“Arrampicare per gioco” di Marco Meini

Maggio 2006

«Accidenti! Ho sbagliato ancora! Ma com’è che si fa questo nodo?» La bambina guardava indispettita lo spezzone di corda che penzolava dalle sue mani. «Adesso ti faccio vedere.. .si parte in questo modo, ecco…». Così si è rotto il ghiaccio tra i bambini e gli alpinisti …nella prima parte della mattinata di “Arrampicare per gioco”, l’iniziativa nata da un’idea del Gruppo Scandicci per divulgare l’arrampicata tra i giovanissimi e realizzata grazie alla collaborazione della Scuola di Alpinismo, del Gruppo Alpinistico e di Alpinismo Giovanile del CAI di Firenze.

Nella piovosa domenica del 27 novembre siamo arrivati, con genitori e bambini, alla Polisportiva Legno Rosso di Pistola per affrontare quella che per tutti noi rappresentava una nuova avventura, anche perché sono pochissime le iniziative del genere proposte e sperimentate dal CAI sul territorio nazionale. Un grazie “grande così” all’amico Sergio Catani di Pistola per la disponibilità e la sensibilità mostrata nei nostri confronti. Dopo le presentazioni di rito iniziamo dall’area “boulder”: osserviamo increduli i bambini, specialmente i più piccoli, che si arrampicano seguendo i dettami del metodoCaruso senza sapere, ovviamente, di cosa si tratti (questo dimostra quanto siano innati molti movimenti e posizioni dell’arrampicata).

Conclusa la fase di bouldering e divisi i bambini in quattro gruppi, ciascuno dei quali con due adulti, siamo passati ad insegnare ai piccoli le procedure corrette: come s’indossano il cinturone e le scarpette, come ci si lega (tutti hanno imparato a fare il doppio nodo delle guide provando e riprovando più volte) e i comandi vocali da utilizzare. Conclusa questa fase…tutti sulle vie. Qualche consiglio gridato dal basso ha trasformato la banda di ragazzine e ragazzini in spavaldi e temerari arrampicatori. Dopo un’oretta i ragazzi più grandi, sotto l’occhio attento degli adulti, si assicuravanogià tra loro con il grigri. Alla fine della giornata la soddisfazione è stata grande: tutti contenti e a ciascun bambino (dodici in tutto, dai quattro ai quattordici anni) è stato consegnato il diploma che attesta la partecipazione alla “storica” iniziativa (abbiamo regalato a tutti anche uno spezzone di corda…per esercitarsi a casa sui nodi). La felicità è tale che abbiamo promesso a genitori e figli di proseguire con un’altra iniziativa del genere, magari a primavera in una palestra naturale o addirittura in montagna! Non sono ne un pedagogo ne uno psicologo e non voglio addentrarmi in temi che non conosco, ma sono convinto che quanto attira nell’alpinismo è, per grandi e piccoli, l’idea di affrontare una sfida con molte sfaccettature. In un’impresa alpinistica, infatti, a prescindere dalla difficoltà, sono presenti prove di diverso tipo: la paura del vuoto in un passaggio, i problemi di relazione con i compagni, vincere la sete, la fame, la fatica e un clima spesso non amichevole. La pratica della montagna assume un grande valore formativo: insegna ad affrontare le difficoltà e a non temere l’angoscia che, preziosa compagna di viaggio, ci aiuta a mantenere i sensi attivi e a difenderci dalle insidie. Anche i “rituali” inventati e usati dagli alpinisti da oltre cent’anni (e che abbiamo a nostra volta insegnato ai bambini: legarsi al cinturone, indossare le scarpette, i comandi vocali da rispettare inderogabilmente ecc.) hanno certamente una funzione tecnica prioritaria, ma sono allo stesso tempo veri e propri “mantra” per allontanare le paure provocate dall’incertezza dell’impresa che ci si accinge a compiere.

L’apprendistato alpinistico, oltre che di tipo tecnico-fisico, è anche di tipo mentale e si basa su un semplice meccanismo: scacciare la paura con la paura somministrata a dosi minime e sempre sottocontrollo. Un antidoto per razionalizzare ed affrontare ogni situazione pericolosa. Superare l’ansia, il timore o il panico è una conquista che servirà anche durante l’età adulta. Credo che sia questo uno dei più importanti insegnamenti dell’arrampicata e dell’alpinismo. Un ultimo avvertimento ai genitori. Attenzione, la pratica dell’arrampicata è un’attività molto rischiosa che può provocare una vera e propria malattia. Durante l’incubazione i primi sintomi sono ansia e indolenza nella vita di tutti i giorni. A contagio avvenuto spesso si sorprende il malato mentre cerca di sollevarsi con la sola forza delle dita poggiate sullo stipite di una porta. La malattia è al culmine quando il soggetto inizia a ricevere e fare strane telefonate, si porta sempre appresso “lisce” e magnesite, simula spesso i movimenti dell’arrampicata (e tutto questo può avvenire nelle più svariate situazioni e senza curarsi dei presenti). Quando il malato arriva ad ignorare i legami affettivi più cari (questo di solito capita nei giorni festivi per fuggire in montagna) la malattia non ha più terapia e il soggetto è irrecuperabile. Non fidatevi di chi, con una punta di orgoglio, afferma di essere “fuori dal tunnel dell ‘ arrampicata”. Si conoscono soggetti che, anche per un lungo periodo di tempo, hanno diabolicamente simulato la loro guarigione per poi, alla prima occasione, scappare in una qualsiasi palestra di roccia della zona indossando lerci pantaloncini attillati e maglietta bucata. Ma il CAI.. .ha mai pensato di organizzare delle comunità di recupero?

Condividi questo articolo attraverso i tuoi canali social!

Lascia un commento