dei cani, del CAI, dei rifugi, dei barbari di Roberto Masoni

Annuario 2011

UNA GIORNATA DI ORDINARIA FOLLIA (Il racconto non è di fantasia)

Agosto 2011
Mattina presto, parcheggio della Val Fiscalina, la giornata si preannuncia splendida. Do un’occhiata intorno, il colpo d’occhio è grandioso. Ancora una volta sono qui, nelle “mie” Dolomiti, non riesco a fare a meno di amare questi posti, queste montagne. Parto leggero e in solitudine, come talvolta mi capita, verso il Rifugio Zsigmondy-Comici. Scarpe basse, comode e leggere, uno zainetto con l’indispensabile: bottiglietta d’acqua con le bollicine, zip leggero, un velo di membrana per la pioggia (non si sa mai) e come antidoto a qualunque idea malsana anche qualche metro di corda, un paio di moschettoni, qualche fettuccia. Conto di essere a Misurina nel pomeriggio dove qualcuno, spero, verrà a recuperarmi.

Sullo sfondo Forcella Giralba

Salgo veloce, il sentiero s’arrampica deciso, non risparmia i polpacci, in compenso guadagna velocemente il dislivello che mi separa dal Comici. Sono già alto sulla Val Fiscalina, lo sguardo si perde sedotto, il cuore batte. Davanti a me Cima Undici, all’orizzonte si schiude man mano che salgo la Croda de Toni. Sono allo strappo finale, il sentiero gira secco quando appare all’orizzonte una nuova, sconosciuta montagna. E’ una montagna di muscoli, un pitbull, una bellissima massa grigio scura purtroppo libera di muoversi. Mi fermo, si ferma anche lui a non più di tre metri da me. Mi studia un po’, comincia a ringhiare, ha una pulizia dentale perfetta, lo smalto luccica ai raggi del sole. Resto immobile, respiro a bocca aperta per evitare che l’aria dalle narici muova i baffi.
Non avrai mica paura, ragazzo?”,
sì che ho paura, per Iddio, non ho fatto neanche testamento dei pochi, modesti beni che possiedo! Se tanto, tanto questo s’è alzato male … chi lo ferma. Immobile per cinque interminabili minuti che sembrano ore. Mi sento catapultato all’improvviso in un braccio della morte. Non esagero, credetemi. Cerco di pensare a qualcosa di bello. Mi viene a mente il “Miglio Verde” di Stephen King, cerco subito di rimuovere il pensiero. Mi rifugio allora in uno dei pochi esercizi mentali che riescono a darmi serenità, in attesa che qualcuno venga presto a riprendersi questa potente macchina da guerra che ho davanti. Declamo Leopardi silenziosamente: “Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea, negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi?” Uhm … potevo scegliere qualcosa di più allegro.

Finalmente una voce femminile, in lontananza: “Rocky, Rocky, dove sei, amore? Ah, eccoti qui brigante. Ti avevo detto di non allontanarti” (ti avevo detto? …).
Il cuore si apre “Ecco il sereno. Rompe là da ponente, alla montagna […] O natura cortese, son questi i doni tuoi. Questi i diletti sono, che tu porgi ai mortali”. Questa è già meglio.

“Buongiorno, venga, venga, non morde”. Certo che non morde, genio, questo ti sbrana in un unico boccone. Arriva anche il padrone di Rocky, con lui un bimbetto piagnucolante che credo debba essere suo figlio. Mi sfugge qualcosa … ah, ecco … ohibò, il figlioletto è al guinzaglio, trappole per infanti che oggi van di moda. Com’è buffo il mondo, i cani sciolti, i figli al guinzaglio. Prende “Terminator” per il collo “Passi, passi pure, abbaia ma non fa male a una mosca, è buonissimo”. Buono un c*… Corro via veloce, Rocky seguita a ringhiare, tenuto a malapena dal suo padrone. Qualche goccia di saliva gli cade dai bordi carnosi della bocca, per poco non erano di sangue. Maledico il mondo. Signori proprietari di cani, per favore, tutti vogliamo bene agli animali, anch’essi hanno diritto alla propria libertà, ma con misura, anch’io ho diritto alla mia. Siate cortesi, date un segno. Legate i cani e, magari … liberate i figli.

Il Rifugio Comici

Finalmente sono al Comici, due ore e mezzo dal parcheggio, con 800 metri di dislivello nel mezzo, niente male. Prendo un caffè, mi fermo qualche minuto inebriato dal luogo. Il panorama è mozzafiato, a sinistra Forcella Giralba, al centro la Croda de Toni, a destra il sentiero che porta su al Rifugio Pian di Cengia. Forza allora, c’è ancora strada da fare, più di 300 metri di dislivello. Salgo con passo costante, immerso nei miei pensieri, mi sento bene, molti scendono, pochi salgono. Cerco solitudine, esco dal sentiero in cerca di un percorso alternativo, prendo su per rocce e roccette, m’arrampico al sole, tutto è semplicemente meraviglioso. Ma la mia dote naturale di infilarmi nei casini è in agguato e non tarda a manifestarsi, un paio di “passi” ignoranti mi costringono a precari equilibrismi. “Ragazzo, perché non tiriamo fuori la corda?” Ma figurati, andiamo, andiamo, le giornate sono un pugnello …

Ripensandoci, mi rendo conto di non essere un buon esempio. In montagna, e mi rivolgo soprattutto ai giovani, occorre una condotta consapevole e, possibilmente, evitare ciò che può rivelarsi rischioso. Senza limitare la propria libertà, certo, ma consapevoli che la misura del rischio deve essere proporzionale alla propria conoscenza.

Raggiungo anzitempo il Rifugio Pian di Cengia. E’ un po’ troppo affollato per i miei gusti ma va bene così, ci mancherebbe. Ho fame, ordino un piatto di spaghetti al sugo. Per quanto all’occhio paiano un’opera d’arte scopro, al primo contatto con la forchetta, quanto purtroppo scarseggino in autonomia, ovvero gira anche il piatto insieme a loro. Cambio strategia. Tiro su la forchetta per smazzettare le carte ma tutto mi viene appresso, a un’altezza di 15 cm. dal tavolo il piatto tradisce l’impegno di amore eterno preso con gli spaghetti prima di uscire dalla cucina. Cade sul tavolo, tutti si girano, c’è silenzio nell’aria. “Non è successo niente, tranquilli. Senta … mi porta del pane per favore?”. Me lo portano. Metto gli spaghetti fra due fette, diventa un panino con pasta e ragù. Ottimo. I nostri nonni, anche se magari non tutti, mangiavano sempre la pasta col pane. Mica siamo diversi, forse più viziati, questo sì. Weiss media, grappa al mirtillo fatta in casa, saluti e baci. Una sigaretta, poi giù, verso il Locatelli.

Il Rifugio Pian di Cengia

Scendo a balzi il ripido ghiaione, naturalmente sulla massima pendenza (ci mancherebbe), è divertimento allo stato puro anche se rischio continuamente l’impatto a pelle di leone col suolo. Sono questi i momenti in cui senti maggiormente la mancanza dei soliti amici, quando a 60 anni suonati ti ritrovi a cazzeggiare come se gli anni fossero ancora la metà di quelli che porti nello zaino. Mi rendo conto, nel frattempo, che il panino con gli spaghetti non è stata una bell’idea, naviga infatti dantescamente senza limiti tanto da … “tre volte il fè girar con tutte l’acque, a la quarta levar la poppa in suso, e la prora ire in giù, com’altrui piacque …”.

Vedo salire un gruppo numeroso di escursionisti. Lo incrocio. “Salve”, “Buongiorno”, “Buongiorno a voi”. Soliti riti.
All’occhio sono tutti sopra la sessantacinquina, hanno zaini enormi che fanno da sfondo alle splendenti pelate.
Vuoi vedere che è un gruppo del CAI?”.
Mi meraviglio di me stesso, perché mai dovrebbero … Non mi sbagliavo. A metà del plotone che marcia con militare regolarità, un ultrasettantenne ha il cappellino blu, anche se stinto, con il ricamo dell’Uccellone. Fanno cornice al glorioso simbolo di Quintino tutta una serie di patacche e spille di tutte le specie. A occhio e croce credo anche di averne vista una raffigurante Lenin. Forse mi sbaglio … e poi chi se ne frega.
“Buongiorno, tutto bene?”,
“Benissimo grazie …”,
A giudicare dallo zaino (un 80 litri che sta per esplodere) siete fuori da molti giorni”,
“No da stamani, stasera siamo di nuovo a casa”,
“Ah … certo, meglio essere previdenti”.
“E beh … siamo del Club Alpino. Lei non mi sembra …”. (cosa
sembro?)

“Ehmm, no … sono socio della Coop, buona giornata”.
Il grido d’allarme di Umberto Martini, Presidente Generale del CAI, pubblicato sulle pagine della Rivista è comprensibile. Oltre il 51% dei Soci CAI sono compresi fra i 45 e i 70 anni, l’incremento dei giovani è solo del 4%. Il CAI è un’Associazione vecchia, di fatto  di pensiero. Illustre certo, ma vecchia, nessuno se la prenda. Ma non è eliminando i vecchi, fra i quali vi sono anch’io, per capirci, che si raggiunge l’obiettivo di un rinnovo generazionale. Vi sono due
strade percorribili, almeno per me. La prima sposa e sposta l’interesse sull’incremento del fattore tecnico anche a dispetto dei numeri. E’ una strada faticosa, sicuramente non condivisa dalla maggioranza dei Soci, che impone abbondante coscienza e formazione alpinistica ed una palese severità nei confronti dell’ignoranza tecnica e dell’incompetenza alla quale spesso capita di assistere. L’altra, meno sanguinosa, deve privilegiare e concentrare gli sforzi in direzione del settore dell’Alpinismo Giovanile. Senza trascurare tutte le altre attività, beninteso, ma è bene ricordarsi che senza giovani non c’è futuro, questo vale per tutto ciò che riguarda la società civile, non solo per il CAI. Serve un progetto che amalgami i giovani, che simboleggiano il terreno fertile, e i “diversamente giovani”, che sono tradizione e cultura del CAI. Da una parte l’esperienza e la saggezza, dall’altra l’entusiasmo, l’allegria, la modernità. Solo così il Cai avrà speranza di uscire dalla spirale biologica.

Nel tratto fra Rifugio Pian di Cengia e il Rifugio Locatelli

Sono alla fine del ghiaione, lascio che la brezza si prenda i miei pensieri. Un alto traverso taglia il ghiaione ai cui piedi emerge, limpido, un laghetto glaciale color cobalto. Roba da mozzare il fiato, un anfiteatro fiabesco. Finalmente il Locatelli.
All’improvviso, eccole infine: le Nord. Mi siedo su un sasso dopo averlo accarezzato, magari vi si è seduto Comici, Steger o Preuss. Ignobilmente seduto sul sasso resto dieci minuti in religiosa contemplazione, distaccato da tutto ciò che mi circonda. Seguo le linee delle vie con gli occhi e con la mente, studio le pareti, splendidi capolavori della natura. Più le guardo, più la mia coscienza bussa, mi rendo conto di aver fatto così poco in Montagna. Il mio carnet è ancora povero, ma prima del game over biologico mi riprometto di fare almeno
un altro paio di queste vie. Il pensiero va al formidabile Emilio, all’energico Cassin, al grande Angelo Dibona, penso a Claudio Barbier, tutte le nord in un sol giorno. Pazzesco, inimitabile. Quante volte avrò visto le nord? Bah … molte di sicuro. E tutte le volte gli occhi si riempiono di lacrime, è una commozione che non mi vergogno a confessare, la Montagna d’altronde è anche questo. Specie di fronte a certi spettacoli.

Mi scuoto. Anzi no, è qualcun altro a scuotermi.
Vede quello vestito di rosso lassù?”,
“Cosa scusi?”,
“Ma come … non li vede i rocciatori? Sono in due, vede, vanno su. Vede il primo con la giacca rossa? Guardi, guardi, sta mettendo i “picchi” nella roccia. Ora le spiego …” (i picchi? ma che dice questo …).
Seguono dieci minuti di didattica, una sorta di lezione sulla Progressione della cordata. E’ tutto un po’ fantozziano, ma divertente, comico, ascolto interessato.
Grazie, senta me la farebbe una foto?”,
“Una foto? Certo che le faccio una foto, così potrà dire di essere stato fin quassù a 2.500 metri. Dove la vuole? Perché non si mette su quel sasso, così sembra un rocciatore anche lei?”
“No grazie, ho paura, va benissimo qui, grazie”.

Immortalato al Locatelli (foto Dante)

Grazie a Dante, così si chiama il provvidenziale amico, mi tornano a mente gli spaghetti. Credo mi ci vorrà un bel caffè nero, all’americana. Entro nel rifugio, davanti al banco ci saranno almeno cinque file scomposte di persone in attesa della consumazione. Gente che urla, bambini che piangono, cinesi che litigano con dei norvegesi, senza capirsi, naturalmente. Una donna urla al compagno separato da due file di popolo vociante.
Gaspareeee … ma dov’eri?”,
“Non lo so – risponde con gli occhi alla Marty Feldman in Frankenstein Junior – son finito qua sotto e … e … boh …”
Come sarebbe ”non lo so”, mica siamo a Manhattan. Rinuncio all’americano. Qualcuno mi spinge e mi supera a spallate, è un tale che parla come Texas Ranger.
Che schifo …”,
“Che schifo cosa scusi?”,
“Ma come, non vede? Dicono che c’è la crisi e invece guardi quanta gente c’è!”.
Questa l’ho già sentita. C’è qualcuno che vorrebbe tenerci a casa a pane e acqua.
Bene che ci sia gente, scusi che noia le dà?”,
“Bene, bravo … Spèta spèta che l’erba la cress, barbun anca lu…”.
Se ne va, l’Italia è veramente un casi …

Il problema semmai è un altro, a mio modo di vedere. Il problema è che la maggior parte dei rifugi oggi sono alberghi, qualcuno anche a tre stelle. Non che mi diano noia, per carità, e tuttavia sono rifugi senza essere rifugi. C’è di più. Non tutti sono sensibili al fascino del Socio CAI. Di fronte alla magica frase “Ecco la mia tessera del CAI” molti ti fanno, prima una risata e poi una pernacchia. Alla fine, ti trattano come un accattone “Va bene, via … anziché 20 mi dia 19”. Come? Il Regolamento Rifugi parla chiaro: “la sezione [proprietaria del Rifugio…] deve comunque garantire lo sconto effettivo del 50% ai soci […] Il tariffario deve essere obbligatoriamente esposto
…”. Lasciamo perdere. Anzi no, scusate … a me qualcuno dovrebbe spiegare perché se prendo la polenta ho diritto allo sconto, se prendo gli spaghetti no. Ma chi li fa i regolamenti? A proposito, il “Piatto dell’alpinista” dov’è finito?
La vuoi finire? Possibile che …” Si hai ragione, abbozziamola, Misurina non è vicina. “L’americano lo prenderai da un’altra parte”. Va bene, va bene.

Riparto, ma anziché prendere per Forcella Lavaredo, scendo giù al sentiero che fa il giro delle Tre Cime, si tratta di allungarla solo un pò. Di nuovo un pò di salita, ma ormai la balena è vinta e le pareti nord da questo sentiero sembra proprio di toccarle. Prima di Forcella Col di Mezzo c’è una baita, deliziosa.
Vorrei un caffè americano”,
“Mi spiace, se vuole le porto una birra o una radler, un thè”. Quasi uguale, vada per la radler.
Vuole anche una sacher?”, “No grazie, per l’amor di Dio …”. Temo che la sacher, anche se son passate alcune ore, entri in rotta di collisione con il panino al ragù. Apro un giornale che trovo sul tavolo: “Dolomiti invase dalle Harley ed è lite tra i sindaci delle valli. Domenica tutti al giro dei quattro passi”. Dice il Direttore dell’APT: “Se il problema è il danno agli animali allora vietiamo anche i fuochi d’artificio, limitiamo i voli degli elicotteri di Soccorso”.

Ora, evitando di entrare nel merito delle scelte turistico economiche, già di per se discutibili, mi limito a una considerazione sulla buona abitudine di accendere l’interruttore prima di parlare. Che cavolo c’entra il Soccorso Alpino con i litri di birra e benzina che scorreranno a fiumi. Che senso ha mettere sullo stesso piano il Passo Sella, ad esempio, invaso da 1.000 moto con l’altruismo di coloro che affrontano grandi rischi per salvare una vita umana, rischi talvolta mortali come avvenuto purtroppo di recente. Se il prezzo da pagare è far decollare un elicottero, io credo sia un prezzo da pagare, animali o no. Difendere l’ambiente è, invece, una forma di civiltà, un obbligo morale, non una vetrina per mettersi in mostra, in un senso o nell’altro.

Giro pagina: “Siamo invasi dai ricorsi, invasi dalle cause legali dei turisti che non sopportano il rumore che fanno i campanacci delle mucche al pascolo” dice il Vice Presidente della Regione Autonoma Trentino Alto Adige. Era meglio se non mi fermavo. Andare in Alto Adige e non sopportare il rumore dei campanacci è come andare a Monza per il Gran Premio di F1 e non sopportare il rumore dei motori. Ma questa gente dove credeva d’andare, a Ibiza?

Arrivo a Forcella di Mezzo, quindi giù veloce al parcheggio del Rifugio Auronzo. Caos totale, sembra l’ingresso del Tronchetto il 15 agosto. Da un pulmann esce uno con un megafono “ssiori e ssiore prego, ecco a Voi … prego, prego .. venite …”, dietro a lui una cinquantina di individui sorridenti con gli occhi a mandorla che non smettono di inchinarsi. Bah … Fermo un’auto “Scusi mi darebbe un passaggio fino al lago?” Al terzo tentativo trovo un’anima gentile. Marito, moglie, ragazzo che gioca con un aggeggio elettronico. Non sono finiti i primi 100 metri di strada che i due davanti danno il via ad una feroce discussione.
Lo sai che non volevo venire, volevo andare al mare …”,
“Ma cosa dici … guarda com’è bello”,
“Non me ne importa nulla imbecille … guarda come ho ridotto gli infradito”.
E via così per un paio di chilometri. Il ragazzetto non distoglie lo sguardo dalla sua playstation. Dove son capitato! “Lasciatemi pure qui, va benissimo”
“Sicuro?, “Sicuro”, “Arrivederci, ci scusi sa …”, “Non si preoccupi, grazie
Un chilometro d’asfalto e sono a Misurina.

Lo Spigolo Giallo

Che dire, per concludere. E’ stata una bella giornata, tutto molto bello, ho meravigliosamente goduto delle “mie” montagne a dispetto di tutto ciò che mi circondava. Che giudizio dare alla cornice di questo quadro? Mah … credo che il discorso sarebbe lungo. E’ indubbio che un patrimonio come le Dolomiti debba essere fruibile a tutti. Credo tuttavia che sarebbero auspicabili forme diverse di tutela che vadano oltre il guadagno fine a se stesso. Forme tali da evitare l’assalto alla diligenza e, nel contempo, permettere a tutti di godere di certi capolavori della natura. Ho sempre pensato, e continuo a pensarlo, che la frequentazione della Montagna debba essere anche un fatto di cultura, qualunque attività si scelga di coltivare. Scegliere la politica del “tutto fa ciccia” riempie velocemente il portafoglio ma … per quanto? Mi sembra ovvio che la mancanza di “cultura alpinistica” produce un clima che genera istintivamente smanie di protagonismo, alpinisti improvvisati. Una bomba a orologeria che ha l’innesco nell’ignoranza. Sarebbe opportuno che anche il CAI, chi altrimenti, facesse un’attenta riflessione. Buon Annuario a tutti.

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