si recano al lavoro negli impianti industriali. Ci sono anche viaggiatori verso la pianura, anche se penalizzati dagli infelici orari delle FS in coincidenza a Pracchia.
Il traffico massimo, però, è dovuto alle merci degli stabilimenti SMI che assume l’intensità maggiore in concomitanza degli eventi bellici prima con la guerra in Africa orientale e poi del secondo conflitto mondiale. All’approssimarsi di quest’ultima, la ferrovia diventa determinante per gli approvvigionamenti bellici e raggiunge così il massimo utilizzo. A questo scopo gli orari della FAP vengono adeguati ai turni di lavoro del munizionificio sacrificando le possibili coincidenze con i treni FS a Pracchia. La guerra intanto risale la penisola e nell’estate del 1944 con la formazione del fronte in prossimità della linea Gotica, si hanno danneggiamenti prima lievi e poi via via più pesanti fino a causare la sospensione del servizio nell’autunno dello stesso anno a causa di bombardamenti e danneggiamenti delle opere civili e materiale rotabile. In questo contesto si riporta la notizia della singolare coincidenza dell’assenza del benché minimo danno agli impianti industriali della SMI che, nonostante producessero materiale bellico, non furono bombardati dagli alleati, non furono sabotati dai partigiani, né furono danneggiati dai tedeschi in ritirata. Si dice che ciò sia stato possibile grazie a uno specifico accordo raggiunto dalla società a salvaguardia delle sue proprietà … ma di ciò, com’é ovvio, non vi é alcuna prova documentale!
Il declino e la fine del servizio
Nel 1946 dopo la ricostruzione delle opere della linea danneggiate durante il conflitto, il servizio riprende ma con vari problemi economici legati essenzialmente alla scarsità di traffico merci dovuto alla riconversione degli stabilimenti SMI. Il traffico merci era penalizzato dal fatto che nella stazione di Pracchia doveva essere fatto il trasbordo dal vagoni FAP a quelli delle FS con un aggravio di tempi e costi. Il traffico passeggeri negli anni del boom economico contrariamente alle previsioni ritorna sui valori prima della guerra ma non risolve comunque i problemi.
Negli anni ’50 la SMI non ha più interesse alla gestione della FAP avendo preferito il trasporto su gomma e cede il pacchetto azionario di controllo alla Cooperativa di Autotrasporti SACA di Pistoia. La SACA ne vede il tornaconto solo per gli impianti, stazioni e rimesse, nell’interesse del trasporto automobilistico. In quest’ottica non viene fatto più nessun ammodernamento e senza nessuna azione di rinnovamento gli impianti sono condannati inesorabilmente alla chiusura.
Negli anni ’60 la politica del trasporto su gomma è in piena espansione e conseguentemente si comincia a parlare di “rami secchi ferroviari” da tagliare. Vengono pubblicati dalla stampa locale, articoli contro il trenino che rappresenta il vecchio contro la modernità che avanza. Anche la FAP è colpita da questa mannaia e il 30 settembre 1965 cessa il servizio ferroviario con decreto del Ministero dei Trasporti. La Regione Toscana che sarebbe nata solo nel 1970, forse avrebbe fatto sì che la storia si fosse evoluta in modo diverso. Nonostante le proteste formali dell’amministrazione comunale di San Marcello Pistoiese e di altri Comuni limitrofi, la decisione presa dal Governo non cambia. In definitiva il trenino era frutto del passato laddove il trasporto su gomma lasciava intravedere chissà mai quali innovazioni tecnologiche. Siamo negli anni del boom economico: sull’Appennino pistoiese si replica una storia che purtroppo era in voga in quel periodo. Ad una ad una vengono chiuse quasi tutte le ferrovie di montagna italiane: scompaiono così nell’indifferenza generale, tanto per citarne alcune, la ferrovia della Val Gardena e quella delle Dolomiti. L’unica eccezione é costituita dalla ferrovia della Val di Non in Trentino perché la popolazione si schierò compatta contro la soppressione della Vaca Nonesa (come era affettuosamente chiamato il trenino) riuscendo addirittura a ottenere dalla Provincia di Trento un cospicuo finanziamento per la ricostruzione della linea che oggi, prolungata fino a Marilleva; é un’infrastruttura modernissima a servizio della montagna.
Nel nostro caso é purtroppo mancata la lungimiranza delle popolazioni interessate che non hanno saputo – così come nel caso degli alberghi della Val di luce o dello skipass comprensoriale – intravedere un futuro più avanzato nel tempo. Pochi anni dopo vengono quindi smantellati gli impianti e la linea come se non si volesse lasciare più alcuna traccia quasi a voler dimenticare di essere esistita. Dopo poco tempo dalla chiusura della FAP anche la SACA va in fallimento e, messa in liquidazione, passerà le consegne dell’esercizio automobilistico alla COPIT. Il servizio automobilistico sventolato come modernità e risolutore di tanti problemi, mostra i limiti. La percorrenza è minore solo di 5’ rispetto al treno, l’attraversamento dei paesi, i periodi di innevamento provocano spesso ritardi prima difficilmente esistenti.
La montagna pistoiese ha perso una delle sue caratteristiche che la rendevano abbastanza unica: il trenino bianco e rosso. Dopo un periodo di silenzio, alla fine degli anni ’80 si sente parlare di qualche progetto di massima della Regione per ripristinare la vecchia ferrovia estendendo il percorso fino all’Abetone. Viene organizzato un convegno e l’Università di Firenze (a livello di tesi di laurea) approfondisce gli aspetti teorici della questione. Si tratta però di idee che rimangono nel nulla. Se questa intenzione fosse andata avanti si sarebbero risolti sicuramente molti dei problemi esistenti legati alla viabilità necessaria per il turismo che oggi è diventata l’economia trainante dell’alto pistoiese: la ferrovia avrebbe potuto essere un valido ausilio per l’incremento del turismo, che invece sta purtroppo laguendo senza quegli sviluppi che meriterebbero la bellezza e la particolarità dei luoghi.
Oggi le ferrovie di montagna in tanti paesi europei, conoscono una nuova primavera e sono una grande opportunità turistica per le aree attraversate. Se opportunamente inserite in una più vasta politica del trasporto locale, contribuiscono allo sviluppo delle aeree montane sia per l’aspetto turistico decongestionando le vie di comunicazioni stradali limitando nel contempo l’inquinamento. Oggi Il tracciato della ex FAP è diventato di proprietà del Comune di San Marcello con l’intento di attuarne il recupero e nel 2006 la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia ha stanziato 75.000 € per il recupero della stazione di Limestre. Il percorso è attualmente percorribile quasi completamente sia a piedi che con la MTB ed è segnato come tale.
Un viaggio nel futuro
Proviamo a sognare immaginando un ipotetico viaggio in primavera in treno su una nuova FAP, da Firenze all’Abetone. Partiamo da Firenze e, dopo aver attraversato la stazione di Pistoia, scendiamo a Pracchia per il trasferimento sul trenino rosso dell’Appennino. Il convoglio è composto da una elettromotrice e due vetture rimorchiate con soffitto panoramico da dove si può guardare l’ambiente anche verso l’alto. Alle 7,15 il convoglio muove lentamente dalla stazione e inizia la risalita della valle del Reno verso Pontepetri ricalcando il percorso della vecchia ferrovia. Il convoglio è pieno di turisti che vogliono conoscere gli splendidi luoghi della montagna pistoiese nelle terre che diedero i natali a campioni di sci come Colò, Chierroni, Seghi ed altri, ma ci sono anche vari pendolari che devono raggiungere il posto di lavoro. Attraversiamo Pontepetri, ora la ferrovia è in sede stradale dove dal treno si possono vedere le vetrine dei vari negozi, alcuni bambini salutano. La ferrovia lascia la sede stradale e si infila nella piccola valle del torrente Maresca. Dopo la sosta nella stazione di Maresca, si costeggia la splendida foresta del Teso e inizia la salita verso il passo dell’Oppio che viene superata senza difficoltà. Dopo aver attraversato gli ampi prati in fiore dell’Alpe Piana, si raggiunge il valico alle 7,35. Il panorama è ampio e si estende su tutta la valle della Lima. Sullo sfondo i crinali innevati del Gomito e Selletta biancheggiano sullo sfondo del cielo azzurro. La discesa verso Gavinana è rapida e dopo una breve sosta, si riprende verso San Marcello Pistoiese. Con alcune grandi curve tra i campi lavorati da poco, si raggiunge il capoluogo della valle. Scendono vari passeggeri e ne salgono altri, sono le 7,55, siamo partiti da 40’ dalla stazione di Pracchia.
Si riprende il viaggio dopo pochi minuti. Ancora un breve tratto in sede stradale verso Mammiano e poi la ferrovia si inserisce nella stretta valle del torrente Verdiana. Con una galleria da Spignana sotto il paesino di Lancisa, il trenino esce vicino a Lizzano Pistoiese, famoso per i suoi murales, dove fa una breve sosta. La valle è ora più ampia, si possono ammirare sul versante opposto della valle le Torri di Popiglio, il monte la Piastra e tutto il crinale verso la valle del Sestaione. In questo tratto si procede in aderenza naturale. Un viadotto sul torrente Volata ed una galleria permettono di raggiungere la stazione di valle della funivia per la Doganaccia. Siamo a Cutigliano, la stazione è nei pressi del centro storico. Il convoglio si muove alle 8,30 precise. Il percorso attraversa alternativamente faggete e radure sotto i crinali de i Balzoni, Cima Tauffi, monte Lancino. Si costeggia il paesino di Rivoreta e dopo un ampio tornante sulla testata della valle della Lima, dominata dalla cima del monte Libro Aperto, il trenino ad incrocia la SR 12 nei pressi di Pianosinatico. Il tracciato ora è a cremagliera ma la buona isonorizzazione delle vetture attenua molto il rumore. Siamo già nella zona turistica dell’Abetone. Il sottobosco è ancora coperto di neve ma già si vedono i primi Crocus violetto che fuoriescono dai brevi spiazzi di sottobosco senza neve.
La salita è evidente ma il nostro trenino rosso sale agevolmente, fra i brevi squarci di visibilità tra gli alberi si può vedere in tutta la sua ampiezza il monte Libro Aperto con i suoi canaloni ancora coperti dalla neve. La ferrovia entra dopo poco nella galleria che conduce alla stazione sotterranea dell’Abetone. Ancora pochi minuti ed il treno si ferma al capolinea, Abetone 1388 m. Sono le 9,10 di una splendida mattina di primavera, abbiamo trascorso 1 ora e 55 minuti dalla partenza, il dislivello superato è stato di 772 m ed abbiamo attraversato una delle valli più belle del nostro Appennino. Il viaggio è stato non solo un trasferimento ma anche una riscoperta di luoghi sempre belli da assaporare in compagnia. Peccato che tutto questo sia solo un sogno, ma chissà…