“La Valle delle Pozze” di Roberto Masoni

Annuario 2007

Galleria di foto di Abetone e dintorni

Confesso che quando, in redazione, ho buttata lì la proposta “Valli di Toscana” come argomento di questo Annuario, son stato il primo a rimanere spiazzato. Siamo rimasti tutti silenziosi qualche lungo secondo … poi, digerito il primo impatto, si è fatta strada la convinzione, credo in tutti noi, che … sì, parlare di valli poteva essere un buon argomento, anche se non sarebbe sicuramente bastato rimboccarsi le maniche.

Eppure c’era un mondo da scoprire, per tanti versi affascinante. Il primo pensiero, scontato, che mi è venuto in mente dopo un momento d’incertezza, è stato quello di scrivere di una valle Apuana ma … superati i problemi di cuore, è prevalsa la convinzione che la valle che meglio conosco è la Val di Pozze. Molti, soprattutto i più giovani, si chiederanno dov’è la Val di Pozze. Sveliamo quindi subito l’arcano dicendo che con il nome, più propriamente detto, di Valle delle Pozze s’intende l’odierna e ben più conosciuta Val di Luce. A dire il vero si tratta di valle affatto estesa né particolarmente esclusiva eppure frequentata, come vedremo, fin dalle invasioni barbariche ed oggetto di un interesse sorto, anche in epoche storiche ben diverse, soprattutto per la sua determinante posizione strategica. Vale la pena ricordare come Valle delle Pozze non sia nemmeno il suo nome originario.

Era, infatti, conosciuta fin dall’antichità, almeno fin tutto il XVII secolo, come Valle del Rio Piagnose, piccolo fiumiciattolo di non molta importanza che scorre al centro della valle. Regno indiscusso di tagliaboschi e pastori la Val di Pozze deve il suo nome, com’è immaginabile, alla notevole ricchezza d’acqua del suolo grazie alla quale si sono creati e si creano laghi, laghetti, “pozze” appunto. Ma vediamo, senza indugi, perché l’odierna Val di Luce ricopre un ruolo così importante. Facciamo allora un passo indietro iniziando dal dire che la prima presenza di un certo rilievo collegata alla Val di Pozze è quella di Annibale. Sì … proprio lui il grande condottiero. Stiamo parlando di un periodo storico molto lontano nel tempo, intorno al 200 a.C. e siamo nel contesto della Seconda Guerra Punica, guerra scatenatasi fra Roma e Cartagine per il dominio del Mediterraneo. Se la Prima si era contraddistinta e combattuta soprattutto in mare, questa Seconda Guerra Punica si differenzia per lo spostamento di grandi masse militari coadiuvate nel trasporto di armi da una moltitudine di elefanti. Annibale, stupefacente cartaginese che meriterebbe più spazio, sbarca in continente convinto del fatto, come poi verificatosi, che gli abitanti della Spagna (Iberia al tempo) risulteranno potenzialmente essere un buon serbatoio di uomini da addestrare per il suo esercito già composto da truppe libiche e fenici.

Verso il Passo d'Annibale

Supera epicamente la barriera delle Alpi, il primo e forse maggior ostacolo che gli si pre-sentava davanti, e scende fulmineo nella pianura padana pren-dendo di sorpresa i Romani che si trovano così costretti ad una improvvisata difesa. Il successo dell’iniziativa strategica di Annibale consente alle sue truppe di conquistare vaste aree di territorio grazie anche alla complicità di comunità in guerra, o quanto meno in discordia con Roma. Il primo obiettivo era quindi raggiunto: sconfiggere le armate romane della pianura con l’intento di costringere Roma ad accettare le proprie condizioni di pace, cosa che non sarà, tuttavia, sufficiente a piegarne l’orgoglio. Annibale capisce che per imporsi è necessario piegare la volontà di Roma spingendosi ancora più a sud. Giunge ai piedi dell’Appennino dove sembra gli rimanesse un solo elefante ma può ancora contare su circa 50.000 uomini, per lo più Galli aggiuntisi ai superstiti del passaggio delle Alpi. E’ esattamente l’anno 217 a.C.

Qui il discorso si fa più complesso poiché diminuiscono le certezze storiche: dov’è che Annibale valica l’Appennino? Per dovere di cronaca dirò che molti storici, la maggior parte, ritengono che l’abbia attraversato in prossimità del Valico di Porta Collina, poco oltre Porretta. Qualcuno, magari dotato di una buona dose di sentimentalismo, pensa tuttavia che il valico più agevole per superare l’Appennino lo abbia trovato proprio alla testa dell’attuale Val di Luce: quel Passo di Annibale che tutti noi conosciamo. Tutta l’area, in modo particolare il Frignano (1) ricorda, d’altronde, la memoria e la presenza di Annibale: non solo Passo quindi ma anche Ponte di Annibale, Campi di Annibale, via d’Annibale. Se davvero superò l’Appennino dalla Val di Pozze non possiamo che rimanere affascinati di fronte all’intuito di Annibale. Diciamo anche che tutta l’area del Frignano era già abitata e già in epoca romana era attraversata da alcune strade di valico che, tuttavia, e proprio a causa delle invasioni barbariche, andarono perse. Immaginatevi allora per un attimo una Val di Luce senza alcuna strada, dal terreno acquitrinoso (il Gore-Tex non esisteva ancora), bosco fitto. Immaginatevi di condurre un elefante fino all’odierno parcheggio delle auto e trovarsi di fronte una barriera montuosa che, visti i tempi, non doveva apparire poi così banale. Fatto sta che il suo intuito gli permise di superare l’ostacolo e scendere verso sud, verso Foce a Giovo (o “di” Giovo) in direzione dell’attuale Rifugio Casentini.

Chiudiamo qui questa storia (2) e facciamo allora un breve intervallo storico approfittandone per parlare di questa barriera, dominata dall’Alpe delle Tre Potenze, che sorge alla testata della valle; una valle a forma di U, decisamente di origine glaciale, che inizia in coincidenza del ponte Picchiasassi, in prossimità dell’attuale Faidello, e prosegue fino al Pian d’Asprella (3), l’attuale piazzale che fungeva da parcheggio per coloro che si recavano fino ad oggi in Val di Pozze (sarà parcheggio anche nel prossimo futuro? Ne parliamo più avanti … ). Poco sopra il Pian d’Asprella troviamo il Lago Piatto (così ovviamente chiamato per la bassa profondità) e quindi lo sperone roccioso dell’Alpe delle Tre Potenze. Contrariamente quanto molti possono pensare, il toponimo di Tre Potenze non si riferisce ad elementi rocciosi o comunque morfologici ma al fatto che tale cima segnava, in tempi remoti sì ma non eccessivamente, il confine fra tre Stati (tre “Potenze” appunto) coincidenti con le tre valli confinanti e cioè Valle del Sestaione (Granducato di Toscana), Valle delle Pozze (Ducato di Modena) e Valle della Fegana (Ducato di Lucca).

Dalla cima delle Tre Potenze il crinale prosegue da un lato verso l’Alpe della Fariola e il Monte Gomito, dall’altro verso il Monte Femminamorta e il Passo d’Annibale. Vicino alle Tre Potenze, i Denti della Vecchia, croce e delizia delle nostre escursioni, ed il ben noto passo, luogo di transito della storica “Via dei Remi”. Cosa c’entrino i “remi” con la Val di Pozze lo vedremo fra poco … Ho già parlato di Granducato di Toscana. Esaurito quindi il discorso sulla discesa di Annibale, facciamo allora un salto sino ai primi anni del 1700. E’, infatti, nel

Gian Gastone

1732 che il Granduca di Toscana, il controverso Gian Gastone de’ Medici (4), da il via al progetto di una strada car-rabile che doveva congiungere Pistoia e Modena, strada di cui i due Ducati avevano un gran bisogno e che, parliamoci chiaro, era anche un’esigenza militare. Fino allora l’Appen-nino era valicato da mulattiere, sentieri buoni per i pastori oppure viottoli che valicavano il già citato Passo di Annibale o quello della Fariola ma niente che potesse assomigliare a una strada vera e propria. Fu perciò allargata la mulattiera fra Pistoia e San Marcello e quindi, usando migliaia di sassi, fu progettata una linea di comu-nicazione attraverso il Passo di Serra Bassa che tagliava l’Appennino a metà fra il Monte Gomito e il Monte Maiori per proseguire in direzione di Pieve Pelago.

Alla morte di Gian Gastone dei Medici, nel 1737, la costruenda strada non va oltre Capostrada, praticamente in coincidenza con l’attuale termine della tangenziale di Pistoia. Il governo del Granducato passa alla dinastia degli Asburgo-Lorena, a Gian Gastone succede prima Francesco Stefano di Lorena e quindi Pietro Leopoldo (5). E’ a quest’ultimo che si deve l’ultimazione della via Modenese (o Regia Lorenese) lungo il cui tracciato furono realizzate delle formidabili infrastrutture, visti i tempi, quali i ponti sulla Lima e sul Sestaione che lo stesso Repetti definisce “solidi e magnifici”. Opere importanti, soprattutto nel tratto Lima-Abetone, che vanno interpretate fra il razionalismo del periodo illuminista ed il severo gusto estetico del neoclassicismo e che non interessano solo il passo di valico ma che contribuiscono anche allo sviluppo di grandi opere murarie e di sostegno, grandi complessi, spesso destinati ad un uso postale, come quello delle Piastre, di San Marcello, di Pianosinatico e dello stesso Boscolungo (6). E’ durante questi lavori che un grande abete (si dice non bastassero sei persone a braccia aperte per circondarlo) ostruisce la costruenda strada tanto da doverlo abbattere ed essere causa del cambio di nome che avrebbe modificato il vecchio Passo di Serra Bassa in Passo dell’Abetone.

Era ovvio che la nuova strada avrebbe avuto anche una notevole importanza economica tanto da rendere necessaria la costruzione di ostelli, dogane, osterie, poste per i cavalli ed è in quest’ottica che nasce, infatti, nelle vicinanze del passo, circa un chilometro prima dell’attuale piazzale al culmine della statale, un primo nucleo abitato che prenderà nome di Boscolungo, tutt’oggi frazione di Abetone (7). E’ anche vero che questo tracciato fu architettato allo scopo di consentire il passaggio di truppe dalla Lombardia alla Toscana evitando così le gabelle ed i controlli richiesti dallo Stato Pontificio. Con l’apertura della Strada Regia Modenese si manifestano tuttavia due distinti fenomeni: da un lato tutta la foresta circostante l’Abetone diviene rifugio di fuggiaschi di ogni genere che trovano pratici rifugi in questi boschi dell’Appennino, dall’altro non solo sorgono fabbriche e locande ma s’incrementa anche l’insediamento d’intere famiglie di contadini che, grazie alla concessione di terreni per costruirvici la casa, divengono una forza lavoro non indifferente per il mantenimento della strada. A sigillo della costruzione della strada (il valico fu aperto intorno al 1780) furono poste due piramidi, disegnate dallo Ximenes, e costruite da maestranze toscane in pietra locale (pietra che contraddistingue un gran numero di edifici della zona) che segnavano la linea di confine fra il Granducato di Toscana e il Ducato di Modena. Sulle piramidi, le insegne dei due stati di appartenenza e i vessilli dei loro sovrani. Torniamo alla Val di Pozze. Ho già accennato al fatto come la costruzione della via Modenese fosse un’esigenza non solo economica ma anche militare ed è, perciò, in questo contesto che s’inserisce, più o meno fra il XVI ed il XVII secolo, anche la costruzione della “via dei Remi”. Vediamo perché. Il Granducato di Toscana aveva forte necessità di legno per costruire remi per le proprie navi, remi che dovevano avere una lunghezza di circa 10/12 metri, che avessero notevoli capacità elastiche e, soprattutto, fossero i più dritti possibili. Gli abeti che crescevano nei fitti boschi intorno all’Abetone e Cutigliano avevano tutti questi requisiti. Si trattava ora di trasportarli, pensate un po’ … fino all’Arsenale Militare di Pisa. Come fare allora?

La soluzione fu trovata nell’acqua dei fiumi e l’unico fiume che avesse portata e letto sufficiente a questo scopo era il Serchio che, oltretutto, dopo aver disceso tutta la Garfagnana sfocia nel Tirreno non molto lontano da Pisa. Dalla certezza di ciò ai fatti non passò molto tempo. Chiesto al Governo Estense il permesso di sconfinare in Garfagnana, poiché, di fatto, la valle rientrava nel suo dominio, si dette il via al trasporto degli abeti tagliati. Come ci ricorda Aldo Innocenti sul sito dell’Ursea, i tronchi erano trasportati fino nell’alta Valle del Sestaione per essere poi faticosamente issati, più o meno all’altezza del Lago Nero, fino

Il Lago Piatto

al Passo della Vecchia. Si scendeva quindi al Lago Piatto e da qui fino al Passo di Annibale per poi discendere a Foce a Giovo, Lago Baccio, ri-salire il Passetto (a nord-est del Monte Rondinaio) e finalmente scendere di nuovo fino a Coreglia e quindi al Serchio. In un secondo tempo parte di questo itinerario fu modificato e da Foce a Giovo fu scelto di scendere direttamente fino al pianoro posto sotto al Lago Santo (non a caso chiamato Pian dei Remi) e da qui, risalito il Valico di Boccaia (fra Monte Giovo e La Nuda), si arrivava fino a Colle Bruciata da dove si raggiungeva Barga (dove i remi erano immagazzinati in un capannone) e quindi il Serchio. E’ una storia di altri tempi il cui unico senso, la cui chiave di lettura, non può che risiedere nel tentativo di supremazia territoriale fra “Potenze” anche se a discapito della logica, o perlomeno di quella cui oggi siamo abituati. Della via dei Remi rimangono ancora tracce di massicciata, resti di un’opera smisurata eppure valida se solo consideriamo che è stata utilizzata per un periodo molto lungo, circa 150 anni. Siamo ormai alle soglie del nuovo secolo.

E’, infatti, nei primi anni dell’800 che Maria Luisa di Borbone (Duchessa di Lucca) e Francesco IV (Arciduca di Modena), si accordano per collegare i due Stati senza interferire con i territori del Granducato di Toscana. Nel 1819 si da quindi il via ai lavori di quella strada, che sarà ultimata in pochi anni, e che prenderà il nome di “Strada del Duca” (o “della Duchessa”). Dirò subito che la strada del Duca è una delle più audaci opere stradali dell’epoca. Costata più di un milione di lire lucchesi (esattamente 1.172.390), cifra assolutamente notevole per i tempi, non ebbe mai la fortuna, tuttavia, di rivelarsi una strada agibile. Causa di ciò fu soprattutto il fatto che il valico di Foce a Giovo era, ed è, uno dei passi più alti di tutta la catena appenninica in oggetto e ciò rese la strada transitabile solo pochi mesi all’anno a causa dei forti innevamenti tanto da essere, oggi, uno dei percorsi più ricercati per lo sci di fondo escursionistico. Ciò non toglie che era una strada di rara bellezza soprattutto per il fascino dei luoghi ove era stata costruita. Inizia, infatti, da Ca’ Coppi per portarsi, dopo aver superato il ponte sul Rio delle Pozze (quello che abbiamo prima chiamato Rio Piagnose) e dopo un tratto decisamente in salita, nella Valle delle Tagliole. Si tiene alta su questa valle tagliando il Balzo delle Rose per poi portarsi fino alla Foce a Giovo. Partiti da quota 1.357 si raggiunge quota 1.674 metri. Non un grande dislivello quindi eppure lungo, impegnativo se affrontato in condizioni particolari. Conclusi i lavori nel 1824 la strada fu subito penalizzata da onerosi costi di manutenzione e dalla concorrenza di altri itinerari di valico, motivi che in breve causarono l’abbandono della strada a se stessa. Stessa sorte toccò ai due principali promotori della strada e cioè la Duchessa Maria Luisa di Borbone e

Via del Duca poco sopra Ca' Coppi

Francesco IV. Si dice, infatti, che la strada sia stata la prima ed unica occasione nella quale i due promessi sposi si sarebbero incontrati. E poiché grazie a questo incontro Maria Luisa si rese conto di quanto fosse anziano il Duca di Modena, narra la leggenda di un curioso siparietto scatenato dal-la delusa Duchessa a causa dei folti capelli bianchi del Duca tanto da apostrofarlo dicendogli “Ai monti nevica ”. Francesco IV non si fece pregare, se non altro per una questione di dignità, e le rispose “Se ai monti nevica, è bene che le vacche tornino al piano”. Si concluse così drasticamente una promessa di matrimonio mai onorata (8). La fine dell’800 segna un periodo di crisi per tutta l’area abetonese.

L’unità d’Italia porta subito un effetto negativo in termini economici, l’abolizione dei confini e quindi delle dogane toglie alla via modenese la principale prerogativa di risorsa economica aggravata dal fatto che nel 1863 è inaugurata la Ferrovia Porrettana. La viabilità ne risente a tal punto che nell’area delle Pozze e dintorni si torna agli antichi mestieri di boscaiolo e alla produzione di carbone. Con i primi del‘900 tuttavia si affacciano timidamente in zona i primi sciatori, gli antesignani di ciò che, negli anni, è divenuta la principale risorsa di tutta la zona. Non c’è traccia di episodi storici che abbiano un certo rilievo per la Val di Pozze fino ai primi anni del 1900. Nel 1935 il re d’Italia Vittorio Emanuele III istituisce il Comune di Abetone il cui territorio, di 32 Kmq ca., nasce dallo scorporo dei vicini comuni di Cutigliano e Fiumalbo (9). Siamo già in periodo fascista, l’Ing. Lapo Farinati diviene il primo Podestà (10) del nuovo Comune e, come primo atto della sua presenza, acquista buona parte del territorio della Val di Pozze. Farinati ha in testa un progetto grandioso, costruire un centro turistico che interessi tutta la valle. Il progetto prevedeva la costruzione di un grande albergo con svariate “dependances”, piste e naturalmente relativi impianti di risalita, una pista per il pattinaggio su ghiaccio. Il progetto non si ferma qui, Farinati

Albergo Farinati

inserisce nel progetto anche un ippodromo ed un circuito automobilistico. Soprattutto modifica il nome di Val di Pozze in Val di Luce prevedendo sulla cima delle Tre Potenze la costruzione di un enorme faro che illuminasse a giorno tutta la testata della valle. Un progetto faraonico quindi. Sfortunatamente scoppia la Seconda Guerra Mondiale che fortunatamente fa arenare il progetto che, a causa di ciò, non vide mai conclusione. Del grandioso disegno originario ci rimane soltanto l’Albergo Farinati, appunto, e poco altro. E’ una costruzione imponente, nello stile del periodo, interamente in pietra locale dalla pianta rettangolare ad eccezione di un lato che somiglia ad un abside che richiama alla memoria la sagoma di una nave. Rimasto per molti anni in totale abbandono, l’Albergo Farinati è stato in parte ristrutturato di recente.

Alcuni dei più bei ricordi della mia fanciullezza sono legati a questa costruzione. Molti di Voi ricorderanno come, all’incirca a metà degli anni ‘60, fosse attiva un’associazione chiamata “i pionieri della Val di Luce” della quale faceva parte un mio cugino, progettista e costruttore di una grande slitta che ci serviva, d’inverno ovviamente, a portare dentro le viscere dell’albergo tutto l’occorrente per il fine settimana. Eravamo una bella compagnia e, sommariamente, immodificabile: cugini, qualche amico ed una mascotte, il sottoscritto. Montavamo la tenda proprio nel “Farinati”, come lo chiamavamo, e dopo nottate, estremamente scomode ma in totale allegria, ci muovevamo la mattina verso le Tre Potenze, verso Foce a Giovo,verso le nostre mete classiche. Niente di che, solo avventura allo stato puro. Di alpinismo e sci alpinismo non ne sapevamo praticamente niente, tantomeno avevamo materiali adeguati. Abbiamo avuto molta fortuna. Concludo velocemente con un breve accenno ai fatti che caratterizzarono il passaggio del fronte durante la Seconda Guerra Mondiale e che interessarono, evidentemente, anche la Valle delle Pozze. Dirò sinteticamente, per quanto anche questo argomento meriterebbe maggiore sviluppo, che tutta la regione appenninica in questione fu trascinata, soprattutto a causa del passaggio della Linea Gotica, in un conflitto di cui, ancora oggi, ne vediamo le ferite. Una linea di difesa che interessava un pò tutti i centri abitati della montagna pistoiese lungo un asse che partendo da Piteglio proseguiva verso il Passo dell’Oppio e quindi Maresca, Gavinana, Campotizzoro, San Marcello Pistoiese. E’ proprio a San Marcello e nei suoi immediati dintorni che la lotta partigiana ebbe un ruolo determinante in quel processo di liberazione che riguarda il territorio di cui parliamo. Fra i maggiori interessi della Todt anche quello per l’area industriale della SMI (Società Metallurgica Italiana), in località Campotizzoro, riconvertita durante il conflitto mondiale alla produzione bellica. Proprio sopra San Marcello, in coincidenza con Lizzano, Cutigliano, Pianosinatico si ebbe il vero e proprio spartiacque fra i due schieramenti in guerra; Corno alle Scale, Doganaccia, Libro Aperto, Monte Gomito divennero tragici campi di battaglia.

La ritirata delle truppe tedesche causò, come purtroppo in altri luoghi, feroci repressioni, eccidi e distruzioni. In Val di Luce rimangono sparse qua e là, anche se, il più delle volte, di difficile individuazione, alcune tracce del passaggio della Linea Gotica; per lo più fortificazioni e linee di demarcazione. Fra tali testimonianze, rimane la più evidente il piccolo edificio situato proprio sul Passo di Annibale oggi nel più completo e vergognoso degrado. L’attività legata agli sport invernali inizia in Val di Luce proprio con Lapo Farinati, quindi negli anni ’30 (11), anche se, a ben vedere, i primi sciatori vi giunsero intorno ai primi anni del ‘900. La valorizzazione di tutto il comprensorio sciistico inizia proprio grazie a nostri consoci del CAI Firenze, facenti parte di quel gruppo storico denominato “Skiatori”, che negli anni subito seguenti la seconda guerra mondiale dettero il via alla realizzazione della prima pista da sci abetonese, la Stucchi. Ma la vera e propria valorizzazione del comprensorio nasce in coincidenza con i successi ottenuti dai grandi campioni abetonesi che tutti noi conosciamo: Colò, Seghi, Chierroni, Coppi, Milanti. Il passo per giungere ai giorni nostri è breve. Il nostro Consocio Andrea Bafile è autore di un libretto, che consiglio vivamente di leggere, ove è riportata tutta la storia degli impianti di risalita della zona.

LA SENTIERISTICA

L’area escursionistica della Val di Luce è tutta nel circolo glaciale della testata. Consiglio con particolare convinzione l ’ itinerario di cresta (00) sia in un senso che nell’altro magari abbinandolo con la salita al Passo di Annibale dal Pian dell’Asprella o al Monte Gomito (501) da Faidello-Pulicchio. Per la tranquillità di molti consiglio vivamente un kit di sicurezza per l’itinerario fra i Denti munito di corda fissa metallica nel tratto in discesa dal primo dente fino all’intaglio con il secondo. Piacevole anche il sentiero di cresta (515) che delimita i versanti del Balzo delle Rose passando per il Passo dei Rombicetti. Fra le escursioni più gettonate, naturalmente la “via del Duca” (chiamata anche via della Foce). Parte proprio dalla Val di Luce in coincidenza con Ca’ Coppi e, da qui, con ampie e comode tornate raggiunge, immersa in uno splendido bosco, il luogo definito Ramisecchi. Quindi, tagliando alta la Valle delle Tagliole, giunge a Foce a Giovo. Da qui, volendo, si può scendere al Rifugio Casentini, collegarsi con il Lago Santo Modenese, Lago Turchino o risalire il Passo di Annibale e collegarsi con gli altri due itinerari descritti in precedenza.

L ’ ALPINISMO

La Val di Luce non ha particolari velleità alpinistiche, tantomeno di roccia. L’unica attrattiva rimane, nel periodo invernale, il canale Ovest all’anticima del Monte Gomito. La via sale il grande conoide fino ad un naturale restringimento con pendenza max di circa 50°. Si superano alcune fasce rocciose con passaggi di misto intorno ai 60°/70° fino all’incassato canale finale (55°) da cui si esce sull’anticima. Oltre a questo canale rimangono attraenti anche gli altri itinerari classici, sempre in versione invernale, dei Denti della Vecchia e delle Tre Potenze.

LA TUTELA AMBIENTALE

La fortuna di possedere un modesto punto di appoggio proprio in Val di Luce me ne permette la frequentazione in ogni periodo dell’anno. Proprio il fatto di frequentarla molto spesso, in lungo e in largo, mi stimola alcune riflessioni, personali beninteso, sulla salvaguardia ambientale che un’area come la Val di Luce richiede. Meglio richiederebbe. La prima cosa a balzare all’occhio appena arrivati al Pian dell’Asprella è il grande impegno edilizio che caratterizza il luogo. Non è mia intenzione fare del radicalismo ambientale, certo è che gli evidenti interessi immobiliari e turistici creano un forte impatto visivo soprattutto in coloro che, come me, hanno conosciuto una Val di Luce diversa. Sicuramente il comprensorio sta cambiando volto e non voglio strumentalmente dire in senso negativo; si è attuato un forte rimodernamento degli impianti, si è dato loro nuove strutture e si è migliorata l’accoglienza turistica sotto l’ottica dei servizi. L’unico timore è che questo grande impulso edilizio sia solo una punta dell’iceberg che vede l’obiettivo finale di trasformare tutta l’area, peraltro a cavallo di un Parco, penalizzando l’am-biente. Mi auguro ciò non avvenga. L’altro punto, e concludo veramente, lo de-dico alla via del Duca. Qui francamente non posso fare a meno di criticare aspramente gli organi di controllo peraltro in un’area, questa si, inserita nel Parco. Mi è capitato recentemente di ripercorrerla scoprendola gravemente minacciata dalle auto e dai fuoristrada che, nonostante un grande divieto di accesso posto al ponte di Ca’ Coppi, si deliziano in insensate manovre stile safari il cui unico scopo è quello di sfogare improbabili perizie sahariane per la gioia degli invitati al party. Fuoristrada che, spingendosi fino a Foce a Giovo, lo hanno relegato ad un pietoso parcheggio scambiatore. Francamente ritengo tutto ciò insopportabile. Oltretutto per salvaguardare una strada di interesse storico che il peso e le evoluzioni delle auto sta velocemente disgregando, dalla massicciata in pietra locale fino ai terrapieni posti ai bordi del sentiero che vanno lentamente perdendo, in molti punti, i loro connotati. E’ troppo chiedere una banalissima sbarra che ne impedisca il passaggio? Tralascio sull’attuale stato del Rifugio Ramisecchi.

Note

(1)Il nome Frignano deriva dagli antichi abitanti Liguri Friniantes, tribù liguri della Pianura Padana sospinti in quest’area (III secolo a.C.) da Etruschi e Galli e successivamente sconfitti dai Romani che ne piegarono la resistenza dopo una guerra durata circa 50 anni.

(2)A titolo di cronaca dirò che di tutti gli spostamenti di Annibale, quello attraverso l’Appennino fu di gran lunga il più sofferto e penoso soprattutto a causa delle disastrose condizioni atmosferiche. L’Arno infatti straripa allungando di molti giorni la marcia dell’esercito cartaginese e causandone gravi perdite. Annibale colpito da una grave infezione oculare diventerà cieco a un occhio ma avrà, tuttavia, ancora tempo di sconfiggere i Romani nella Battaglia del Trasimeno ed aprirsi una strada per Roma anche se, alla lunga, sarà sconfitto soprattutto dall’ostilità delle genti fedeli a Roma e dalle strategie del leggendario Quinto Fabio Massimo.

(3) Da “ Aspenula Odorata ” erbacea dal colore rosa che cresce in quantità in Val di Luce

(4) Giovan Gastone dei Medici fu l’ultimo Granduca e l’ultimo componente della storica dinastia. Non brillò certo in qualcosa di particolare, né per doti particolari. Tenne costantemente, e nonostante Cosimo III fosse stato un padre bigotto, un comportamento scandaloso, figlio dei suoi vizi e delle sue particolari fantasie erotiche. Chiaramente bisessuale, ma con marcate preferenze omosessuali, fu oggetto di una precoce demenza (esplosa con la sifilide) che lo portò in breve alla tomba. Pur non distinguendosi in niente portò a termine alcune riforme rivoluzionarie per l’epoca: ridusse il potere della Chiesa, abrogò importanti decreti e ridusse anche il carico fiscale. Anche la costruzione della via modenese di cui parliamo, fu uno degli elementi per i quali si distinse durante il suo breve governo del Granducato prima di passarlo, alla sua morte, nelle mani degli Asburgo-Lorena. Gian Gastone è uno dei personaggi storici, uno dei Medici che più mi è simpatico, certo fino all’ultimo e nella più grave demenza visse nella sua sporcizia e nei suoi vizi, tuttavia morì con molti meno peccati di quanti ne commisero altri suoi familiari ricordati per una migliore reputazione.

(5) Leopoldo II d’Asburgo fu veramente un riformatore illuminato che segnò, con la sua politica, una svolta importante nella storia della Toscana. Attuò riforme dell’ordinamento giudiziario ponendo la Toscana fra gli stati più evoluti in materia penale, iniziò la bonifica della Maremma senese e della Valdichiana, costruì strade, aprì scuole e istituzioni, a Firenze fondò il Museo di Fisica e Storia Naturale. Demolì gli antichi privilegi feudali, incrementò la produzione agricola, coinvolse i proprietari terrieri. Insomma furono venticinque anni di buon governo finché divenuto Imperatore lasciò il Granducato con un bilancio in pareggio, una moneta forte e una, se non la migliore, legislazione ed amministrazione d’Italia.

(6) A conferma di ciò e quindi dell’importanza di questa linea di comunicazione pensate che la strada aveva origine in prossimità dell’odierna Porta al Prato, toccava Peretola per dividersi in due rami: uno in direzione di Prato e l ’ altro in direzione di Poggio a Caiano, entrambi diretti verso Pistoia.

(7) Le dogane erano due: Boscolungo in territorio toscano e Dogana Nuova,che si trovava appena valicato il passo, ancora oggi così chiamata.

(8) Nella biografia di Maria Luigia Leopoldina Franziska Theresia Josepha d’Asburgo, la storia appena abbozzata con Francesco IV ricopre un ruolo puramente marginale. E’ piuttosto ricordata come seconda moglie diciottenne di Napoleone Buonaparte, ormai quarantenne, matrimonio che si celebrò nel 1810 e da cui ebbe un figlio (Napoleone II di Francia) che fu Re di Roma. Non seguì mai Napoleone, né all‘Elba né a Sant’Elena, ma d’altronde Napoleone, deluso dal fatto che Joséphine de Beauharnais, la sua prima moglie, non poteva avere figli l’aveva sposata solo per questo scopo dichiarando a più riprese che aveva sposato semplicemente “un ventre” per avere figli. Maria Luisa, di solito immortalata con l’amato pappagallo e l’amata scimmietta, non è un grande personaggio storico, le rimane la soddisfazione di essere considerata dagli storici una buona amministratrice del Ducato di Lucca anche se ampiamente coadiuvata nel governo da persone di fiducia del Buonaparte.

(9 )Fino al 1936 gli impianti di Ovovia, Pulicchio e Val di Luce erano ancora in territorio del Comune di Fiumalbo

(10) Durante il periodo fascista la figura di Podestà assunse tutte le funzioni precedentemente demandate al Sindaco, alla Giunta ed al Consiglio Comunale. Era nominato con decreto reale e restava in carica cinque anni ma in ogni momento revocabile. Era assistito da una Consulta Comunale, nominata dal prefetto, che aveva solo funzioni consultive.

(11) Il primo impianto di risalita di Abetone fu realizzato infatti nel 1935. Si tratta dell’ormai mitico “slittone”.

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