Annuario 2007
La valle di cui mi accingo a scrivere queste note è una valle a me cara per vari motivi. Ricordi, allenamento, professione. Non potevo non scegliere questa valle …anche perché rispecchia in parte il mio carattere : un po’ schivo, non appariscente, solo se conosciuto a fondo manifesta risvolti interessanti. Da soli i miei ricordi la rendono una valle speciale. Si deve andare indietro parecchio, oltre trenta anni: l’estate del 1974. La cabinovia Sestaione-Campolino era ancora perfettamente efficiente e frequentata, ricordo una gita con mio padre e mia madre. Una giornata felice, associata all’azzurro del cielo appenninico ed al giallo di quei bidoni appesi ad una fune di acciaio e dondolanti.
Per di più, spinto da puro piacere ma anche da motivazioni professionali, talvolta percorro la valle alla ricerca di alberi soggetti a “sollecitazioni critiche”, per studiarne le caratteristiche biomeccancihe e le risposte in termini di resistenza. Anche da un punto di vista oggettivo il Sestaione e la sua valle hanno però una personalità speciale che gli dà un incanto straordinario, di cui pochi per la verità si accorgono. Sostando in cima alla Foce di Campolino si percepisce una fusione meravigliosa e quasi incredibile fra il senso di accoglienza, serenità e sicurezza che il concetto stesso di valle richiama e il mondo delle montagne misteriose, i lunghi inverni, le favole, gli spiriti delle spelonche e delle selve, quel senso intraducibile di lontananza, solitudine e leggenda.
E quanto di tutto questo la valle ha rappresentato nel nostro recente passato! Come cita il Repetti nel suo Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana (1843) “Non parlo della piante di meli, di noci, noccioli, e ciliegi frequenti nella Montagna pistoiese che forniscono frutti serotini saporitissimi; né faccio parola delle fragranti fravole, dei lamponi e delle copiose raccolte di ottimi funghi. Passo in silenzio le delicatissime trote, che si pescano nella Lima, e nel Sestaione per dire che nelle praterie naturali di cotesta porzione di Appennino trovano copioso alimento nell’estate e nei primi mesi di autunno le mandre reduci dalle Maremme toscane unitamente a molti abitanti che vi ritornano col lucrato salario”. Peraltro sebbene come prima accennato gli argomenti da trattare potrebbero essere molti, quello che vorrei evidenziare con queste poche righe è la grande importanza naturalistica e forestale della valle del Sestaione. Racconterò allora la storia di un “relitto”, la storia di un albero.
Cominciamo intanto ad inquadrare la valle del Sestaione dal punto di vista ambientale e naturalistico. Il torrente Sestaione scorre sub-parallelo ad un ramo della parte superiore del torrente Lima e forma con esso due ampie vallate nell’alto bacino idrografico del Lima. Le valli formate dai due corsi d’acqua sono coronate da vette che raggiungono i 1940 m all’Alpe Tre Potenze, 1892 m al M.te Gomito, 1492 m al M.te Maiore, 1937 al Libro Aperto e in 1799 m a C.ma Tauffi, con i crinali che si sviluppano su altitudini comprese tra i 1600 e i 1700 metri. Il Torrente Sestaione scende attraversando boschi di faggio e poi foreste di conifere fino a raggiungere il Torrente Lima che a Bagni di Lucca entra nel Fiume Serchio.
La valle del Sestaione presenta nel tratto medio-inferiore, una spiccata asimmetria strutturale con il versante sinistro a reggipoggio poco sviluppato e molto acclive, ed un versante destro, a franapoggio, molto ampio e poco inclinato; le condizioni morfologiche di quest’ultimo, unitamente alle altitudini e all’esposizione dei quadranti settentrionali, sono favorevoli alla formazione di ghiacciai e nevai. Nella testata della valle del Sestaione sono in effetti osservabili tre tipici circhi glaciali, se pure di limitate dimensioni, disposti in una forma circoide maggiore. Non è da escludere che anche la parte medio-inferiore del versante destro del Sestaione sia stata interessata da un modellamento glaciale attualmente obliterato da fenomeni morfo-gravitativi. La vegetazione è ascrivibile alla fascia montana ovvero la vegetazione che interessa la fascia appenninica sopra i 900-1.000 metri s.l.m. Le temperature medie annue si aggirano sui 6°/12°C, con medie nel mese più freddo di –2°/-4°C. La specie caratterizzante questa fascia vegetazionale è il faggio presente nelle fustaie soprastanti Pian di Novello e Pian degli Ontani e presso le Regine e che nella provincia di Pistoia copre una superficie pari a 11.900 ettari formando un’estensione quasi continua di boschi puri o sporadicamente misti con altre specie comunque subordinate, quali acero di monte (Acer pseudoplatanus L.), frassino maggiore (Fraxinus excelsior L.), ontano bianco (Alnus incana L.), e poche altre.
Oltre i 1.650-1.700 metri sono presenti brughiere di Calluna vulgaris e praterie di alta quota, mentre viene a mancare la vegetazione arborea, contribuendo a dare all’ambiente un aspetto tipicamente alpino. Al di sotto di questa quota, le formazioni più importanti sono costituite oltre che dal faggio da boschi puri di abete bianco, situati in massima parte nell’alta valle della Lima e dai boschi misti di conifere e latifoglie del Sestaione e dell’Abetone. Le foreste di questa valle, parte delle antiche Foreste di Boscolungo, già Reali Possessioni Granducali di Toscana, costituite dai complessi di “Abetone”, “Melo”, “Maresca” e “Acquerino-Collina”, sono caratterizzate dall’elevata qualità ambientale e dall’imponenza dei popolamenti. Esse rappresentano quanto di più avanzato si è ottenuto dalla selvicoltura applicata alla proprietà forestale pubblica in Toscana, in quanto da tempo amministrate secondo piani di assestamento orientati all’incremento massale ed alla diversificazione dei popolamenti.
Recentemente la valle è entrata a far parte della rete “Natura 2000” come Sito di Importanza Comunitaria (SIC), e più recentemente è stata inserita tra i Siti di Importanza Regionale (SIR), insieme alle Zone di Protezione speciale (ZPS) “Campolino”,“Abetone” e “Pian degli Ontani”. La rilevanza naturalistica del comprensorio è anche legata alle estese praterie ipsofile, poste al di sopra del limite superiore della vegetazione arborea, che sono potenzialmente molto interessanti per la flora lichenica epigea alpina. Tra i siti più rilevanti dal punto di vista naturalistico citiamo il Lago Nero e la Riserva Naturale Orientata1 di Campolino.
IL LAGO NERO è un lago montano di origine glaciale posto in una conca dovuta alla sovraescavazione di un antico ghiacciaio. Si trova sopra il limite della faggeta, circondato dall’anfiteatro dei rilievi appenninici delle Tre Potenze e il suo nome deriva dal cupo riflesso delle sue acque. Il bacino che alimenta il Lago Nero è costituito dalle acque che scendono dai versanti acclivi posti intorno allo specchio lacustre. Dal Lago esce il Fosso Lago Nero ( lunghezza 1772 m) che confluisce nel Torrente Sestaione. L’area del lago Nero è soggetta in una certa misura ad impatti ambientali, quali la presenza degli impianti sciistici, attività e infrastrutture connesse (Monte Gomito, Campolino), la riduzione/cessazione del pascolo, l’escursionismo estivo, concentrato soprattutto nei pressi del lago ed infine il prelievo di erpetofauna (prevalentemente anfibi).
La RISERVA NATURALE ORIENTATA “CAMPOLINO”, istituita con DM 26.07.1971 e DM 29.03.1972, è collocata sul versante meridionale dell’alta valle del Torrente Sestaione e si estende per circa 100 ettari, nel Comune dell’Abetone, ad una quota compresa tra i 1442 m del Lago del Greppo e i 1850 m della Foce di Campolino. È stata istituita al fine di salvaguardare la presenza di popolamenti indigeni di abete rosso (Picea abies L.) che costituiscono l’unico bosco naturale di abete rosso dell’Appennino. Meglio noto come “Picea di Campolino”, questo abete rosso caratterizza la stazione considerata il limite meridionale di distribuzione della specie lungo la penisola italiana.
Per consentire la conoscenza dell’ambiente vegetale che caratterizza queste zone e per poter svolgere attività di ricerca sull’ambiente appenninico è stato creato l’ORTO BOTANICO FORESTALE DELL’ABETONE (nell’alta Val Sestaione), ufficialmente aperto al pubblico nel 1987. L’Orto è nato dalla collaborazione della Comunità Montana Appennino pistoiese con le tre Università toscane, il Corpo Forestale dello Stato e la Regione Toscana.
L’area dell’Orto Botanico Forestale comprende prevalentemente una zona a bosco costituita dalla foresta originale appenninica, mentre la piccola parte restante è occupata da un giardino roccioso e da un laghetto. Fra le rocce crescono numerose piante tipiche dei boschi e dei pascoli appenninici, come primule, genziane, campanule, gigli, orchidee ecc. a cui si aggiungono, nell’area rocciosa calcarea, le tipiche piante calcicole, come semprevivi, sassifraghe, ecc. Alcune piante, come il rododendro, la cicerbita, la primula appenninica, meritano l’attenzione del visitatore per la loro rarità.
Dall’Orto Botanico Forestale prendono il via due itinerari: il primo permette di visitare la riserva di abete rosso (Picea abies L.) di Campolino, mentre il secondo si svolge tra i boschi dell’alta Val Sestaione, giungendo fino alle Regine. Il Polo didattico di Fontana Vaccaia (Abetone) con i suoi apparati scientifici, documentari e di ricerca, completa l’itinerario. E da qui parte la nostra storia, la storia di una specie arborea relitta: la Picea di Campolino. Il significato botanico del termine relitto deriva dal latino relictus, da relinquere=lasciare indietro o rimanere indietro. In questo senso, sono relitti le piante che, nel succedersi dei climi e paesaggi, o nell’evoluzione delle specie, sono rimaste indietro, in popolamenti isolati e collocati in particolari nicchie ecologiche, dove testimoniano situazioni di un passato a volte molto lontano dal nostro tempo.
Per comprendere come una pianta possa “rimanere indietro”, occorre considerare una capacità delle piante che viene spesso sottostimata: il movimento, da cui consegue la capacità di migrazione intesa come spostamento da un luogo della terra a un altro. Le piante infatti compiono spostamenti considerevoli allo stadio di semi. Prima della comparsa dell’uomo sul pianeta, i semi delle piante terrestri potevano spostarsi sfruttando principalmente il vento, l’acqua o gli animali, al fine di colonizzare ambienti loro favorevoli. Grandi movimenti di piante, paragonabili a migrazioni di massa, sono avvenuti in epoche passate, in corrispondenza a cambiamenti climatici su vasta scala. Nel Terziario (da 65 a 1,6 milioni anni fa), il clima europeo era sensibilmente più caldo di quello attuale, dato che la massa continentale si trovava in prossimità dell’equatore.
Al termine dell’era Terziaria, l’inizio dell’era Quaternaria (da 1,6 milioni a 15.000 anni fa) fu segnato da un forte calo della temperatura, che ha determinato l’inizio di un periodo freddo chiamato, nel suo complesso, glaciazione. Nelle fasi più fredde di questo periodo, la calotta glaciale, che oggi ricopre il polo Nord, occupava tutta la penisola scandinava e la porzione settentrionale del Canada e degli Stati Uniti. I ghiacciai alpini, che oggi sono sempre più confinati alle alte quote, si estendevano sull’intera catena montuosa, lasciando emergere solo le vette più
alte. Piccoli ghiacciai si svilupparono anche più a Sud, su alcune cime dell’Appennino e delle altre catene europee. Anche le pianure furono sottoposte a tempe-rature più rigide. Queste condizioni erano incom-patibili per la vita degli animali e delle piante adattati al clima caldo del Terziario, che perciò cominciarono a migrare verso Sud, per ritrovare condizioni climatiche idonee. Anche le piante che vivevano in ambienti di montagna furono costrette a spostarsi dall’incalzare dei ghiacciai. Dalle Alpi molte specie discesero verso Sud lungo l’Appennino, come l’abete rosso che andò a colonizzare le pendici dei monti lungo la penisola, accompagnato da un corteggio di piccole erbe come Lycopodium annotinum, Pyrola uniflora, Luzula luzulina e Listera ovata.
Alla fine del lungo periodo glaciale, costituito da un’alternanza di cinque glaciazioni intervallate da periodi più caldi, la temperatura riprese ad aumentare, con varie oscillazioni, fino ai livelli attuali. Le popolazioni di abete rosso dell’Appennino presero così la strada del ritorno verso le Alpi, mentre il terreno che abbandonavano veniva ripreso da specie di ambienti più caldi. Tuttavia, un piccolo gruppo di abeti rossi, insediato nella valle del Sestaione (nei pressi del valico dell’Abetone, nell’attuale provincia di Pistoia), non seguì la retro-migrazione verso Nord, ma risalì il versante più ombroso e fresco della valle, dove trovò rifugio con le fedelissime erbe del loro corteggio. I loro discendenti sono ancora lì, a centinaia di chilometri dai grandi boschi di abete rosso delle Alpi e in ragione della loro storia, sono considerati relitti glaciali (2).
Ma come si fa a determinare con esattezza la situazione relitta di una popolazione di piante? Il botanico che tenta di farlo trova spesso molti ostacoli sulla sua strada. Solo raramente la questione è chiara fin dal ritrovamento di una pianta in un luogo distante dall’area principale di diffusione: ad esempio, quando il botanico massese Erminio Ferrarini, noto per le sue ricerche sulla flora delle Alpi Apuane, scoprì esemplari di Vandenboschia speciosa una piccola felce priva di valore ornamentale, nella gola di un piccolo affluente del fiume Serra, a migliaia di chilometri dall’Irlanda e dalle Azzorre, l’ipotesi del relitto divenne presto plausibile.
Quella del nucleo di abete rosso relitto nella valle del Sestaione è certamente una storia più intricata. In quel luogo, infatti, esistono estese foreste di abete rosso e abete bianco (Abies alba) coltivate dall’uomo fino dal XIX secolo, che hanno parzialmente sostituito la foresta originaria, composta in gran parte da faggio (Fagus sylvatica) e abete bianco. Per molti anni, solo i boscaioli del luogo si erano accorti delle caratteristiche particolari degli abeti rossi accantonati nei pressi della Foce di Campolino, da 1450 a 1750 m di quota sul versante più in ombra della valle, che chiamavano “pigelloni”. Nel 1936, il botanico fiorentino Alberto Chiarugi trovò un indizio della presenza dell’abete rosso in epoche passate: la torbiera3 del Lago del Greppo, un minuscolo lago di altitudine nella valle del Sestaione, conteneva polline fossile di abete rosso, in tutti gli strati dal Quaternario fino all’epoca attuale. Incuriosito da questo ritrovamento, Chiarugi cominciò a considerare che i “pigelloni” potessero essere i discendenti degli esemplari migrati verso Sud durante le glaciazioni del Quaternario, e fece numerosi sopralluoghi nella valle per cercare qualche indizio a supporto di questa ipotesi. Notò che i “pigelloni” erano piante molto vecchie, dai grandi tronchi un po’ irregolari. Date le grandi dimensioni, potevano essere precedenti alle coltivazioni forestali. Chiarugi continuò meticolosamente a cercare altri indizi. La sua idea era che se quella era una foresta relitta, l’abete rosso doveva essere accompagnato da particolari specie “compagne”, che formano il cosiddetto “corteggio floristico” delle foreste di abete rosso: Lycopodium annotinum, Pyrola uniflora, Luzula luzulina e Listera ovata. Quando le trovò, non ebbe più dubbi.
Queste piccole erbe, mai coltivate in Toscana, dettero a Chiarugi la certezza che il popolamento di abete rosso fosse giunto nella valle del Sestaione da Nord, durante le glaciazioni del Quaternario, e che le particolari condizioni climatiche della valle ne avessero permesso la conservazione nel periodo successivo. Chiarugi pubblicò in dettaglio i risultati delle sue ricerche sul popolamento relitto di abete rosso e fece pressione sul Corpo Forestale dello Stato, al quale competeva la gestione delle foreste dell’Abetone, perché ne fosse assicurata la sopravvivenza. In seguito, fu creata la Riserva Naturale di Campolino per proteggere la foresta relitta, alla quale fu dato il nome di “Pigelleto Chiarugi” (pigella è uno dei nomi comuni dell’abete rosso), in onore del botanico che ne aveva svelato la storia. Tale popolamento rappresenta un interessantissimo documento storico dell’antica vegetazione di questa parte di Appennino che ha mantenuto caratteristiche affini a quella delle Alpi, ravvisabili anche in un vasto contingente di piante erbacee ed arbustive tipiche della flora alpina.
Piante come queste raccontano pagine importanti di storia del nostro paese e del nostro pianeta. Sono la memoria vivente di epoche passate che nessun uomo ha mai visto. Non a caso, le antiche popolazioni di abete rosso della Valle del Sestaione sono state interamente comprese nella Riserva Naturale Orientata di Campolino. Così che le loro storie potranno essere raccontate alle generazioni future. Le azioni relative alla conservazione della natura, come momento chiave della conservazione e valorizzazione della biodiversità, non si limitano ad una semplice difesa delle singole specie animali o vegetali ma sono sempre più orientate alla tutela degli habitat. Le aree protette pertanto non sono più viste solo come strumenti per la conservazione della natura ma anche come incubatori di sviluppo sostenibile, importanti strumenti di riequilibrio economico e sociale, soprattutto in aree marginali ed economicamente critiche.
Note:
1 Riserve Naturali Orientate Aree in cui l’indirizzo gestionale è volto ad una fruizione controllata e proporzionata alle caratteristiche ambientali dei territori. In tali riserve vengono messe in atto strategie di gestione finalizzate non solo alla conservazione ma anche allo sviluppo delle piene potenzialità naturalistiche dei territori. Inoltre vi sono promossi programmi di educazione naturalistica per favorire forme di turismo compatibile più rispettose e consapevoli nei confronti dell’ambiente.
2 “A CACCIA DI RELITTI” di Ilaria Amore e Maria Ansaldi
3 Le torbiere sono aree umide che ospitano una vegetazione del tutto particolare, ricca di specie proprie degli ambienti paludosi e sono caratterizzate da notevole acidità e scarsità di ossigeno. Queste condizioni permettono la conservazione dei pollini fossili consentendo, con appositi carotaggi, uno studio accurato della flora del passato.