Annuario 2007
Il fiume Versilia si forma dalla confluenza dei torrenti Serra e Vezza, che scendono rispettivamente dalla valle di Azzano e da Stazzema. L’origine del nome «Versilia» …risale all’antico germanico Wesser/wasser = acqua; diventato poi «Vessidia», da cui, nell’alto Medioevo, derivò la forma «Versilia». Il corso d’acqua di Ruosina ha dato effettivamente il nome all’intera regione e specialmente alla zona di Viareggio, con cui in realtà non ha niente a che vedere; anticamente la zona dove adesso sorge era completamente invasa da paludi, così come buona parte del territorio pietrasantino e camaiorese.
Storicamente corrispondeva al «fluvius Vesidia» della «Tabula Peutingeriana», il quale all’altezza di Seravezza si congiunge con il Riomagno (antico nome del Serra) proveniente dal versante sud del Monte Altissimo.
A proposito di Seravezza, è interessante notare che il suo nome non deriva – come si afferma comunemente – dall’accoppiamento dei nomi dei due fiumi Serra e Vezza, ma è vero il contrario. La dominazione longobarda era basata su borghi rurali al cui centro c’era la «Sala» (corrispondente alla latina villa o fattoria), che fu poi trasformata in castello fortificato. Uno di questi antichi borghi era chiamato Sala Vetitia, da cui passò al nome di Sera Vetza. Sembra che un notaio poi, dividendo a metà il nome della cittadina, dette rispettivamente ai due fiumi che ivi confluivano i nomi di Serra e Vezza.
Il corso del fiume Versilia non era in antico quello che vediamo attualmente; scendeva da dove si trova ora Seravezza e si spingeva pigramente nella valle, passando poco a sud-ovest del luogo dove poi sorse la città di Pietrasanta, prendendo in quel tratto il nome di «Sala Versiliae»; e continuava per la pianura fino a sboccare nella foce di Motrone. Si può quindi sostenere che il suo corso sottolineasse in modo perfetto il cuore della Versilia. Ai tempi nostri invece, dopo le bonifiche, il fiume forma una curva ad angolo retto dirigendosi verso nord-ovest; lo sbocco al mare non è più a Marina di Pietrasanta, ma al Cinquale, dove forma una specie di porto-canale.
Per una volta vogliamo dare uno sguardo a quella parte delle Alpi Apuane che i «pionieri» dell’alpinismo apuano attraversarono per arrivare all’attacco degli itinerari. A monte della confluenza abbiamo due belle vallate: più breve e diretta quella del Serra, più articolata e a sua volta ripartita in vari affluenti secondari quella del Vezza. Non è facile capire quale è il corso principale del fiume Vezza: secondo la mia interpretazione, nasce nella conca fra le foci di Petrosciana e delle Porchette, con il nome di Canale Versiglia, a Cardoso riceve le acque del Fosso della Capriola (dalla foce di Valli) e del Deaglio (da Mosceta); a Ponte Stazzemese il nostro fiume riceve da sud due torrenti che si chiamano rispettivamente fosso di Pomezzana e di Ficignana. Discendendo la sua valle boscosa, a Ruosina abbiamo la confluenza del Canale del Giardino; questo per citare solo i principali, ce ne sono altri.
Il fascino della catena apuana consiste in gran parte nel contrasto fra l’asprezza dei versanti rocciosi, la dolcezza delle valli boscose e la vista del mare. Dall’alto, la costa appare come su una carta geografica, da Pisa e Lucca fino alle colline spezzine, passando dal pontile turistico del Forte dei Marmi e dal porto industriale di Carrara. Dal punto di vista geologico, il bacino del fiume Versilia è diviso a metà, infatti, proprio in corrispondenza della foce di Mosceta abbiamo una discontinuità fra i marmi di cui sono costituiti l’Altissimo e il Corchia e il calcare del gruppo Panie – Forato; questo fatto costituisce, secondo me, una fortuna perché ha evitato a queste cime di essere aggredite dalle cave.
Interessante è il reticolo di cavità carsiche del sottosuolo, non solo l’Antro del Corchia – esplorato dai fiorentini – che è stato in parte adattato a grotta turistica, ma anche cavità in cui sono stati trovati resti preistorici. La Grotta all’Onda ai pedi del Matanna, esplorata nel 1914, è molto importante, vi sono state trovate di ossa di orso, iena, leopardo, marmotta, tracce di fuochi, frammenti di ceramica e altri resti dei periodi dal paleolitico al neolitico. Il clima di questo territorio è influenzato dalla vicinanza del mare; l’umidità che viene dal Tirreno penetra in queste valli e sale fino al crinale. In qualsiasi stagione, si possono avere bruschi mutamenti delle condizioni fra un versante rivolto a ovest e quindi esposto all’aria di mare e un versante che non riceve questo influsso.
Cenni storici
E’ ormai certo che i primi stanziamenti umani si siano verificati in queste valli durante il Pliocene. La stirpe Ligure abitò nelle grotte naturali montane o in quelle scavate dal mare (allora il livello marino era molto più elevato di quello attuale), tribù molto primitive ed arretrate, che hanno ignorato i metalli lavorati e sono rimaste per secoli in eccezionale stato di isolamento, finché la civiltà etrusca, che si estese fino a queste terre, cominciò a far sentire un certo influsso che portò all’arte della lavorazione dei metalli. In età susseguente al secolo IV a. C., i Liguri Apuani, premuti dall’invasione gallica, si spostarono verso il mare. Nel 193 a.C. ebbe inizio un conflitto con Roma che terminò nell’anno 180 a. C., quando i consoli Marco Bebio e Publio Cornelio, forti di quattro legioni, costrinsero i Liguri Apuani all’abbandono delle loro terre: quarantamila donne e bambini vennero deportati nel Sannio e furono poi sostituiti da coloni romani provenienti da Luni e da Lucca.
In epoca romana fu bonificata la piana; nel I e II secolo d. C., in seguito allo sfruttamento delle miniere di ferro e di piombo argentifero, aumentarono le possibilità di vita. Nello stesso periodo furono messe in servizio anche alcune cave di marmo. Successivamente, con la decadenza dell’Impero Romano d’Occidente e le incursioni barbariche, la situazione peggiorò fino al 570, quando i Longobardi occuparono il territorio lucchese fino al fiume Versilia e si resero padroni dei “fundi” di origine romana e li raggrupparono in “massariciae” o “Masse”, al cui centro v’era la “Sala”, come già accennato prima.
Nel medioevo la storia del Comune di Seravezza fu caratterizzata dalle guerre contro la nobiltà lucchese. I Visconti di Corvaia e Vallecchia, riconosciuti capi della consorteria versiliese, dopo varie vicissitudini e lotte sanguinose, furono costretti, nel 1198, a giurare fedeltà a Lucca.
Con l’affermazione dei Comuni liberi troviamo il territorio di Seravezza diviso nei Comuni della Cappella e di Pietrasanta; solo nel 1515 Seravezza si costituì in Comune libero. Dalla metà del XVI secolo Seravezza si trovò sottoposta alla giurisdizione della città di Firenze, la quale incentivò lo sfruttamento delle cave di marmo, che in quel periodo raggiunse il massimo livello di attività, tanto da richiamare nella città di Seravezza numerosi scultori in cerca del cosiddetto “bianco statuario”, un calcare bianco privo di impurità. L’attività estrattiva continuò floridamente fino ai primi del 1700, mentre ebbe una grave recessione dalla metà del 1700 all’inizio dell’ottocento. Dopo quel periodo l’attività marmifera riprese notevolmente e nel 1820/40 nacquero anche le prime industrie per la lavorazione del materiale marmifero. La dominazione fiorentina si protrasse fino all’inizio del settecento, quando ai Medici successero i Granduchi Asburgo-Lorena. Nel 1861 tutta la Toscana – e quindi anche la Versilia – votò l’annessione al Regno d’Italia.
L’alta Versilia è stata attraversata dal fronte della guerra di liberazione del 1944 e fu teatro delle scorribande dei tedeschi e degli eccidi, cui il più grave fu quello di Sant’Anna. La formazione partigiana «Cacciatori delle Apuane» nacque in Alta Versilia per iniziativa del sottoten. G. Lombardi di Ruosina, poi caduto il 21 aprile ‘44; fu poi comandata dal sottoten. M. Garosi, anch’egli caduto il 13 giugno. Si aggregarono nuove formazioni, ci furono altre suddivisioni; la brigata prese il nome «Garibaldi – Gino Lombardi» e la zona di operazioni fu fra il monte Pedone, il monte Prana e la Foce di San Rocchino, in collegamento con gli antinazisti del versante massese e con gli Alleati. In questo periodo Seravezza era il terminale di un «sentiero di fuga» dalle zone sottoposte all’occupazione tedesca; oltre 2.000 civili, partendo da Antona, che era oltre la Linea Gotica, salendo al Passo della Focoraccia (sul crinale dell’Altissimo) e giù verso Azzano, furono condotti dai partigiani nell’Italia liberata. In Apuane e Garfagnana i combattimenti durarono fino all’aprile 1945 e dopo la liberazione della regione, la brigata versiliese avanzò verso Milano con gli inglesi. È sorprendente notare che, una volta superata la Linea Gotica, nel giro di pochi giorni fu liberata tutta l’Italia settentrionale. Un altro momento difficile per l’alta Versilia fu il 19 giugno 1996, quando fu pesantemente danneggiata dall’alluvione: per un evento meteorologico eccezionale, Ruosina e Seravezza furono alluvionate e Cardoso fu praticamente distrutto.
Michelangiolo
Il grande artista è legato alla Versilia e alle Apuane dal marmo bianco cosiddetto «statuario». Non può mancare un cenno ai tre anni in cui Michelangiolo soggiornò in Versilia. Il papa Leone X (della famiglia dei Medici) decise nel 1515 di indire un concorso per la facciata incompiuta della chiesa di San Lorenzo, mausoleo della famiglia. Al concorso parteciparono anche Giuliano da Sangallo, Raffaello, Andrea e Jacopo Sansovino, e nel 1517 fu proclamato vincitore Michelangiolo; il suo progetto prevedeva una struttura a «nartece» con un prospetto rettangolare, scandito da potenti membrature animate da statue in marmo, bronzo e da rilievi. Rientrò quindi a Firenze, dato che si trovava a Carrara per scegliere i marmi per la tomba del papa Giulio II su incarico degli eredi.
Allora Michelangiolo andò a Seravezza per acquistare il marmo da utilizzare nella costruzione. Durante la sua permanenza triennale, progettò e fece costruire la strada che ancora adesso collega le cave al paese e quindi verso il mare. Il lavoro però procedette a rilento, Michelangiolo era scontento della scelta del papa di servirsi dei più economici marmi di Azzano piuttosto che quelli di Carrara. Nel marzo 1520 il contratto fu rescisso, per la difficoltà dell’impresa e i costi elevati. Come tutti i fiorentini sanno, la facciata di San Lorenzo è tuttora incompiuta e Michelangiolo riprese in pieno la sua immensa attività. Nato a Caprese da famiglia fiorentina il 6 marzo 1475, pittore, scultore, architetto e anche poeta, figura di primissimo piano del Rinascimento italiano, morì a Roma il 18 febbraio 1564.
La gente di Stazzema e di Seravezza
Nel 1821 si decise di riattivare e potenziare l’escavazione del marmo dove tre secoli prima Michelangiolo aveva «scoperto» il marmo statuario, si riaprì la strada che conduceva ai piedi del Monte Altissimo. Le crescenti possibilità di occupazione e il movimento di capitale modificarono profondamente lo stile di vita dei seravezzini, che divennero dei gran signori. Il territorio di Seravezza e di Stazzema è vasto e mutevole, costellato da tanti piccoli paesi che un tempo erano comunità ben distinte, ognuno con la sua storia e le sue tradizioni. Difficile ricongiungere in un solo carattere, in un solo atteggiamento verso la vita, gli
abitanti di Querceta (vicini al mare) con quelli di Pomezzana o di Cardoso (vicini alla montagna). Non è un caso che il Palio dei Micci sia sorto proprio qui, favorito dal tipico spirito campanilistico di queste popolazioni. Proprio questo campanilismo – specialmente per quanto riguarda i paesi più vicini, Pomezzana contro Stazzema, Pruno contro Volegno – ha però favorito lo spirito comunitario delle contrade, la solidarietà e la consapevolezza che l’unione fa la forza, e reso gli abitanti gentili e disponibili all’ospitalità.
La valle del Serra
Breve il percorso del torrente Serra, che punta dritto a sud, nascendo a circa 600 m di quota, dalla località La Polla, in cui una gran quantità di acqua chiara sgorga praticamente dai ravaneti delle cave soprastanti. Gli affluenti sono diversi, ma nessuno è notevole, sono dei ruscelli sassosi. La strada sale dal fondovalle verso il versante meridionale dell’Altissimo, che avvicinandosi appare sempre più imponente; è stata tracciata nel 1518 dallo stesso Michelangiolo, per il trasporto dei marmi ricavati dalle cave Vincarella. Abbiamo alcuni piccoli e caratteristici borghi, Azzano è il principale, gli altri sono Riomagno in basso, Cappella e Giustagnana sulla sinistra idrografica. Alla Cappella, minacciata dalle sottostanti cave che rischiano di farla crollare, c’è una bella chiesa in posizione panoramica, del 15° secolo, con un bel rosone detto l’occhio di Michelangiolo. Minazzana si trova praticamente sullo spartiacque col Canale del Giardino.
La valle del Vezza
Uscendo dall’abitato di Seravezza lungo la valle boscosa, si costeggiano diverse segherie, vecchie cave e ravaneti, miniere e fonderie in disuso. Si entra nel paese di Ruosina, alla confluenza del Canale del Giardino che a sua volta raccoglie le acque di due impluvi: la valle proveniente direttamente dal Colle Cipollaio e quella dal Passo dell’Alpino. I torrenti di questa valle sono denominati in diversi modi: il canale delle Lame e il canale delle Volte nei pressi di Levigliani si uniscono nel canale del Bosco.
Ruosina nei secoli XVII e XVIII è stato il fulcro della lavorazione del ferro nella zona. Dalla fine del 1700, il borgo è stato il centro principale del comune di Stazzema: sede municipale, qui erano l’ufficio postale, la farmacia, il notaio, il medico; tutto questo fino al 1883, anno in cui la sede municipale fu trasferita a monte e iniziò un lento ma progressivo declino.
Terrinca è il paese più antico della Versilia, le prime testimonianze scritte risalgono all’anno 766, epoca della dominazione longobarda. In seguito diviene comune autonomo (1376), passando poi sotto il dominio di varie casate e famiglie: i Medici, la Francia, Lucca, fino a divenire una frazione del comune di Stazzema. Sono da ammirare oltre a numerosi stemmi e portali medicei, lapidi e rilievi marmorei di varie epoche (romaniche, del 1600, del 1700 ecc.); bella anche la chiesa. Levigliani, sovrastato dalle cave del Corchia, è località turistica, favorita dalle caratteristiche del paesaggio. Oltre all’Antro del Corchia, alle cave, si possono visitare antiche miniere.
Cardoso fu devastato dall’alluvione del 1996, quando si verificò una pioggia eccezionale – nacque allora la definizione di «bomba d’acqua». Vicinissimo è Malinventre cioè «mal di pancia», che in alcune cartine è denominato Valliventre. Pruno e Volegno sono due borghi vicini, praticamente gemelli, nei boschi sullo stesso versante della valle di Cardoso. Camminando da Pruno in direzione Passo dell’Alpino, si incontra in località Le Colline un gruppo di vecchie case, una di queste era il vecchio rifugio dove si fermavano gli alpinisti diretti alla Pania della Croce. C’è anche, in zona, il rifugio della Fania, ancora attivo, è di un’associazione di Pietrasanta che lo apre per soggiorni, si trova in mezzo agli oliveti. Ma il «rifugio» più interessante di questo versante è sicuramente Collemezzana e la storia di queste tre case e del «nonno» delle Apuane meriterebbe un articolo a parte. Fino al 1945 a Collemezzana, zona non boschiva come ora ma coltivata a grano e patate, viveva con la sua famiglia una persona di squisita ospitalità, Angiolo Bartolucci detto il «nonno», che aveva sempre da offrire alloggio a chiunque passasse da quelle parti, tanto che la sua casa divenne un rifugio “ante litteram” per chi era diretto verso la Pania, come il professor Del Freo di Viareggio. Bartolucci fu ucciso il 10 aprile 1945, mentre, a 74 anni, accompagnava una pattuglia americana verso la Pania, pur non essendo strettamente affiliato alla Resistenza.
Ponte Stazzemese è la sede del municipio di Stazzema, l’unica cosa notevole qui è la vista della Pania e dell’arco del Forato; la strada sale in una valle di castagneti verso il capoluogo, grosso paese con vista sul Procinto e sul Nona, in cui non si può girare in auto ma a piedi. A Stazzema la chiesa del 12° secolo, Pieve di S. Maria Assunta, si trova in una bella posizione, all’ingresso della cittadina. In paese si organizzano sagre per i residenti e i turisti.
Pomezzana e Farnocchia si trovano, a circa 600 m di quota, nei boschi sui due versanti opposti della valle di destra del Canale delle Mulina, ognuno con la sua chiesa parrocchiale da visitare per le opere in marmo. Farnocchia è il secondo più antico insediamento della Versilia e risale almeno al 789.
Invece Sant’Anna di Stazzema, la frazione del famigerato eccidio del 12 agosto 1944, si trova oltre il territorio di cui trattiamo, nel versante camaiorese del monte Gabberi. Dal punto di vista amministrativo fa parte del comune di Stazzema, così come la frazione di Arni, che si trova oltre il crinale nel bacino della Turrite Secca.
Da visitare
In Seravezza si può visitare la chiesa di dei santi Lorenzo e Barbara, del 15° secolo, l’oratorio della SS. Annunziata e il Palazzo Mediceo. Il Duomo fu edificato nel 1422 su un preesistente edificio religioso, come dimostra un’iscrizione gotica collocata all’interno del suo campanile. Gli interni di SS. Lorenzo e Barbara sono impreziositi da numerose opere in marmo, del 16° secolo.
Il castello dei Visconti di Corvaia è stato raso al suolo.
Il Palazzo Mediceo di Seravezza fu edificato per volontà di Cosimo I Medici, Duca di Firenze e di Siena, tra il 1561 e il 1565, nel periodo di grande impulso all’estrazione dei marmi. Si tratta di una «villa fortezza» con un grande cortile con pozzo al centro; la progettazione è attribuita a Bernardo Buontalenti, autore di alcune tra le più importanti ville medicee in Toscana. Sorge ai margini di Seravezza, sulla sponda sinistra del fiume: vi soggiornarono, a più riprese, Cosimo I e i figli e i successori Francesco I e Ferdinando I. Con l’Unità d’Italia, il palazzo divenne municipio, e conservò questa funzione per un secolo fino al 1966, anno in cui furono avviati i lavori di restauro e la casa comunale fu trasferita in centro. Oggi il Palazzo Mediceo é sede oltre che del museo, della biblioteca comunale, dell’archivio storico e di importanti esposizioni di arte moderna e contemporanea. Istituito dal consiglio comunale nel 1980, frutto di un ampio lavoro di ricerca, organizzato secondo moderni criteri scientifici e didattici, il museo fornisce ampie informazioni sulle attività produttive della Versilia Medicea.
Le «nostre» montagne
La quota più alta che il bacino imbrifero del fiume Versilia raggiunge sono i 1870 m della Pania della Croce; mentre la Pania Secca e il Pizzo delle Saette fanno parte della valle della Turrite. Molte altre vette fanno da spartiacque: l’Altissimo con tutto il suo crinale dal monte Folgorito al Cavallo di Azzano, Corchia, Forato, Croce, Procinto, Nona, Matanna, che fanno parte della cultura montana
di noi fiorentini. Alcune altre cime secondarie, come il Monte Alto e Sullioni, sono comprese all’interno di questa zona; e per chiudere, le colline verdi che si vedono dalla costa camaiorese, il Gabberi e il Lieto, cime minori ma pur sempre «mille-metri» con le loro palestre di arrampicata.
Perdonerete se, nello scorrere queste righe, vi sembrerà di averle già lette da qualche parte; infatti, non mi sono inventato niente e ho saccheggiato da più parti: alcune pagine della Guida delle Alpi Apuane di Montagna-Nerli-Sabba-dini, articoli su riviste varie, pagine web del comune di Seravezza, di altre località versiliesi e dell’Ente Turistico, eccetera.