“L’Ambiente per il Club Alpino Italiano” di Marco Bastogi

Annuario 2010
Cosa c’è che accomuna tutti coloro ai quali piace frequentare la Montagna? Certamente la vita all’aria aperta, aver la possibilità di beneficiare di paesaggi ampi con prospettive che si modificano via, via, che si procede lungo un sentiero, respirare fragranze diverse da quelle alle quali solitamente siamo abituati nelle nostre città, poter ascoltare i suoni della natura, dal sibilo del vento, al canto degli uccelli, al fischio delle marmotte, fino allo scroscio di una cascata; in poche parole, è l’ambiente che ci circonda ad attrarci e a fare la differenza. Non darebbe certamente le stesse sensazioni camminare in una zona industriale o lungo un corso d’acqua nel quale magari galleggiano bottiglie, recipienti di plastica o sgradevoli e maleodoranti chiazze di saponi e di olii.

Gran Zebrù (foto M. Bastogi)

Allora è facile finire riconoscendo nell’elemento “ambiente naturale” il principale stimolo che ci unisce tutti.

La Montagna, specie quella delle quote più elevate, è proprio per sua “conformazione fisica”, uno degli ultimi ambienti naturali non antropizzati ed è proprio per questo che deve essere salvaguardata per gli anni a venire. Il Socio del Club Alpino Italiano, aderendo al sodalizio, ha per forza di cose, deciso di dedicare almeno parte del suo tempo libero a un’attività per lo svolgimento della quale è inevitabile avere contatti con l’ambiente naturale in cui s’inserisce. E’ così per l’escursionista, per lo speleologo, come anche per l’alpinista; a volte, se troppo presi dagli aspetti puramente tecnici o agonistici, forse dimentichiamo questa “attrazione di base latente”, ma non vi è dubbio che sotto questa acquisita “scorza tecnica” si cela un amante dell’ambiente naturale montano.
Se comunque qualche Socio C.A.I., dovesse mostrare dubbi su quanto affermo, farebbe bene a riflettere  sul fatto che il primo articolo del nostro Statuto, pone tra gli scopi prioritari dell’Associazione, la difesa dell’ambiente naturale montano. Tra i diritti e doveri del Socio C.A.I., l’art. II.4 dello Statuto, stabilisce che  il Socio con la sua adesione al sodalizio, assume l’impegno di operare per il conseguimento delle finalità istituzionali e quindi anche per la difesa dell’ambiente naturale come recita appunto il primo articolo. E’ proprio in virtù di questo primo articolo statutario e di quanto precisato tra le finalità dell’Associazione nell’art. I.I.1 del Regolamento Generale, che il C.A.I. è riconosciuto dal Ministero dell’Ambiente tra le associazioni ambientaliste di interesse nazionale. La tutela ambientale, per il C.A.I., è premessa indispensabile per la promozione di un turismo montano a carattere culturale ed esplorativo. La difesa dell’ambiente diviene quindi un impegno attivo di promozione del territorio e di chi lo abita e non passivo di tipo prettamente conservazionistico, più tipico di altre associazioni con finalità ricreative o sportive o se dichiaratamente ambientaliste, che hanno lo scopo di tutelare l’ambiente in senso esclusivamente naturalistico. La Montagna frequentata dalla grande maggioranza dei soci C.A.I., è certamente un territorio modificato dall’Uomo, un “paesaggio culturale” costruito dalle popolazioni che vi risiedono e che da esso devono trarre la loro fonte di sostentamento e sviluppo. Un luogo spesso difficile da adattare alle esigenze di vita che qui, seguono ritmi stagionali molto rigorosi e decisamente ben diversi da quelli che si possono seguire nelle pianure.
Ecco quindi che l’Uomo di montagna, con le sue tradizioni secolari, ben collaudate, diventa elemento imprescindibile dell’ambiente e il suo operato appare perfettamente in equilibrio con tutto quanto lo circonda. Non costituisce interferenza con il paesaggio la crescita di un borgo montano per la costruzione di una nuova baita, di un fienile oppure per l’abbattimento di una parte del bosco che lo cinge per alimentare la locale segheria. Tutto sembra armonico e in perfetto equilibrio con ciò che circonda il piccolo centro montano, lontano da manipolazioni industriali o come purtroppo invece talvolta accade, da quelle volute da uno sviluppo turistico di massa che ha le sue origini nelle grandi città. Gli interventi graditi sono quindi quelli in equilibrio con lo sviluppo della società umana che ci abita e in questa prospettiva, gli obbiettivi di principio da perseguire sono  facilmente individuabili.
La filosofia e la politica ambientale del Club Alpino Italiano, è sintetizzata in un documento programmatico che fu approvato dall’Assemblea straordinaria di Brescia il 4 ottobre 1981 e successivamente integrato dall’Assemblea di Roma il 2 aprile 1986. Si tratta di venti punti, su cui si fonda l’ambientalismo del C.A.I. che per la loro importanza nel proseguo illustrerò.
I primi due punti sono fondamentali e categorici: tutela integrale dell’alta montagna, dei ghiacciai, delle creste, delle vette e degli elementi morfologici dominanti o caratteristici e distinzione di tutte le maggiori peculiarità dell’ambiente montano, qualunque sia la loro estensione. Per queste ultime si sostiene una rigorosa tutela. Ci si riferisce naturalmente ai Parchi nazionali, a quelli regionali e alle Riserve naturali al fine di potenziarne l’efficienza e promuovere la creazione di nuove. Le leggi istitutive e di gestione di queste aree protette, devono essere la base di qualsiasi progetto per il territorio. Parchi e Riserve nascono dalla necessità di salvaguardare le aree di preminente interesse naturalistico, educativo, culturale, scientifico; in sintesi un modello di quello che dovrebbe essere il corretto uso delle risorse ambientali e non certamente la creazione di aree emarginate, lontane da qualunque attività dell’uomo.
In merito alle infrastrutture viarie il Bidecalogo si schiera nettamente contro il proliferare indiscriminato di qualunque tipo di viabilità carrabile o di trafori, proponendo attente valutazioni sulle conseguenze economiche, paesaggistiche e sull’assetto idrologico del territorio montano coinvolto. Si dovrebbe distinguere, precisa il documento, tra la viabilità esistente, quella di indubbia necessità economica e sociale da quella di servizio e di accesso dedicato (come ad esempio le strade per la sola attività silvopastorale). Buona parte della viabilità inutile e deleteria per integrità dell’ambiente, dovrebbe essere riconvertita in tratturi o in piste.
Il documento del C.A.I. è decisamente contrario all’indiscriminata penetrazione motorizzata in ambiente montano dei fuoristrada e dei natanti a motore nei laghi alpini. Quest’aspetto è stato recentemente riproposto dal C.A.I. anche a seguito di recenti proposte di legge di tipo “turistico” che vorrebbero vedere i sentieri di montagna in uso alle moto ed ai fuoristrada in genere. Il nostro codice di regolamentazione si oppone a nuove opere di salita artificiale “a fune”, soprattutto quelle che vorrebbero raggiungere vette, valichi, ghiacciai, rifugi o che comunque si spingono nell’alta montagna. Si sostiene una regolamentazione in senso restrittivo sull’utilizzo di elicotteri, aerei, motoslitte che dovrebbero essere impiegati solo nei casi di assoluta ed accertata utilità.
Il Bidecalogo riconosce l’esigenza che qualunque intervento sul territorio debba essere sostenuto da una preventiva analisi di pianificazione territoriale, da valutazioni economiche costi-benefici e da studi sull’impatto ambientale. Per quanto riguarda gli insediamenti in montagna, s’incoraggia il recupero e la rivitalizzazione dei vecchi borghi con la loro architettura tradizionale, evitando per la bassa e media montagna, interventi di grosso impatto o di tipo industriale, favorendo, nel caso, quelli graduali e a misura d’uomo. Gli insediamenti temporanei dovrebbero sempre conservare il carattere originario di dimora non fissa, ma comunque ben inserita nel contesto ambientale e con esso compatibile.
Le aree già antropizzate, dovrebbero essere le uniche ad ospitare le attività turistiche attrezzate che dovrebbero distinguersi dalle attività turistiche di tipo leggero. Per entrambe le categorie, dovrebbe tuttavia essere stabilita una precisa regolamentazione. In Montagna dovrebbero essere privilegiate le industrie leggere a basso impatto. Per lo sfruttamento di cave e miniere come anche per i prelievi di inerti fluviali, il Bidecalogo ritiene che debbano  essere escluse le aree di valore paesaggistico o di importanza ambientale e limitare i prelievi allo stretto indispensabile, assoggettandoli sempre ad attenti controlli. Al termine delle attività i luoghi devono sempre essere ripristinati con interventi appropriati. Per quanto attiene lo sci, il nostro codice ambientale, incoraggia lo sci di fondo, lo sci alpinistico e lo sci escursionistico. Dovrebbe essere invece scoraggiata la proliferazione degli impianti sciistici, accettando solo i nuovi impianti inseriti in una adeguata pianificazione globale, naturalmente limitando all’indispensabile l’alterazione dell’ambiente preesistente. Il Bidecalogo sostiene la riscoperta e la rivalutazione della cultura tradizionale per scongiurarne la scomparsa, la valorizzazione dell’artigianato locale fondato sulle tradizioni radicate al territorio, proponendo in favore di questo, la creazione di scuole artigianali qualificanti. Il patrimonio forestale, nello spirito delle nostre norme, dovrebbe essere migliorato da rimboschimenti con essenze tipiche dei luoghi evitando l’uso incontrollato delle conifere. Si dovrebbe prevenire con le tecnologie più appropriate, l’incendio dei boschi; boschi che dovrebbero sempre essere sfruttati secondo piani di assestamento precisi e documentati.
A proposito della tutela del suolo, la pianificazione, nello spirito del C.A.I., dovrebbe procedere per bacini idrografici e dovrebbe essere diretta al conseguimento del migliore equilibrio possibile evitando interventi che possono provocare squilibri ecologici; tale principio, ben otto anni più tardi della nascita del nostro Bidecalogo, è stato esattamente compreso dalla Legge 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo). L’attività zootecnica dovrebbe orientarsi verso la diffusione di tecniche di allevamento adeguate alle condizioni ambientali evitando sovra sfruttamenti ed escludendo aree di particolare valore naturalistico. E’ da incentivare il recupero di attività tradizionali. Anche il settore agricolo montano, nello spirito del nostro codice, dovrebbe essere sostenuto con soluzioni protese a diffondere tecniche e pratiche agricole per produzioni di qualità e non di massa. Le aree montane dovrebbero essere ripopolate con fauna selvatica per mantenere l’equilibrio ecologico.
In merito all’attività venatoria, la posizione del C.A.I. espressa nel bidecalogo è la seguente:  modifica della disciplina venatoria in armonia con le direttive europee e cioè che venga limitata la durata del calendario venatorio su tutto il territorio nazionale senza deroghe regionali. Sia impedito a chi è armato di fucile da caccia di entrare nelle proprietà private contro la volontà dei proprietari stessi. Siano ridotte le aree in cui è permessa la caccia, sia istituito un corpo di agenti venatori in grado di garantire il rispetto della legge in tutto il territorio nazionale, il cacciatore dovrebbe essere ancorato al proprio territorio regionale. Si dovrebbe consentire l’uso di fucili con un massimo di due colpi e dovrebbe essere vietata ogni forma di uccellagione e la vendita di volatili da richiamo. L’elenco delle specie protette a livello europeo, dovrebbe essere accettato integralmente dall’Italia, senza deroghe regionali. Il Bidecalogo entra anche in merito alla ricerca di soluzioni atte ad evitare accumuli di rifiuti presso i rifugi e la scelta di soluzioni a basso impatto per il fabbisogno energetico. L’ultimo punto sottolinea il fatto che la credibilità di qualunque iniziativa C.A.I. volta alla difesa dell’ambiente montano, dipende dalla rigorosa coerenza di tutte le attività che vengono effettuate in ambito C.A.I.; si riconosce quindi la necessità di una costante sensibilizzazione dei Soci sulla tutela dei valori ambientali. Il C.A.I., si dice, dovrebbe essere l’esempio di come avvicinarsi alla Montagna, in ogni circostanza, senza interferire negativamente con l’ambiente.
Esposti questi venti punti che sintetizzano le basi ambientali del C.A.I., non termina il quadro dei documenti prodotti dal C.A.I. a favore della difesa dell’ambiente montano. Nel 1990 al termine del 94° congresso del Club Alpino Italiano, l’assemblea approvò la così detta “Charta di Verona”, una sorta di normativa di attuazione del Bidecalogo. In essa si ribadisce in primo luogo, che ogni azione e scelta per la Montagna deve essere riferita al Bidecalogo. Il C.A.I., con questo nuovo documento si impegna a mettere al centro della sua riqualificazione culturale il proprio ruolo ambientalista iniziando dalle originarie tradizioni scientifiche e naturalistiche e facendo proprie le più recenti teorie di filosofia della scienza e cultura ecologica. La Charta di Verona sancisce alcuni punti perentori sui quali si basa la politica ambientale del C.A.I.: parchi e aree protette, circolazione motorizzata in montagna, nuove strade e disciplina delle esistenti, eliturismo (turismo effettuato in luoghi inaccessibili utilizzando l’elicottero) e forme di turismo devastante, piani neve, controllo offerta turistica dei rifugi, difesa del suolo, del sottosuolo e dei bacini idrografici, interventi tecnologici in montagna.
Seguono nel 1995 le “Tavole della Montagna” di Courmayeur. Si tratta in questo caso di un codice di autoregolamentazione delle attività sportive che si possono svolgere in Montagna. E’ basato su un criterio etico-ambientale: cioè sulla concomitanza di proteggere l’ecosistema montano pur mantenendo le condizioni conformi alla natura ed al significato dell’attività sportiva, nel rispetto della cultura e delle locali tradizioni. Nel 1984, il Consiglio Centrale del C.A.I., sostituì la Commissione Protezione Natura Alpina con l’attuale Commissione Centrale per la Tutela dell’Ambiente Montano. Lo scopo principale di questa Commissione è quello di diffondere la conoscenza dei problemi legati alla conservazione dell’ambiente. Si tratta di una Commissione Tecnica chiamata a fornire il supporto tecnico di conoscenze scientifiche in ambito di tutela per il Comitato direttivo centrale e il Comitato Centrale di Indirizzo e di Controllo del C.A.I., affinché possano compiere scelte politiche ben ponderate. La Commissione T.A.M. centrale, si completa, in ambito periferico, di analoghe commissioni regionali che devono presidiare il relativo territorio e promuovere in seno al Gruppo Regionale di cui sono organo consultivo, la cultura della tutela ambientale.
Il C.A.I., tuttavia, è sostanzialmente un’associazione di frequentatori della Montagna e non di soli ambientalisti. La frequentazione provoca un impatto sull’ambiente naturale e su quello tradizionale creato dall’Uomo è così necessario essere responsabili nel nostro comportamento specie quando interferisce con territori ecologicamente fragili. La questione acquista un significato culturale e morale; alpinisti, escursionisti, speleologi, sciatori, devono essere consapevoli che il loro territorio di azione, non deve essere visto come un’estensione da utilizzare nella ricerca assillante della performance tecnica, ma un luogo da esplorare e apprezzare per le sue peculiarità che stimolano una crescita interiore e la gioia del nostro spirito. Una Montagna da scoprire con la mente e gli occhi bene aperti per  capirne la sua armonia fatta di ampi orizzonti, dei rumori del bosco e delle acque, da conservare nella sua perfetta semplicità. L’attività del C.A.I., a sostegno del nostro prezioso ambiente, è comunque ostinatamente attiva, basti pensare alle numerose prese di posizione di questi ultimi anni, contro un tentativo di sfruttamento selvaggio dei nostri crinali per l’impianto delle pale eoliche per la produzione di energia elettrica.
Sia ben inteso che il C.A.I. non è certamente contrario al reperimento di energia da fonte alternativa come nel caso di quella fornita dal vento, sarebbe decisamente un comportamento poco intelligente nel panorama della situazione nella quale viviamo, ma la sua opposizione si fonda sui criteri della scelta dei siti, spesso più convenienti per le ditte che li propongono che per gli effettivi vantaggi energetici ed al danno irreversibile che la realizzazione stessa di questi impianti provocherebbe sul territorio per il quale viene proposto. La scelta delle aree in questi casi è quasi sempre dettata da opportunità politiche, spesso suggerite da gli Enti pubblici e mai da una scrupolosa pianificazione basata sulle peculiarità del luogo che individui i siti in relazione al minore impatto che possono causare all’ambiente.
Per il futuro credo che l’attività del C.A.I. in materia di tutela ambientale non potrà altro che crescere sempre più, perché sempre più, complice la crisi economiche che stiamo vivendo in questi anni, si moltiplicano le proposte di progetti che coinvolgono la Montagna, spesso vista come un territorio emarginato, “povero” e da riqualificare industrialmente o turisticamente. Proposte progettuali economicamente allettanti per qualche bisognoso Comune montano, spesso nascondono iniziative che minano l’integrità del territorio e dei suoi delicati equilibri ecologici. I lavori del 98° Congresso del C.A.I. tenuto nell’ottobre 2008 a Predazzo, si sono conclusi con una mozione approvata all’unanimità in cui si sottolinea una rinnovata esigenza di un maggiore impegno del C.A.I., verso la tutela dell’ambiente montano.

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