“Le valli appenniniche toscane” di Marco Bastogi

Annuario 2007

Spesso si usa dire di una valle che essa si trova incassata tra le montagne, ma dal punto di vista dell’evoluzione geomorfologica sarebbe più appropriato dire che sono le Montagne ad essere  incise e scolpite dalle valli che con il tempo si approfondiscono e si allargano sempre più.

Da questo punto di vista, una montagna risulta tanto più slanciata e ripida, quanto più le valli sono strette e profonde; il fiume scava ed approfondisce la valle, mentre il lento e continuo disfacimento dei versanti ammorbidisce, spiana e livella le forme alimentando le pianure pedemontane. La forza erosiva di un torrente, dipende dalla velocità delle sue acque e quindi dalla sua inclinazione e questa ultima è rilevante se la catena montuosa è stata sollevata parecchio e soprattutto se questo è avvenuto di recente.

Le Montagne sono quindi ciò che rimane dopo il lungo e costante lavoro perpetrato dall’instancabile azione erosiva su masse rocciose di dimensioni di gran lunga superiori. Con un ritmo di qualche millimetro all’anno, in pochi milioni di anni, l’erosione demolisce e porta via per mezzo di torrenti e fiumi, migliaia di metri cubi di montagna distribuendoli prima a formare le valli e poi, sotto forma di sabbia e fango, verso il mare a formare i litorali.

Se una catena montuosa ha subito nella sua storia più recente un sollevamento, in genere mostra forme più aspre e ripide, è poi il clima della regione a controllare la morfologia dei rilievi: l’altitudine determina condizioni termiche particolari dove gli sbalzi di temperatura favoriti dal gelo e dal vento insidiano le rocce accelerandone il loro degrado; piovosità rilevanti compiono un lavoro erosivo esteso forse più velato, ma continuo che agisce in maniera disuguale sulle rocce, a seconda della loro resistenza e quindi della loro propensione al disfacimento. La tendenza ultima è comunque quella dello spianamento del rilievo a tutto vantaggio delle zone di fondo valle che ne traggono giovamento ampliando sempre più i loro limiti. Tutto questo vale anche per gli Appennini: le nostre Montagne. Gli Appennini per lo più  sono costituiti da rocce poco differenziate (le arenarie) e facilmente erodibili, localizzate in un ambito climatico non particolarmente aggressivo ed è proprio in questi semplici fattori che troviamo la regolare affinità morfologica che li contraddistingue.

I caratteri geologico strutturali e morfologici delle valli appenniniche toscane, si sono determinati ad iniziare da poco più di 20 milioni di anni fa. Siamo all’inizio del Miocene ed il paesaggio, se si fosse avuto modo di vederlo, sarebbe stato molto diverso da quello attuale. Le Alpi sporgevano dal mare solo parzialmente e dove c’è oggi l’Italia solo alcune isole erano emerse come l’attuale Puglia, la Corsica e la Sardegna.

Il Valdarno Superiore visto dal Pratomagno

La nostra Regione era in fase di emersione in seguito alle circostanze che hanno prodotto l’orogenesi alpina (formazione della catena appenninica). Verso il termine del Miocene (10 milioni di anni fa), gli Appennini si sarebbero visti come una stretta penisola in posizione più a ovest rispetto alla collocazione che mostrano attualmente. Ad occidente di questi, in direzione dell’attuale Mar Tirreno, emergevano piccole isole: i Monti Livornesi e quelli di Casciana Terme. Circa 6 milioni di anni fa, (Messiniano – Pliocene), si sviluppa una tettonica distensiva[1]. Ampie depressioni cominciano a modellarsi in seguito a movimenti lungo spaccature della crosta terrestre (faglie dirette), allungate in senso appenninico a formare ”fosse tettoniche” cioè abbassamenti che coinvolgono spessori significativi della crosta la quale si affossa, scorrendo proprio lungo queste fratture più o meno verticali che la delimitano e che sono allineate parallelamente alla catena appenninica.

Lo sprofondamento di queste porzioni di territorio che avviene in corrispondenza di queste faglie, vede il territorio toscano lacerarsi in una serie di grossi “blocchi”, taluni dei quali come abbiamo detto, in abbassamento mentre quelli immediatamente adiacenti in sollevamento. Si sviluppa quella che

La Val di Chiana ai tempi di Leonardo

è stata chiamata dai Geologi “tettonica a blocchi”; il paesaggio montuoso precedentemente esistente si smembra in una serie di “Graben” ed “Horst” (così con termine geologico preso in prestito dal Tedesco si indicano rispettivamente i blocchi che si abbassano e quelli che si sollevano). Nelle zone depresse chiuse si raccolgono le acque portate da fiumi e torrenti, si formano laghi dalla forma allungata nel senso della catena montuosa. In questo modo si sono formati gli antichi laghi di Castelnuovo della Garfagnana, di Barga, del Valdarno Medio e Superiore, quelli della piana di Lucca e Val di Nievole, del Mugello, del Casentino, della Val di Chiana e dell’alta Val Tiberina; si tratta di depressioni lacustri, sempre più giovani procedendo da ovest verso est, in direzione della catena montuosa perché è in questo stesso senso che procedeva il fenomeno geologico Fig.1.

Allontanandoci dalla dorsale, verso l’estremità occidentale, è invece il mare che va ad occupare le depressioni ad iniziare da quelle più antiche della Val di Fine – Cecina e di Viareggio – Val di Magra, per raggiungere quelle della Val d’Era ed Elsa, ed in ultimo quelle della Lunigiana, e Valdarno Inferiore. Alla fine del Miocene e poco dopo, nel Pliocene inferiore – medio, tra i 5 – 3 milioni di anni fa, il mare giunse ad interessare tutta l’area dell’attuale bassa valle dell’Arno fino a lambire il Monte Albano, i Monti del Chianti e la dorsale del Monte Cetona; Monte Pisano costituiva allora una penisola protesa verso sud- sud est. L’ingressione marina perdurò fino a 2,5 milioni di anni fa, riducendo sensibilmente le superfici emerse ed alla fine, anche il Monte Cetona diventerà un arcipelago di isole con strette lingue di mare che penetrano verso l’interno della regione. Ad iniziare da 2,5 milioni di anni, il clima diviene più instabile con ampie fluttuazioni. Nelle zone più interne dell’Appennino, si formarono nuovi laghi poco profondi (torbiere) con fauna ad elefanti, ippopotami, tigri.

L’Appennino in questo momento (Pliocene medio superiore) è in forte sollevamento con dislivelli notevoli; sono queste le migliori condizioni come abbiamo detto precedentemente per la formazione delle nostre valli. Si formeranno per tutta la catena appenninica, una trentina di specchi lacustri di cui i principali sono quelli che interessano la nostra area. Attorno a questi laghi, favoriti da un clima caldo, umido,  si imposteranno boschi che poi porteranno alla formazione della lignite oggetto di attività estrattiva dagli inizi del ‘900 fino agli anni ’70. Il lento, ma continuo, sollevamento del territorio, determinato sostanzialmente dal riequilibrio isostatico della crosta conseguente all’ispessimento della stessa in corrispondenza della catena appenninica, ed i consistenti apporti detritici e sedimentari prodotti dall’erosione dei rilievi, particolarmente accentuata durante i periodi glaciali, hanno riempito piano, piano, tutte queste depressioni restituendoci il paesaggio delle valli intermontane come lo conosciamo oggi.

Garfagnana e Barga

I due antichi bacini, erano separati dalla “soglia” di Monte Perpoli dove infatti sono presenti  sedimenti di sola origine fluviale e non lacustre. I laghi si originarono nel Pliocene superiore in seguito al formarsi di soglie morfologiche, una sorta di sollevamenti localizzati dovuti a faglie trasversali rispetto alla direzione nord ovest, sud est della valle. Entrambi i laghi, erano molto estesi e sono stati riempiti da sedimenti analoghi: sul fondo argille mentre in alto e verso le antiche sponde da ciottolami composti da rocce di provenienza apuana.

Il lago di Barga, si estendeva da Ponte di Campia a Ponte Calavorno per una lunghezza di 10 km ed una larghezza massima di 5 ed aveva come principale immissario la Turrite di Gallicano. Il lago di Castelnuovo, si estendeva tra Molino di Villa Collemandina fino a Monte Perpoli. I requisiti affinché permanessero i due laghi, vennero meno a seguito del sollevamento dell’area dopo il Pleistocene medio – superiore, che costrinse l‘antico Serchio a deviare verso ovest.

Valdarno medio

Ovvero il bacino compreso tra Firenze e Pistoia. Forse un vero e proprio lago non è mai stato, nel senso che nella zona della attuale città di Firenze e di Pistoia è più probabile che ci siano state paludi (che hanno perdurato fino ai tempi storici), mentre un vero e proprio lago ha interessato la sola porzione centrale tra l’attuale Campi Bisenzio e Prato. Contrariamente a tutti gli altri bacini, non è stato chiaro fin dall’antichità che questa area fosse stata occupata da un lago; molti scienziati tra fine ‘800 e inizi novecento hanno dibattuto molto sulle sue origini, unico “fuoriclasse” è stato Leonardo da Vinci che aveva capito la sua vera origine lacustre, ma questa sua osservazione è divenuta nota solo negli anni ’50, quando è stato ritrovato il  manoscritto nel quale se ne parlava.

E’ stata riconosciuta una profondità massima di questo bacino (circa 500 metri), nella zona tra Campi Bisenzio e Calenzano, mentre tra Prato e Pistoia, i depositi fanno propendere per profondità molto minori ed ancor di meno nell’area di Firenze (profondità massime di alcune decine di metri). Faglie trasversali (presso Scandicci e Maiano), hanno sollevato la porzione di bacino sulla quale sorge Firenze, facendo scolare le acque in direzione nord ovest (verso Le Cascine e Campi Bisenzio), interrompendo prima della restante area, la sedimentazione lacustre.

Valdarno superiore

Uno dei più estesi bacini intermontani, interposto tra i Monti del Chianti e la dorsale del Pratomagno. La depressione allungata in direzione nord ovest per 35 km, risulta colmata da oltre 500 metri di sedimenti fluvio – lacustri deposti in due periodi successivi ad iniziare dal Pliocene superiore. Da principio si formarono due piccoli bacini sul bordo settentrionale dei Monti del Chianti; uno nella zona di Palazzuolo l’altro attorno a Castelnuovo. Nella seconda fase (Pliocene inferiore – Pleistocene inferiore), si imposterà un lago molto ampio che nel Pleistocene inferiore scomparirà a causa dei notevoli apporti detritici non compensati dalla lenta subsidenza del bacino.

Nei depositi lacustri oltre alle ligniti oggetto di escavazione fino ad un recente passato, sono stati trovati qui, più che in altri analoghi bacini, resti di grossi vertebrati fossili che permettono di datare il bacino al Villafranchiano superiore. Queste spettacolari testimonianze sono oggi visibili presso il Museo di Paleontologia dell’Università di Firenze.

Mugello

Anche questo bacino si è sviluppato nel Villafranchiano superiore ed ha una lunghezza di circa 42 km per 20 km di larghezza. E’ localizzato tra i Monti della Calvana, la catena appenninica principale ed il gruppo di M.te Giovi – M.te Senario. La scomparsa del lago è conseguente al suo colmamento, avvenuto ad opera dei sedimenti trasportati dai fiumi e torrenti in concomitanza con l’erosione della soglia presso Dicomano. Il riempimento è avvenuto in maniera omogenea sull’intero bacino, in un momento in cui l’Appennino si stava sollevando, ne è prova l’assetto dei sedimenti che pende in direzione sud ovest di 15°-20°, ed anche il corso del T. Sieve, che è totalmente spostato da quella parte. I suoi sedimenti hanno uno spessore di circa 600 metri.

Il bacino del Mugello visto dalle Salaiole

Casentino

E’ il più modesto dei laghi intermontani, detto anche Valdarno Casentinese, è localizzato tra Bibbiena e Pratovecchio (circa 12 km per 5 di larghezza), lungo il tratto alto della vale dell’Arno, tra catena principale e contrafforti del Pratomagno. Il riempimento si concluderà nel Quaternario inferiore (Pleistocene), per lo più ad opera di sabbie argillose con ciottolami di origine fluviale, terrazzati che chiudono il ciclo sedimentario. Oggi questi sedimenti appaiono sotto forma di ripiani terrazzati e colline caratterizzanti la parte centrale di questo tratto di valle.

Val Tiberina

La Val Tiberina è anch’essa il risultato di un colmamento di un antico specchio lacustre che si sviluppava da San Sepolcro fino a Terni; si tratta del più grande bacino sedimentario del Plio -Pleistocene italiano. Il lago Tiberino, aveva forma ad “Y” rovesciata ed i tre rami convergenti verso Perugia, non sono stati attivi contemporaneamente.

Val di Chiana

Anche la Val di Chiana, occupa la depressione di un vecchio bacino lacustre dalla forma allungata,  compresa tra Arezzo e Chiusi per una lunghezza di circa 50 km; si tratta di una delle più grandi della Toscana. In un passato geologico non troppo lontano, le sue acque confluivano nel Tevere. Con il suo progressivo riempimento ad opera dei sedimenti, si determinò per le acque che raggiungevano quest’area, una evidente incertezza idrografica con impaludamenti che defluivano sia verso il Tevere che verso l’Arno.

Le dimensioni della palude erano notevoli, come mostrato in una famosa carta di Leonardo da Vinci (1502 – 1503) nella quale oltre allo specchio d’acqua si notano gli abitati localizzati sulle adiacenti colline. Da qui la necessità di bonificare l’area con la realizzazione del Canale Maestro della Chiana che tributava le sue acque all’Arno; nacque così la piana della Val di Chiana.


Note:

(1) Una deformazione delle rocce causata da tensioni di stiramento; tensioni contrarie cioè a quelle che hanno caratterizzato la precedente fase compressiva, responsabile dell’accatastamento di sequenze di rocce diverse fino a costruire una catena montuosa.

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