“La vegetazione forestale in Italia” di Sergio Cecchi

Maggio 2006

Quando si va in montagna, sia d’inverno che d’estate, sia attrezzati che semplicemente a piedi, sia su neve e ghiaccio che su boschi e pascoli, spesso si va in salita; lo so che è un osservazione ovvia e lapalissiana, ma lasciatemi proseguire il mio ragionamento.A volte capita di fare diverse centinaia di metri di dislivello e mentre si sale non è necessario essere grandi osservatori per accorgersi che qualcosa cambia intorno a noi: nella più banale delle camminate, succede di attraversare, in basso, dei boschi di latifoglie e invece, a quote più alte, passiamo in boschi di conifere; nelle gite scialpinistiche, succede di uscire dal bosco e trovarsi in zone completamente innevate, senza né alberi né arbusti. Persino passeggiando al mare, la vegetazione della pineta è diversa se ci troviamo vicino al litorale oppure se ci siamo diretti verso l’interno.

 

Abetina sulle Prealpi

Qui non vogliamo perderci in complicate definizioni geografiche o climatologiche, ma semplicemente buttare giù un’introduzione sulle correlazioni che ci sono fra il clima e la vegetazione, con parti-colare riferimento all’ambiente che ci interessa di più, cioè la montagna, e special-mente sull’ambiente ap-penninico e alpino. Ma queste considerazioni, così volutamente generiche, potrebbero essere adattate anche ad altre regioni. Per prima cosa occorrono alcune definizioni, tanto per dare le coordinate di quello di cui si parla.

 

Gli elementi da considerare per capire come cambia la vegetazione in rapporto al clima sono molti, ma i principali potrebbero essere questi: temperatura media di tutto l’anno, temperatura media del mese più caldo e temperatura media del mese più freddo, precipitazioni totali annue, precipitazioni nel periodo estivo, media dell’umidità atmosferica. Di questi parametri, il primo da prendere in considerazione varia secondo la latitudine, e mi spiego con due esempi.

Premesso che la penisola italiana fa parte nella zona temperata, si possono definire climi temperato-caldi (oppure temperati con inverno mite) quelli in cui per almeno 8 mesi la temperatura media è superiore ai 10° e temperato-freddi (oppure temperati con inverno marcato) quelli in cui questi valori si hanno per 4 – 7 mesi. Poi ci sono i climi freddi, in cui soltanto da 1 a 3 mesi hanno temperatura media superiore ai 10°. Non è questa la sede per entrare nei particolari, basterà ricordare che nei climi temperato-freddi, l’elemento determinante è la temperatura e l’importanza della piovosità è subordinata. Nei climi temperato-caldi, l’elemento decisivo è il regime pluviometrico (cioè come si distribuiscono le piogge nel corso dell’anno e in particolare d’estate, periodo in cui le piante sono in vegetazione); in queste zone, il rischio è la siccità estiva.

classificazione

La distribuzione della vegetazione naturale può essere semplificata come se si succedessero, dal basso in alto in senso altimetrico, tre “orizzonti” che possono essere a loro volta classificati come piano basale, submontano o montano, ma con validità assai diversa in relazione alla zona; è evidente che non possono avere lo stesso significato sulle Alpi o sull’Appennino meridionale, ma qui lasciamo perdere, perché bisognerebbe entrare nei particolari.

 

Bosco misto di abete bianco e castagno

I tre orizzonti sono i seguenti: 1) il livello delle sclerofille sempre-verdi mediterranee, che rappresenta il piano basale dell’Appennino centro-meridionale e delle isole;

2) il livello delle latifoglie decidue, corrispondente al piano montano nella catena appenninica e a quello montano inferiore per le Alpi;

3) il livello delle conifere montane, che è esclusivo delle Alpi ad eccezione di piccole aree dell’Appennino centro-settentrionale.

 


Questa è ovviamente una semplifizazione, in quanto tutti e tre questi “piani” di vegetazione sono interessati da almeno due suddivisioni interne e da fenomeni di transizione fra loro. Una classificazione del secolo scorso, semplice e intuitiva, cercando di instaurare una corrispondenza a grandi linee fra climi e formazioni vegetali potenziali (vale a dire i boschi che ci sarebbero se non ci fosse stato l’intervento antropico), suddivideva le zone:

a) la zona del LAURETUM, che si identifica con l’area di influenza dei climi temperato-caldi (quelli a siccità estiva) e la presenza delle sclerofille mediterranee sempreverdi (diverse specie di pini, leccio, sughera, carrubo, corbezzolo, lentisco, olivo selvatico, ecc.). In Italia, il 48% della superficie è occupata dalla zona del “lauretum”.

b) la zona del CASTANETUM, che corrisponde all’area dei climi temperato-freddi a estate calda (o temperata ma con siccità ancora sensibile). La vegetazione è quella dell’orizzonte basale in Italia settentrionale – di quello montano inferiore al centro-sud – caratterizzato dalla presenza del castagno e delle querce caducifoglie e di altre specie quali aceri, olmi, frassini, carpini. La zona del “castanetum” occupa in Italia un’area pari al 36% del totale.
c) la zona del FAGETUM, la quale corrisponde all’area dei climi temperato-freddi con estate fresca. La vegetazione è quella del piano montano, dominato dalla presenza del faggio, localmente associato all’abete bianco o al pino nero. L’8% della superficie nzionale è occupata dalla zona del “fagetum”.

 

Castagneto da frutto convertito in ceduo

d) la zona del PICETUM, che cor-risponde ai climi freddi, ma con estate sufficien-temente calda e all’area di dominio delle coni-fere alpine, in partico-lare dell’abete rosso (nome scientifico picea, da cui il nome della zona), con inserimento di pino silvestre, larice, pino cembro. La zona del “picetum” occupa in Italia un’area pari al 5% del totale.

 


e) la zona dell’ALPINETUM, anch’essa parte del dominio dei climi freddi, corrispondente all’orizzonte degli arbusti prostrati: ginetpro, pino mugo, rododendri. Occupa in Italia una superficie pari al 3% del totale.

Sono convinto che vi sarà capitato già di imbattervi in queste definizioni, perché vengono spesso usate nelle schede descrittive dei parchi e in occasioni simili. Insisto nuovamente sul concetto che qui non si espongono studi scientifici, ma si fanno due chiacchiere in libertà.

Per finire mi piacerebbe accennare qualcosa sui “nostri” territori, quelli che frequentiamo; perchè è evidente che, se la zona del “lauretum” occupa quasi la metà della superficie nazionale, quasi tutta questa estensione si trova a sud di Firenze. La Toscana non appenninica si può separare in due sotto-zone: una è quella che comprende la costa, la Maremma e il bacino dell’Arno da Montelupo a Pisa, l’altra è l’interno che non subisce l’influsso dell’aria marina. Entrambe queste aree ricadono nel “lauretum” ma con caratteristiche diverse, la prima è caratterizzata dalle formazioni sempreverdi con dominanza del leccio, la seconda invece dalle querce caducifoglie. Queste due sottozone del “lauretum” sono quasi assenti al nord, infatti la la pianura padana è parte del “castanetum”, con esclusione del lago di Garda che ha un clima mediterraneo. Un esempio tipico è il “forteto” toscano, nella foto 1.
 

Forteto, corbezzolo e leccio

In tutto l’Appennino tosco-emiliano-roma-gnolo e umbro-marchi-giano la zona del “picetum” è assente, oltre la zona di vegetazione del faggio c’è il limite della vegetazione arborea, e intorno ai 1600 metri si passa direttamente alla brughiera, ai mirtilleti e prati del crinale. Solo a Campolino c’è una popolazione autoctona di abete rosso ma si trova nel “fagetum” sottozona fredda; dalle analisi condotte nel 1936 dal prof. A. Chiarugi di Firenze era risultato che l’abete rosso esisteva nell’alta valle del Sestaione già 8000 anni fa, fino ad avere la massima diffusione 6000 anni fa, ultima glaciazione; da allora in poi, il faggio ha cominciato ad occupare aree sempre più estese facendo regredire le colonie di abete rosso. In Toscana ci sono altre abetine ma sono di abete bianco, e nessuna di queste è naturale, ma quasi tutte sono state piantate dall’uomo in epoca storica, come per esempio Vallombrosa. Vedere foto 4.

 

Le Alpi da questo punto di vista sono più tipiche e, partendo dal “castanetum” che, come ho già detto sopra, occupa la gran parte della pianura padana e del piano basale delle Prealpi, si passa regolarmente alle zone superiori. Nella zona del “fagetum”, l’azione antropica ha determinato spesso la predominanza delle conifere, ma i fattori climatici influiscono notevolmente: dove le precipitazioni sono più abbondanti, il faggio resiste tenacemente. Nella foto 3, un bosco misto di abete e castagno. In genere intorno ai 1900 metri abbiamo il limite della vegetazione arborea, dove gli ultimi larici e cembri lasciano il campo all’”alpinetum” che occupa una fascia ristrettissima perdendosi nella zona scoperta.

Ultima osservazione: in Kirghizistan, dove c’è stata la spedizione alpinistica della nostra Sezione tre anni fa, le conifere vegetano oltre i 3500 metri; eppure non si tratta di un paese tropicale, ma evidentemente il clima diverso porta a un’altra distribuzione della vegetazione naturale.

testi
…… che si possono leggere se interessati all’argomento:

 

Porzione di bosco alle Tagliole

Odum, Principi di ecologia – Piccin Fena-roli, Note illustrative sulla carta della vege-tazione reale d’Italia. Min. A.F. Collana Verde 28 – Tomaselli, Note illustrative carta vege-tazione naturale poten-ziale d’Italia. Min. A.F. Collana Verde 27 – De Philippis, Classificazioni e indici del clima in rapporto alla vegetaz. for. Nuovo Giorn. Botan. It. 37 – Bernetti, I boschi della Toscana.  Edagricole

 

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