” I Maggi, folklore sotto le Apuane” di Leonardo Goggioli

Maggio 2006

Quando si parla dei “Maggi” la mente rievoca le tipiche genuine forme di teatro popolare che un tempo erano ampiamente diffuse un pò ovunque ma in particolare in Versilia, Lunigiana e Garfagnana.Le origini dei Maggi si perdono nella notte dei tempi e bisogna ritornare ai riti propiziatori primaverili delle antichissime civiltà agricole quando la gente comune viveva con gioia ed emozione il passaggio dal duro e difficile periodo invernale a quello della primavera che prometteva finalmente una vita più leggera. Questo mutamento stagionale era visto come la vittoria del Bene nell’ eterna lotta contro il Male ed è proprio questo il magico filo conduttore dei Maggi: il potente contro il debole, il malvagio contro il buono e infine l’ esercito cristiano contro quello mussulmano.

 

Ritratto di Pea

L’antica tradizione dei Maggi deve la sua ripresa, attorno agli anni quaranta del secolo scorso, per merito del celebre scrittore versiliese Enrico Pea che si ispirò alle tradizioni locali e scrisse opere per il teatro dei Maggi. E’ rimasta memorabile la rappresentazione della sua  “Passione del  Signore” che fece mettere in scena nel 1950 dai Maggianti di Antona e successivamente si affidò ai teatranti di Casoli per realizzare la “Gerusalemme Liberata” che fu onorata della presenza delle prime telecamere televisive.

Secondo il Pea proprio i misteri religiosi sono le cause scatenanti di questa necessità rappresentativa mentre il Paolo Toschi, eminente studioso di tradizioni, asserisce che i soggetti epico-cavallereschi hanno preceduto quelli a sfondo mistico.

Gli argomenti sacri, partivano con la rievocavano della Madonna, cui era dedicato il mese di maggio, passavano alla passione di Gesù, alle storie di Martiri e Santi per ispirarsi poi al Vecchio Testamento ed ai suoi personaggi come Sansone, Giuditta e Oloferne, Caino e Abele, Abramo e Isacco, Antioco, la Casta Susanna.

Poi i Maggi abbandonarono i soggetti sacri per affrontare la storia greca e quella romana ma la preferenza si spostò su personaggi cavallereschi e sono rimaste famose le rappresentazioni di “Buovo d’ Antona”, “Bradamante”,”Guerrin Meschino” ecc..Ma la fantasia fece rivivere anche altri momenti con le opere “Vespri siciliani”, “Garibaldi e Anita”, “Rosmunda”, “Attila”, Pia dei Tolomei”, “Genoveffa”e così via.

 

La piazzetta di Antona

Con  il Pea abbiamo citato Antona e allora non possiamo non ricordare il nome di un grande personaggio di questo paese, Ambrogio Polini (1865–1935) che scrisse una cinquantina di Maggi ma nella vita di tutti i giorni faceva il calzolaio. Proprio questa curiosità ci da lo spunto per cominciare a descrivere nel dettaglio cosa significa un Maggio e qual’è il fascino folkloristico di questo teatro.

Il palcoscenico della rappresentazione poteva essere il sagrato della chiesa paesana ma anche qualsiasi piazza o luogo che consentisse il movimento dei personaggi e la presenza del pubblico che era sempre assai numeroso.

Arrivava la compagnia dei Maggianti, il pubblico faceva spontaneamente circolo segnando così i limiti territoriali della rappresentazione e, citando le parole del Pea, “….Lo spiazzo dove si rappresenta il Maggio ha due vie di uscita che, peraltro, gli spettatori in piedi facendo ressa ostruiscono; da una parte entrano ed escono gli eserciti turchi e le persone del dramma di parte turca, dall’ altra gli eserciti cristiani e con i personaggi dell’ azione di parte cristiana. Le persone e gli eserciti, quando non hanno parte, restano fuori, cioè dietro gli spettatori…..”

Ovviamente gli eserciti,  potevano essere Ebrei e Babilonesi, Troiani e Greci e suddivisi tra buoni e cattivi e i primi trionfavano sempre. Il pubblico sempre folto e caloroso mostrava una partecipazione intensa e gli attori ne subivano il pathos ma non disdegnavano di rifugiarsi tra la folla, nei momenti di pausa, per sorseggiare un   bicchiere di vino o dare una tirata di sigaro.

“…. Il Maggiante deve essere una figura fuori dall’ usuale: figura grottesca come un guerriero di legno, vestito dalla meticolosità dei ragazzi, con ritagli di stoffa caduti dalla forbice della mamma. Quando canta, il Maggiante di razza sta sulla punta dello stivaletto, col petto in avanti come fanno qualche volta i galli. Il Maggiante, infatti ha l’ andatura del gallo adulto. Il gesto, invece, ricorda grottescamente i guerrieri dei bassorilievi greci. Le armi del Maggiante sono di legno duro. Lo scudo ha la forma di un cuore e deve avere l’ elmo col sottogola che lustra e sull’ elmo una coda di crine di cavallo, più lunga che è possibile, perché si sparpagli sulle spalle …..” “…. La corazza è fatta di quadrucci o di fondini di latta forati e cuciti sopra un panciotto qualunque, gli uni sotto gli altri come se fossero un tegolato di un tetto di lavagna. La corazza può essere anche di un solo pezzo di latta bianca ad imitazione dell’ acciaio. Ma può essere anche istoriata da diciture di reclame di qualunque prodotto: latta di vecchie scatole …..” “ Il Maggiante ha il mantello come nelle vecchie carte da gioco, ampio, increspato sulle spalle e lungo fino al tallone …., mantello che ha in giro una rete di refe bianco fatta all’ uncinetto. La stessa trina orla i pantaloni che sono corti al ginocchio e di colore vivo e vario. La trina di refe e le calze di filo bianco con gli uccelli coi rombi e con le uova, erano fatica e dono della dama del Maggiante.”(E.Pea – 1954).

Si può intuire che i costumi si fossero ispirati a qualche illustrazione vista su vecchi libri e insieme alle scenografie costruivano un  mondo surreale. Queste ultime erano assolutamente rudimentali e simboliche. Un ramo tenuto in piedi a terra rappresentava la foresta, un telo qualsiasi poteva essere la tenda del comandante dell’ esercito, una striscia colorata di azzurro poteva ricordare il fiume e così via con la fantasia e l’ ingenuità ma sempre con effetti altamente suggestivi.

La recitazione degli attori era molto convenzionale e la gestualità esasperata ma il Bacchelli nel “Fiore della Mirabilis” ne da una descrizione molto accurata e attenta: “…. gli esecutori, a volte più d’ uno, davan più forza al canto con

Leonardo Goggioli

rudimentalissima mimica ritmica, con un elementare e rigido abbozzo di rappresen-tazione simbolica, con gesti ed atti convenuti per antica tradizione, a commento della narrazione: qua un gesto di imperio regale, là di disperazione amorosa; ora un’ espressione di paura, or di furore o di minaccia; ed a raffigurare duelli e battaglie levavan diritta e rigida la spada, mentre ad esprimere la felicità degli eroi e delle eroine sbarravan gli occhi in estasi inebetita …..”. Tutto questo da una chiara idea dell’ ingenua impronta popolare della rappresentazione ma per capire a fondo quanto queste opere fossero entrate nella fantasia semplice dello spettatore, basta ricordare un personaggio citato dal Pea, un certo Cecco del Moro, barrocciaio di Querceta di Seravezza che era solito impersonare parti di malvagio. Ma la sua intima bontà e lo spirito cavalleresco lo ponevano in difficoltà al momento di compiere gesti di cattiveria legati al suo personaggio. Una volta, recitando la “Figlia del Cardinale” giunse alla scena centrale ad effetto dove Cecco in abito cardinalizio parla con quella che dalla trama risulta essere sua figlia e cerca di sedurla. Ma Cecco forse non si era reso conto che la trama gli stava imponendo un atto ignobile ed esclamò agitato: “Tiranno sì, ma snaturato mai e poi mai ….. mondo bestia!……” e con sdegno esce dalla scena e si mescola tra il pubblico che, invece di protestare si schiera dalla sua parte applaudendolo a dimostrazione della sincera partecipazione emozionale.

Non c’erano biglietti di entrata: i bimbi non pagavano e i grandi davano con liberalità, volontariamente, quanto potevano allla regina che passava a raccogliere le offerte nell’ elmo del guerriero.” (E.Pea)

Il Maggio era diretto dal capo-maggio che curava la scenografia, l’ organizzazione, scriveva a mano i cartelloni pubblicitari e durante la rappresentazione si muoveva con piena disinvoltura,  in ogni posto della scena e tra il pubblico dando indicazioni agli attori, alle masse fino a diventare anche il suggeritore. A volte, oltre che regista (rotolante), era anche attore protagonista,  e spesso l’ autore o il rifacitore del testo. L’ opera, che durava mediamente tre ore, era di solito un manoscritto piuttosto approssimato nella sintassi e nell’ ortografia e si componeva di oltre un centinaio di stanze quintine di versi ottonari e di quartine di senari che riecheggiavano i poemi dell’ Ariosto e del Tasso abbastanza letti e diffusi nelle campagne toscane. L’ autore piuttosto illetterato, mostrava una certa dimestichezza con i testi classici ma qua e là si avvertiva l’ intervento del parroco o del “farmacista” del paese.

Alcuni Maggi si aprivano con un prologo cantato da un paggio e terminavano con un finalino, sempre  cantato, della Regina e durante la rappresentazione “ ….. il canto del Maggio è costantemente uniforme come una recitazione: una cantata declamazione, direi quasi, o tutt’al più un recitativo come si dice nell’ operistica. Oppure canto fermo come nelle chiese ortodosse in cui i solisti sono regolati da una voce di basso, la quale ha lo scopo di tenerli costantemente ad una approssimativa uniformità di canto.” (E. Pea). Nel Maggio questo ruolo era svolto da un violino che, tra una stanza e l’ altra, eseguiva un motivetto (“fioretto”, “ritornello” o “sviolinata”) per dare il tono alle voci dei Maggianti che erano, ovviamente, di svariate estensioni.

Dopo gli eventi luttuosi della seconda guerra mondiale, la rappresentazione dei Maggi ha subito una lunga interruzione finchè, intorno al 1980, questa tradizione ha ripreso a vivere per  una vera e propria  spontanea esigenza culturale della popolazione senza alcun fine turistico. E’ stato frutto di grande impegno e di una forte volontà perché si è trattato di ricostruire completamente le compagnie, ricreare lo spirito folcloristico, preparare i Maggianti senza contare  il problema della  reinvenzione dei costumi nel rispetto del teatro tradizionale.

Concludiamo riportando un classico saluto di fine spettacolo tipico del  Maggio: “IL BEL MAGGIO E’ TERMINATO –  NOBILISSIMI SIGNORI – SCUSERETE I NOSTRI ERRORI – SE SI AVESSE MAL CANTATO. –  IL BEL MAGGIO E’ TERMINATO”.

 

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