“Vallombrosa fra arte e territorio” di Giorgia Contemori

Annuario 2008

Vallombrosa è un toponimo che indica sia una foresta posta sulle pendici sud del Pratomagno, sia una località, posta all’interno di tale foresta, nel territorio del Comune di Reggello. Uno dei modi di raggiungerla è percorrendo la statale 70 della Consuma, che si dirama alla sinistra della statale di Val d’Arno 1,5 Km oltre Pontassieve, ed alcune strade provinciali, si raggiunge un ambito territoriale di elevato valore storico ed ambientale …

Questo panoramico percorso indicato consente di attraversare una campagna di densa ed antica antropizzazione, toccando  una serie di piccoli centri del versante fiorentino della montagna. La rilevanza di questo territorio è data per gli aspetti storico architettonici dalla Abbazia vallombrosana e per gli aspetti naturalistici dalla foresta di Vallombrosa, che rappresenta sia il contesto ambientale dell’abbazia sia una delle aree più apprezzate e frequentate della montagna fiorentina.

Oggi  la foresta di Vallombrosa comprende un esteso nucleo di abetine che da 680 m. si spinge a 1250 m.; alle quote più alte si trova una ristretta fascia di faggete con funzione protettiva, mentre a quote più basse abete e faggio si trovano boschi misti. Più in basso si trovano pinete di pino laricio (Pian di Melosa) ed altre pinete occupano settori più o meno ampi in mezzo alla foresta. I castagneti sono rappresentati nella località Vivaio Sambuco e Pian dei Meli: si tratta per lo più di antichi castagneti da frutto convertiti in cedui, parte dei quali successivamente avviati all’alto fusto. Sulle pendici più ripide e sui versanti soleggiati si trovano cedui misti di latifoglie (cerro, orniello, carpino nero, carpino bianco, acero opalo, roverella), oggi sempre più “invasi” da conifere (abete bianco, douglasia). Qua e là nella foresta si trovano soprassuoli di conifere esotiche (douglasia, cipresso di Lawson, abete di Nordman, etc.), sia in formazioni pure che miste ad altre conifere o latifoglie.La foresta di Vallombrosa è sottoposta al vincolo idrogeologico, nonché a tutela paesaggistica (L. 1497/1939); con decreto istitutivo del 13 luglio 1977 la foresta di Vallombrosa, per un’estensione di 1270 ettari, è stata classificata Riserva Naturale Biogenetica, con lo scopo di conservare il patrimonio biogenetico delle cenosi forestali. Essa più di recente è stata vincolata dalla legge 431/1985 (legge Galasso).
Sul versante sud della foresta di Vallombrosa si estende la Foresta di Sant’Antonio (993 ettari), composta in prevalenza da cedui di faggi e altre latifoglie; essa, prima del passaggio del patrimonio forestale demaniale alle Regioni (D.P.R. 616/1977), era gestito dall’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, mentre adesso è amministrata dalla Comunità Montana del Pratomagno.

Il Pratomagno
Il Pratomagno è il gruppo montuoso che si innalza tra il Valdarno superiore e il Casentino a nord-ovest della città di Arezzo; interessa l’omonima provincia e, in piccola parte, la sponda sud-orientale di quella di Firenze. La vetta più alta del massiccio montuoso raggiunge quota 1592 metri s.l.m. ed è denominata Croce di Pratomagno; altre cime elevate sono Poggio Masserecci (1548 metri s.l.m.) e il Monte Secchieta (1449 metri s.l.m.) che divide la provincia di Arezzo da quella di Firenze. I territori comunali che si estendono sulle pendici del Pratomagno sono quelli di Montemignaio, Castel San Niccolò, Raggiolo, Ortignano, Castel Focognano, Talla, Loro Ciuffenna, Castelfranco di Sopra e Pian di Scò in provincia di Arezzo; Reggello, Pelago, Rufina e Londa in provincia di Firenze. Il massiccio montuoso è nettamente delimitato ad est, sud ed ovest dal fiume Arno.

Cenni storici
Tornando a descrivere il percorso che conduce a Vallombrosa in salita oltre Pontassieve,  dopo alcuni Km una strada a sinistra non asfaltata conduce al castello di Nipozzano ripristinato attualmente nell’aspetto medievale, già dei Conti Guidi e poi degli Albizi, oggi è centro organizzatore di un vasto sistema poderale tra oliveti e vigneti dei Frescobaldi. Poi la strada statale tocca Diacceto a mt. 499 slm, il cui toponimo fa riferimento al ghiaccio che un tempo qui veniva prodotto. Si abbandona la statale per raggiungere Pelago con l’antico castello dei conti Guidi posto in cima ad un costone panoramico che strapiomba sul torrente Vicano, questo borgo è oggi caratterizzato anche da discreto movimento turistico. La strada è ben percorribile ma la morfologia della zona abbastanza accidentata e transitando per Paterno, un tempo centro amministrativo della tenuta agricola di Vallombrosa, si raggiunge Tosi a mt 500, un paese conosciuto per i molti mobilifici artigianali presenti. Superato il paese si entra così nella foresta demaniale, già particolarmente folta di vegetazione. Proseguendo, in corrispondenza del cartello indicatore “Vallombrosa”, sotto il livello stradale, posto ai limiti dell’antica area di clausura dell’abbazia, vi sono la fonte e la cappella di san Giovanni Gualberto (1629) un tempo l’unica sede accessibile alle donne. Vallombrosa in antico era detta Acquabella:  uno scenografico viale rettilineo fiancheggiato a sinistra da un recinto con i daini e poi da una vasca (1790) precedono l’ingresso all’abbazia di Vallombrosa mt. 958, un imponente complesso architettonico centro della congregazione vallombrosana. Essa fu fondata da Giovanni Gualberto della nobile famiglia fiorentina dei Visdomini(985c. – 1073; canonizzato nel 1193). La congregazione vallombrosana è ramificazione dell’ordine benedettino, e nacque nell’XI secolo, quale riforma monastica ispirata alla fusione di due ideali religiosi diversi: il cenobistismo benedettino, impegnato nella lotta alla simonia, e l’eremistismo, di origine orientale, che in nome della purezza della vita contemplativa rifiutava ogni compromesso con il mondo. Giovanni Gualberto fu monaco benedettino nel monastero di S.Miniato, poi nel 1036 si ritirò con pochi seguaci ad Acquabella, come veniva allora chiamato il luogo. Il primo nucleo del cenobio fu una cappella in legno consacrata nel 1038. Pur applicando la regola benedettina Giovanni Gualberto collaudò una formula inedita: nella solitudine delle foreste appeniniche, l’equivalente dei deserti egiziani della tebaide, i monaci si preparavano in preghiera a quel diretto intervento negli affari di Firenze, che poi intraprendevano nelle loro sedi “urbane” di San Salvi e S. Trinita. Ai monaci è legata la tradizione di Pietro Igneo così detto per l’aver attraversato i carboni accesi a Badia a Settimo, un’ordàlia (giudizio di Dio)  per dimostrare il favore divino. I monaci ebbero l’approvazione papale nel 1055 ed iniziò così la fase ascendente di Vallombrosa, che con il sostegno della Repubblica di Firenze acquisì un grande patrimonio fondiario, oltre un rilevante potere politico. A poco a poco gran parte del Pratomagno divenne possesso dell’abbazia, grazie soprattutto alla donazione nel 1039 di Itta badessa di S. Ilario in Alfiano (S.Ellero), e di Matilde di Canossa nel 1103,  in virtù della quale l’abate portava anche il titolo di Magnale. L’abbazia fu danneggiata irrimediabilmente dalle truppe di Carlo V nel corso dell’assedio di Firenze; fu ricostruita, ma poi dopo l’occupazione napoleonica l’Ordine fu soppresso nel 1808 ed i suoi beni incamerati. Nel 1867 lo stato italiano demanializzò le proprietà. Fino al 1913 vi ebbe sede l’Istituto Superiore Forestale, poi trasferito a Firenze. Tra il 1949 ed il 1963 la congregazione vallombrosana ha gradualmente ripreso il possesso dell’abbazia.

L’Abbazia
All’esterno il grande complesso mantiene ancor oggi, col suo campanile del XII secolo e la torre del XV secolo , un carattere austero di contenuta eleganza, fin dal grande piazzale antistante tenuto a giardino e circondato da alte mura cui si accede attraverso un bel cancello del 1773 . La facciata del monastero si deve a Gherardo Silvani ( 1637 ) che intervenne proseguendo l’opera di Alfonso Parigi ; allo stesso Silvani si deve anche la facciata della chiesa ( 1644 ) preceduta da un portico nel quale si trova una statua del santo fondatore, del primo Seicento. Gli stemmi sono quelli dei Medici e di Vallombrosa , quest’ultimo raffigurante un bastone a forma di tau.

Veduta aerea del complesso di Vallombrosa (foto Elighibli)

L’interno, a croce latina, presenta un’omogenea connotazione barocca affidata alla ricca decorazione ad affresco delle volte ( 1779 – 1781 , G.A. Fabbrini ), e a una serie di altari con tele del Sei e Settecento, a cominciare dall’altar maggiore su cui è esposta l’Assunta del Volterrano , l’altare del transetto a sinistra con la Trinità di Lorenzo Lippi ; e altri sui quali si trovano opere che esaltano i santi vallombrosani, dovute ad Agostino Veracini , Antonio Puglieschi , Niccolò Lapi . Notevoli sono anche la Conversione di Saulo di Cesare Dandini (cappella dei Conversi, oggi Battistero) e, nella splendida cappella dedicata a San Giovanni Gualberto, l’affresco di Alessandro Gherardini , l’altare in scagliola di Enrico Hugford , la tela di Antonio Franchi . Davanti all’altar maggiore arde una lampada votiva il cui olio è offerto annualmente, regione dopo regione, dai Forestali italiani di cui San Giovanni Gualberto è patrono e che viene consegnato all’Abbazia con una suggestiva cerimonia il 12 luglio, anniversario della sua morte. Pregevole è anche il coro ligneo dietro l’altar maggiore, opera di Francesco da Poggibonsi ( 1444 – 1446 ); tra i reliquiari va ricordato quello dedicato al braccio del santo fondatore, opera dell’orafo fiorentino Paolo Sogliano ( 1500 ). Altre zone di interesse particolare sono la sagrestia rinascimentale, nella quale sono esposte una tavola di Raffaellino del Garbo con San Giovanni Gualberto e altri santi ( 1508 ), e una grande pala di terracotta invetriata della bottega di Andrea della Robbia ; il refettorio, con una serie di tele eseguite da Ignazio Hugford ( 1745 ); attraverso l’antirefettorio, nel quale si trova un’altra grande pala robbiana attribuita a Santi Buglioni , si passa nell’ampia cucina ornata di un camino in pietra serena del 1786. Vallombrosa ed il turismo locale Estratto da “http://it.wikipedia.org/-wiki/Abbazia_di_Vallombrosa”

Vallombrosa fu località turistica assai frequentata anche per la linea Sant’ Ellero – Saltino, una ferrovia a cremagliera, oggi dismessa e smantellata, che la congiungeva dalla la stazione di Sant’Ellero sulla linea Firenze-Roma, via Arezzo. Vallombrosa era già una rinomata stazione climatica nonché sede di un’importante Istituto Forestale quando nel 1881 il conte Giuseppe Telfener si propose come promotore e principale finanziatore per la realizzazione di una ferrovia che facilitasse il raggiungimento della località. Il progetto venne presentato nel 1891 e rapidamente approvato; la costruzione della linea fu parimenti veloce in quanto i lavori iniziarono il 23 maggio 1892, furono terminati il 20 settembre dello stesso anno ed il 23 settembre si inaugurò il servizio. La linea, lunga 17 chilometri, era realizzata a scartamento ridotto e di un particolare sistema di cremagliera ; il trenino copriva un dislivello di 850 metri in poco meno di un’ora. La stazione terminale, per non turbare la quiete di Vallombrosa, era posta nella vicina località di Saltino. Nonostante il buon successo iniziale la ferrovia non ebbe vita lunga; già nel 1913 il trasferimento dell’istituto forestale a Firenze privò la linea di parte del suo traffico passeggeri e merci. La prima guerra mondiale poi condizionò pesantemente la linea per il calo di frequentatori nel periodo bellico, ed in misura ancora maggiore per la concorrenza portata dalle stazioni climatiche altoatesine, regione annessa all’Italia alla fine della guerra. L’istituzione dei primi servizi di linea su gomma nonché la diffusione delle prime automobili diedero il colpo finale alla ferrovia: nel 1920 il servizio fu sospeso, riprese l’anno successivo ma fu definitivamente interrotto il 18 aprile 1924. La linea era caratterizzata da una estrema semplicità e priva di infrastrutture atte a gestire un regresso. La locomotiva rimaneva sempre in coda sia durante la salita che in discesa per motivi di sicurezza. Durante la salita il capotreno istruiva il macchinista dall’ultima carrozza. Nonostante questo costante declino la località sembrò trovare a partire dagli anni ’60 un nuovo rilancio turistico con la realizzazione di una stazione sciistica sulla vetta del Monte Secchieta. Dotata di tre piste per lo sci alpino ed una lunghissima pista per lo sci di fondo, Vallombrosa seppe comunque offrire un’immagine turistica di livello elitario rispetto ad altre località turistiche montane della Toscana. Poter sciare a pochi passi da Firenze non era comunque di così poco conto! Nel 1988 gli impianti sciistici, che avrebbero dovuto essere rinnovati per morte tecnica, furono smantellati e da allora tutto è rimasto fermo. La Foresta demaniale – gli Arboreti

L’odierno monastero è interamente circondato da quella che ora si chiama l’Abetina demaniale, dove ha sede anche l’importante Arboreto di Vallombrosa che costituisce la più importante collezione italiana di piante nata a scopi scientifici e sperimentali, ha attualmente una collezione di circa 5.000 esemplari suddivisi in oltre 700 specie arboree e arbustive. Fondato nel 1870 da Adolfo di Berenger, primo direttore dell’Istituto Forestale, sorge su un suolo siliceo nella fascia di transizione fra castagneto e faggeta. L’attuale arboreto è suddiviso in sette “arboreti” realizzati in epoche diverse, una per ciascuno dei curatori che si sono succeduti dall’anno della sua fondazione: Arboreto di Berenger (1870), Arboreto Siemoni (1880), Arboreto Tozzi (1886), Arboreto Perona (1914), Arboreto Gellini (1894), Arboreto Pavari (1923-1958), Arboreto Allegri (1976). Nell’abetina sono disseminate alcune caratteristiche testimonianze della vita cenobitica. Fra le altre meritano l’attenzione il Faggio Santo presso il quale si vuole che S.Giovanni Gualberto abbia costruito la prima capanna, e l’eremo delle celle o Paradisino eretto sul luogo di un romitorio. Deve il suo nome al soggiorno che vi fece il poeta inglese John Milton che nel Paradiso perduto ricordò il soggiorno vallombrosano. E’ sede della Scuola Allievi del Corpo Forestale.

Proseguendo sulla via che conduce a Reggello, dopo un chilometro, si giunge a Saltino, una località che funziona da vero e proprio centro turistico per Vallombrosa. Qui iniziò lo sfruttamento turistico del Pratomagno, ed oggi sono molti gli alberghi in funzione. Da Saltino si possono raggiungere con una breve passeggiata il Masso del Saltino ed il Masso del Diavolo, suggestivi luoghi di meditazione da cui la vista spazia per un orizzonte vastissimo. Una bellissima strada, tutta immersa in una magica foresta di ontani, particolarmente suggestiva per i colori che assume in primavera ed in autunno conduce al vertice della Secchiata.

Da Reggello a Vallombrosa arte e territorio
Ritornando al punto di partenza, a Pontassieve , se invece di percorrere come detto la statale 70 si percorre la valle dell’Arno, presso la stazione ferroviaria di S.Ellero si prende a sinistra per Donnini ed ugualmente si può raggiungere Vallombrosa. Nell’abitato di Donnini si piega a destra verso Reggello, il tracciato corrisponde circa a quello dell’antica “Cassia vetus” la strada etrusco-romana e poi medievale – allorché aveva il nome di Setteponti, ancora oggi ricordato – che congiungeva Firenze e Arezzo lungo le pendici del Pratomagno. In un bel paesaggio agricolo si susseguono  varie chiese medievali di un certo interesse. Nel territorio del Comune di Reggello si possono visitare :
* Pieve dei Santi Pietro e Paolo a Cascia E’ una tra le più interessanti pievi valdarnesi per la qualità delle sculture e per l’impianto architettonico romanico, riferibile al tardo XII secolo . Si possono ammirare Madonna col Bambino e santi, tavola della bottega di Domenico Girlandaio, Annunciazione affresco staccato attribuito a Mariotto di Cristofano. Inoltre un trittico raffigurante la Madonna in trono con Bambino e angeli adoranti tra i Ss. Bartolomeo, Biagio, Giovenale e Antonio abate, datato 1422 ed attribuito a Masaccio, di cui è la prima opera eseguita a soli 21 anni ma già caratterizzata dal suo peculiare senso plastico e da una grande finezza di esecuzione. * Chiesa di Santa Margherita a Cancelli Negli archivi della chiesa è stato recuperato il testo di una Lauda che si canta per uno fratello morto, rara testimonianza di devozione popolare risalente al 1534.* Chiesa di San Michele a Caselli Forse di origini longobarde, la sua austera struttura romanica è stata completamente rinnovata nel tardo Seicento .* Pieve di San Pietro a Pitiana La sua fondazione è forse anteriore all’anno Mille e la torre campanaria risulta già esistente nel 1028 . Nel secolo XVI fu costruito il portico.* Chiesa di San Jacopo (Reggello) Fondata alla fine del Cinquecento , ha subito nel Settecento un massiccio intervento di restauro che ne ha trasformato l’aspetto.* Chiesa di San Clemente a Sociana Fra i dipinti che si trovano nella chiesa, merita una citazione la tavola con la Vergine Assunta e i Santi Giovanni Evangelista, Francesco, Girolamo e Giovanni Battista, della bottega fiorentina di Santi di Tito (fine secolo XVI – inizi secolo XVII ). Di notevole interesse i due reggicandelabro di Mino da Fiesole e il bassorilievo del Rosselino.* Pieve di Sant’Agata in Arfoli Le sue origini si fanno risalire ai Goti , cui si dovrebbe il nome arfoli, che veneravano Agata, protettrice delle donne che allattano.

Nel territorio del Comune di Reggello merita una citazione il Castello di Sammezzano, circondato da un ampio parco, in località Sammezzano presso Leccio. Il parco, tra i più vasti della Toscana, venne fatto costruire a metà dell’Ottocento da Federico Panciatichi, sfruttando terreni agricoli attorno alla sua proprietà e una boschetto di lecci (una ragnaia). Vi fece piantare una grande quantità di specie arboree esotiche, come sequoie e altre resinose americane,

L'ingresso dell'Abbazia

mentre l’arredamento architettonico fu realizzato con elementi in stile moresco quali un ponte, una grotta artificiale (con statua di Venere), vasche, fontane e altre creazioni decorative in cotto. Solo una piccola parte delle piante ottocentesche è giunta ai giorni nostri: già nel 1890 delle 134 specie botaniche diverse piantate alcuni decenni prima, ne erano sopravvissute solo 37. Solo recentemente si è iniziato a rimettere in dimora alcune delle essenze andate perdute in un progetto di restauro che valorizzi la ricchezza botanica del progetto originale: sono presenti oggi esemplari di arucaria, sequoia, tuja, tasso, cipresso, pino, abete, palma, yucca, querce, aceri, cedro dell’Atlante, cedro del Libano, bagolario, frassino, ginepro, acacia, tiglio e numerose piante di interesse floriculturale. Nel parco si trova il più numeroso gruppo di sequoie giganti in Italia, con ben 57 esemplari adulti tutti oltre i 35 metri.  Percorsi
La foresta di Vallombrosa è uno degli ambienti più piacevoli in cui passeggiare, anche nelle giornate più calde dell’estate: l’altitudine e la folta copertura forestale garantiscono sempre condizioni ottimali. Alcuni percorsi consigliabili:
1. la Strada di MacinaiaQuesto facile itinerario, tutto su strada forestale, è segnalato come sentiero CAI 12. Si accede dalla strada che collega Vallombrosa al Saltino, in corrispondenza della Cappella e Fonte di S. Caterina: da qui si dirama una larga strada forestale da proseguire tenendo rigorosamente la sinistra, salendo all’ombra di alte conifere. A metà del percorso inizia la faggeta ad alto fusto, particolarmente suggestiva dopo una nevicata. Si passa poi dalla casa di Macinaia (1313 m), dove si dirama la strada forestale che scende nella Foresta di S. Antonio. L’ itinerario continua invece a salire fino ad incontrare la strada di crinale, che in breve conduce al Rifugio Giuntini sul Monte Secchieta (1418 m). La sommità del Monte Secchieta (1452 m) è occupata da impianti militari e quindi non raggiungibile.
2. la Diretta al Monte SecchietaItinerario ripido, adatto a chi ha un minimo di allenamento alla salita, permette di salire rapidamente i 500 m di dislivello che separano l’Abbazia di Vallombrosa (958 m) dal Monte Secchieta. Si parte direttamente alle spalle dell’Abbazia, seguendo il sentiero CAI 9 che inizialmente utilizza la “Scala Santa”, antico l’itinerario di pellegrinaggio che porta all’Eremo del Paradisino toccando la Cappella del Masso di S. Giovanni Gualberto e la Cappella delle Colonne. Attraversata la strada, nei pressi di una fonte perenne, il sentiero sale sempre più ripido attraverso le abetine e, poi, nella faggeta, fino a sbucare di fronte al Rifugio Giuntini. Per la discesa, se si ha tempo, conviene utilizzare l’itinerario 1, in maniera da completare un bell’anello di visita alla Foresta.
3. un percorso nel settore settentrionaleQuesto itinerario ha in comune la prima parte con l’itinerario 2, fino all’Eremo del Paradisino. Da qui si segue una strada forestale tagliata poco sotto quella asfaltata che sale in direzione Nord. Si tratta di un percorso non segnalato ma ben evidente, che per breve tratto utilizza anche la carrozzabile. Arrivati sul Poggio Stefanieri (1143 m), incrociamo il sentiero CAI 8, da ignorare, si scende per un’agevole strada forestale che, con un ampio giro a sinistra, porta ad attraversare un secolare boschetto di douglasie e quindi scende alla casa del Metato (980 m). Da qui, tenendo sempre la sinistra, può essere percorsa un’altra strada forestale che, in meno di 2 km, conduce sulla strada asfaltata che collega Vallombrosa al Passo della Consuma. Altri 500 m di asfalto in direzione di Vallombrosa e si trova sulla destra il rilievo che nasconde la Cappella del Masso del Diavolo, con uno dei più suggestivi panorami della zona. Da qui il rientro all’Abbazia è breve.

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