Padre Ernesto Balducci nel ricordo di Roberto Masoni

Annuario 2008

La nostra è una rivista di montagna, è vero, ma non potevamo parlare di Santa Fiora senza un accenno al suo concittadino più illustre. Padre Balducci è figlio di questa cultura di montagna, è figlio delle gioie e delle privazioni che solo la Montagna sa dare e delle quali è scuola di vita. Sapevo bene, peraltro, che nel momento in cui Cristina mi ha chiesto di scriverne i tratti fondamentali e di accennare al suo viaggio fra gli uomini, non sarei stato in grado di dominare un senso di dolore al ricordo di Colui che per me, non solo è stato, ma è un esempio difficilmente imitabile. Può darsi che la mia sia una storia che non interessa a nessuno ma se vi sarà qualcuno che avrà interesse a leggerla, sono certo che il ricordo, o la conoscenza di Balducci, possano muoverne la curiosità. Non ne farò alcuna cronologia terrena, mi limiterò a ricordare chi era.

Padre Balducci l’ho sempre chiamato Ernesto. Semplicemente Ernesto. Ero giovane. Ricordo ancora come alla Badia Fiesolana chiamassero talvolta i vigili a regolare il traffico, tanti erano coloro che, la domenica, salivano ad ascoltare le Sue omelie. Possedevo un malandato Betino 48 che, tuttavia, assolveva egregiamente il compito di portarmi alla Badia dove si riunivano persone mosse da obiettivi diversi. Ernesto accoglieva chiunque, perciò anche me e fu la prima persona al mondo a farlo. Ero giovane di belle speranze, ribelle per natura, poco amante delle regole. La Sua Chiesa, nella sua sobrietà e nella sua semplicità, era aperta a tutti. Mi accolse – uno fra tanti in mezzo a tanti altri – senza alcuna pretesa di cambiarmi, senza volermi persuadere al Suo mandato religioso, non ponendo alcun ostacolo. Sapeva bene che sarebbe stato inutile volermi cambiare, per Lui ero solo un ragazzo che aveva bisogno di una guida.  Motivi che fanno di Lui un gigante rispetto a tanti nani di oggi. Alla Badia diceva Messa, ma non era certo un rito qualsiasi, il Suo. Cercava di coinvolgere, si parlava, si discuteva, la Chiesa diventava un’officina di idee, uno spazio aperto al confronto, talvolta a voce alta, familiare, come se nemmeno fossimo in un luogo di culto. Andate alla Badia, è così ancora oggi. Ernesto parlava con apparente semplicità di temi gravi, tornando a casa si scopriva quanto profonde fossero le Sue osservazioni, quanto importante fosse il Suo insegnamento.

Ernesto Balducci (da www.coscienza.org)
Il Vangelo applicato alla vita di tutti i giorni, alla realtà quotidiana, questo era il Suo maggior insegnamento e, per quanto in molti ne abbiano stupidamente parlato a sproposito, Ernesto non dimenticò mai, sottolineo mai, di essere un missionario di fede, prete vero. Sicuramente non amava la Chiesa come manifestazione pubblica, la preferiva come testimonianza concreta. E per me, che ero fortemente affascinato anche da un altro uomo che curiosamente si chiamava anch’egli Ernesto, non era stato facile scoprire che le stesse certezze, cioè la lotta alla povertà ed alle ingiustizie, l’incitamento alla pace, alla tolleranza, alla solidarietà ed al confronto, fossero presenti sia nel religioso che nel rivoluzionario. Come se un mondo così diverso, eppure così simile per comune, e per quanto sconosciuta condivisione, si scontrasse con le necessità di tutti i giorni, si scontrasse con i problemi di una società nella quale, forse anche con la nostra complicità,  vivevamo offesi, sofferenti. Problemi con i quali, e per i quali, ci scontravamo quotidianamente anche in modo violento con l’unico intento di cambiarla, quella società, ma senza alcuna certezza di riuscirvi.
Ernesto seppe comunicare con tutti. Cercò l’abbattimento delle molte barriere culturali e politiche che caratterizzavano una certa forma di propaganda estrema. Non smise mai di rimproverare la Chiesa del fatto di essere rimasta ancorata al centralismo canonico e sul tema della pace divenne uno dei principali leader favorevoli al disarmo. Nei confronti di certe stupide affermazioni del tipo “Se vuoi la pace prepara la guerra”, slogan abusato ancora oggi ancorché coniato durante l’Impero Romano (“si vis pacem, para bellum”), seppe con forza estrema  e consapevole ribadire il Suo no a queste logiche creando “Se vuoi la pace prepara la Pace”. Non v’era, non v’è, niente di più autentico. D’altronde, il Suo avvicinamento al problema della pace lo si può benissimo considerare laico, pensava infatti che la pace avrebbe fondamentalmente favorito il recupero delle identità religiose senza per questo dover rinunciare al principio della supremazia della coscienza rispetto a qualunque codice terreno e, personalmente ho questa convinzione, anche divino. Pensava che le minacce contro la permanenza in vita dell’umanità unissero il destino di tutti nel momento in cui dalla fase filantropica si fosse passati alla planetarizzazione e quindi alla fase globalizzata, per usare un termine moderno ma fino a un certo punto. Era convinto, fortemente convinto, dell’urgenza di realizzare un progetto politico planetario, un progetto teso a costruire una comunità mondiale nella pace, questo era il Suo obiettivo e questo Lo rende fatalmente moderno. Era trent’anni avanti a tutti e noi lo capivamo a stento, disorientati. Eravamo dei visionari? Forse sì, forse lo siamo ancora oggi, ma Ernesto ci ha insegnato a sognare un mondo migliore.
In questo clima, la presenza a Firenze di un Sindaco come Giorgio La Pira, di cui fu leale collaboratore, amplificò le Sue teorie sulla pace, sulla povertà, sulla necessità di un lavoro e di una casa per tutti. In quegl’anni, peraltro, a Firenze e nei suoi dintorni, avveniva davvero qualcosa di assolutamente rivoluzionario per i tempi, e non lo furono certo le nostre dimostrazioni popolari, per quanto di fesserie se ne siano dette e scritte tante. Don Milani fondò la comunità di Barbiana, Don Mazzi dette vita alla comunità dell’Isolotto aprendo, ambedue, ulteriori spazi alla riflessione. Erano preti in trincea e non solo nell’evangelizzazione. E’ stata, indubbiamente, una stagione senza uguali, formidabile e drammatica al tempo stesso eppure felice, scanzonata. Non mi pento di averla vissuta in un certo modo. Ho detto che ero giovane e come molti altri miei coetanei, ero un giovane curioso. Leggevo Marx ma anche Sant’Agostino, tutto serviva a colmare la mia sete di conoscenza, tutto avrebbe dovuto servire a fare di me, ahimè, un uomo migliore di quello che sono oggi. Ernesto non mi approverebbe purtroppo, ed è la mia amarezza più grande. Vorrei, fortemente vorrei, poterlo ancora incontrare alla Badia, una Domenica qualsiasi, come ho fatto tante altre volte. Solo Lui, come nessun altro, sarebbe capace di farmi riflettere … io credo, di far riflettere tutti noi. Purtroppo non è possibile, ci ha lasciati nel 1992, ma solo fisicamente. Le Sue idee vivono. Termino qui, gli occhi gonfi di lacrime. Ciao Ernesto.
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