La croce della nord di Simone Marroncini

Annuario 2011

UN SOGNO AVVERATO

LA MIA OPPIO-COLNAGHI AL PIZZO D’UCCELLO

Pizzo d'Uccello - parete nord (foto R. Masoni)

Accadono cose senza un perché. Talvolta è assurdo cercare di capire. Così non mi chiederò perché ho avuto in sorte la fortuna che vi racconto.

Il mio amico Luca sognava andare a fare la Oppio-Colnaghi, da sempre, e neppure tanto in silenzio. Talchè Roberto Masoni, gli dice che lui ogni tanto torna a farla e nell’occasione l’avrebbe portato con sé. L’invito viene molto sorprendentemente esteso anche a me, ma in cuor mio non ci credevo. Luca non può venire per i postumi di un’operazione al polso. Un pomeriggio di maggio passo dall’Autentico Masoni. Mi dice “guarda s’è fissato di fare la Oppio, viene anche Federico (uomo da oltre 7 in palestra), c’è un posto. Se vuoi venire …”

La prima impressione è che mi canzoni. Io, la Oppio … mah … “se mi portate vengo”. Allora fa, serio, “ripassa che fissiamo la data”.

Ripasso e trovo anche Federico, si prende il calendario e si fissa: il 19 giugno è il giorno. Il gruppo sarà nutrito, e di qualità, ma sono scettico. I nomi che fa Roberto sono di peso e sembra sarà una loro rimpatriata. Comunque, precauzionalmente mi metto a dieta e riprendo a correre con regolarità. Non c’entra nulla, ma io quando corro con regolarità faccio tutto meglio. D’altronde ognuno ha le sue. S’avvicina la data, e puntuale arriva l’annuncio. Il 19 non si va. Si rifisserà. Addio.

 Si decide d’andare ad arrampicare al Corchia con Roberto e altri amici. Prima dell’uscita, il Masoni riproclama: il 10 luglio è il giorno, verranno Il Barbolini (Carlo), Matteo (Carlo Matteucci), i fratelli Gabriele e Maurizio Bonciani, Federico Mascherini, forse il Passaleva (Marco), le riserve saranno sciolte all’ultimo. “A questi che gli racconto io”. Comunque, si dovrebbe andare.

La domenica dopo, mentre si mangia alle Coppelle dopo aver fatto Banda Bailar al Corchia. Roberto fa: “oh ricordati il 10 si fa la Oppio. Passa in settimana che ti do i dettagli”. Io: “Hai fatto bene a ricordarmelo, chi ci pensava più”. Leggesi, non pensavo ad altro. In cuor mio tuttavia penso che tanto alla fine, salterà tutto, le mogli il mare il caldo i figli etc. Non ci faccio la bocca.

Lunedì, invece, mi chiama Roberto. Già questo è un evento. Mi conferma che si va. Da quel momento relazioni e foto. Passo da Roberto mercoledì e si fissa. Il ritrovo è alle 18 di sabato al CAI. Federico non viene. Matteo e Passaleva scioglieranno la riserva giovedì. Giovedì Il Barbolini definirà poi con Roberto i dettagli. Chiamo moglie e figlie al mare: “ragazze questa settimana non vengo”. Mi sento l’animo leggero. Passo giovedì davanti al negozio del Masoni, e vedo la macchina del Barbolini, ma non posso proprio fermarmi e neppure troverò il tempo di chiamare. Venerdì mattina all’apertura mi fermo da Roberto. Si va. Non chiedo altro. L’unico in forse è Marco Passaleva, l’hanno chiamato, ma era in riunione e non ha richiamato. Come tutte le star, nicchia, tentenna, si fa desiderare. Comunque, fisso d’andare a prendere Roberto a un quarto alle cinque e poi al CAI. Il Donegani è già fissato per sei, se Il Passaleva viene, s’aggiungerà. Butta male, mi sa che il mitico Direttore, non viene.

 E’ un caldo bestiale, c’è un umidità altissima, è un afa: sarà così anche il fine settimana. Penso, vuoi vedere che piove. Venerdì lavoro e leggo relazioni. Venerdì sera torno a casa, leggo relazioni e guardo foto della Oppio. Sabato mattina decido di fare degli acquisti che rimando da mesi. Trovo chiuso per sciopero. Segnale negativo? Vado in studio a lavorare un pò, poi in garage a fare lo zaino. Operazione complessa: ci metto tutto quello che ho. Cioè troppo: imparerò dai miei compagni che serve davvero molto ma molto meno. Poi pranzo leggero, rileggo relazioni. Mi faccio il “bagno”. Vado all’appuntamento. Quasi d’amore. Sono emozionato? Si. Ci sono 35°C alle 16,30, si suda a stare fermi. Arrivo in anticipo. Aspetto.

Arriva Roberto. Si carica la sua roba e si va al CAI. Sembra che saremo in sette, e il Direttore verrà. Siamo i primi al CAI. Poi i fratelli Maurizio e Gabriele Bonciani, come me baciati dalla sorte dell’invito. Giunge il pick-up de “il Barbolini”, l’Accademico. E ho detto tutto. C’è anche Il Passaleva. Il Matteucci sarà prelevato a casa sua lungo strada. Adesso è definitivo, siamo in sette. Parterre du Roi. Che c’azzecco qua io? Non lo so. Ci sono e tanto basta. Forza ragazzo.

Si fanno le macchine. Nella mia salgono Roberto e Gabriele. Si parte, un due tre e Gabriele dorme, ma davvero. La strada è interrotta. Un altro segnale del destino? In una bella curva, contornata di conifere, l’afa della città è lontana, mi viene in mente Bartali di Paolo Conte, quando fa: e tu mi fai dobbiamo andare al cine, vai al cine vacci tu. Commozione. La canto,Roberto si ri-ha, ma non fa in tempo a capire, che già taccio. Arriviamo al Rifugio, ovviamente, dopo l’altra macchina che ha fatto più strada di noi. La rifugista ci conta e, con forte accento indigeno, ci spiega gentile che siccome siamo sette, non ci può dare la diegi, e gi darà la sei. Si comingia a ridere.

Si va a cena. Il Barbolini a centro tavola, di fronte ha Il Passaleva, e con la loro presenza l’atmosfera è satura. L’aura che li circonda s’avverte. Carlo, che è biologicamente il Capo Spedizione, prende subito la parola, e fa le cordate, come dire “ora conoscete il vostro destino”, e si può mangiare. Mi mette col Matteo e Il Direttore: praticamente a balia. Benissimo. Gongolo dentro di me: sono in carrozza. Penso, ora comincia la kermesse bevitoria. Pronostico quasi azzeccato.

Ecco il menù, alcune portate non ci sono, a tra le altre alcune sono fatali, e noi non le sbagliamo: tre trippe e quattro stinchi di maiale. Pagheremo caro l’errore, nottata d’inferno e giornata pure. Rumorosi! Si fissa la sveglia alle 5, quindi a letto presto. Macchè, a mezzanotte. Poi barzellette e poi sonno. Caldo. Qualcuno ha pensato bene di puntare la sveglia un po’ prima, così la corta notte s’accorcia. Al fine butto una gamba fuori dal letto. Eccomi, si comincia. Scendo al bar e Roberto si sta sorbendo un caffè al banco, gli serve per la sigaretta. E’ un grande.

Si fa colazione ...

Si fa colazione in sala, chiedo un caffè, e invece del solito bricco di caffè nero alla tedesca, su cui contavo, m’arriva un espresso e basso. Rimedio con l’acqua. Arriva Roberto e chiede un caffè. Il rifugista paternamente glielo nega così: “ma n’hai già preso uno al bar, due caffè no. Ti fanno male Roberto”. E se ne va. La sua premura è mal indirizzata. “Oh bella”, replica il nostro, “ma guarda te se io ….” Ritorna il rifugista senza il secondo caffè. Simpatica discussione, tutti mangiano e Roberto alla fine strappa il secondo caffè. Il Barbolini imperioso: “è tardi, andiamo”, e s’alza. La frase alle 5,20 del mattino, avendo fissato di muovere alle 6, suona strana. Guardo verso Il Passaleva, ma anche lui s’è già alzato. Ah … allora è una congiura. Capirò poi che per il Barbolini è sempre tardi, siamo sempre lenti, e siamo sempre in ritardo. Forse numeri Uno si diventa così. Morale … avevamo fissato di muovere alle 6. E, invece, il poker d’assi (Barbolini, Masoni, Matteucci e Passaleva), alle 5,30 ha pensato che fosse già abbastanza tardi, e s’è mosso. I tre invitati dietro, a corsa, con gli spazzolini ancora fra i denti, volan nella macchina le cose della notte, e ci si lancia all’inseguimento.

La giornata è cominciata così rincorrendo i quattro, che si sono mossi fedeli al principio: “chi c’è c’è; e se non c’è ci doveva essere. E se no, ci sarà, la strada la conosce. E se non la conosce male ha fatto a venire”. Si sale solerti all’arrivo della ferrata, siamo all’ombra, e comunque siamo alle prime luci, ultimi metri e si svetta. Violenta come un fucilata compare. Ce l’ho lì, davanti, la Nord. E’ magnifica, sfiorata da oriente dal primo sole del giorno, accesa di un caldo ocra, mentre si tinge di rosa l’orizzonte. Non mi vien nemmeno da fotografarla, a che pro, ormai mi s’è incisa nella mente. Poi una foto la faccio lo stesso. Quella mi devo salire? Mah … speriamo, certo con questa compagnia, penso, mi dovrebbe andare tutto bene, e se non ce la fo’? Non c’è tempo di pensare.

Gli assi son già scesi d’una ventina di metri. Andiamo, andiamo. Scendiamo la ferrata, e traversiamo. Son già stanco, e m’è venuta una vescica alla mano sinistra, si va be’ il cavo. Cos’è la classe? Ve lo dico io, portarsi i guanti da ferrata, per fare la nord. Il Passaleva li aveva. Siamo all’attacco. Il Barbolini c’ammonisce tutti, ma soprattutto noi tre invitati:

Regola n. 1: Vietato cadere;

Regola n. 2: Non si può cadere, nemmeno da secondi.

Chiaro. E chi glielo dice che non è mica tanto chiaro se ci piglia per il cu.. o fa sul serio. Sguardo d’intesa con i Bonciani, come dire: e che vogliamo cascare noi? Ci prepariamo, e parte Matteo. Subito dopo tocca a me. Sono emozionato. Mi sento legato. Vado su in qualche modo, i primi passi non mi sembran facili. Se avessi guardato, magari. Poi arrivano Marco e Carlo. Il primo, con nonchalance, butta là: “cerca il facile nel difficile”. Il secondo ribadisce il concetto. Hanno ragione. Ovvio. Cosicché “cerca il facile nel difficile”, me lo son ripetuto per tutta la giornata ad ogni esitazione. Aho! è andata meglio davvero. Prima di noi è riuscita a partire un’altra cordata. Indovinate un po’ cosa commenta Il Barbolini: “sono lenti, ci rallentano, ci fanno far tardi”. Alla prima sosta, ha già quasi perso la pazienza. Il bello è che l’Ing. Passaleva condivide garbato. Mi sento in balia di pazzi.

Capirò poi che per loro in montagna tutto è prezioso, ma soprattutto il tempo. Se risparmi tempo, risparmi energia, risparmi luce, risparmi acqua, risparmi te stesso, e se risparmi tutte queste cose, ti stressi di meno e hai più voglia di ridere. E questi ridono molto, ed è bellissimo. Io, decisamente, rido molto meno. I tiri si susseguono veloci, almeno per me, aspettiamo qualche minuto, ma rispetto alle mie precedenti salite, si vola e senza interruzioni. I tiri si susseguono molto regolari, ci stiamo avvicinando a Lotta Continua, l’ottava sosta, ma ho perso il conto. Cerco di fare del mio meglio e basta.

Osservo i quattro assi, che sono d’un altro pianeta: nessun movimento è un tentativo. Si muovono sempre senza perdere tempo, neanche un secondo, mai. Guardano e si muovono, e mentre si muovono riguardano, e si rimuovono, perché è già tardi.

Verso l'attacco della Oppio-Colnaghi

Sta andando tutto molto bene. Lo spettacolo è bello, ma soprattutto mi riempie il cuore sapermi qui. Le difficoltà per adesso sono superabili, i tiri sono tutti inusitatamente lunghi, e quando s’arriva alla sosta, si fanno sentire. Un moto di saggezza, e mi levo l’orologio, adesso son sospeso senza tempo in questo sogno ad occhi aperti. Arrivo ad una cengia e colgo un’aria sorniona tra i miei compagni, ma non capisco. Parlano di restauro, anche ieri a cena s’è discusso del restauro conservativo di Lotta Continua. Il mio amico Luca s’è pure raccomandato. Azzardo, scusate ma dov’è Lotta Continua. Risata generale: ce l’ho davanti agli occhi, ma non la vedevo. Eccola la scritta rossa. Appena il tempo di tirar fuori la macchina fotografica e il restauro è fatto. Via si riparte. Si sale, si sale, ma non siamo a niente. Sotto questo aspetto è quasi deprimente. Si sale ancora. Penso a Coppi di Gino Paoli: “E va su ancora E va su E va su … Poi lassù contro il cielo blu …”

Un altro tiro e siamo in un bellissimo camino, non molto protetto, ma siamo solo noi tre, le altre due cordate hanno fatto la variante, ci siamo separati. Sembra che non dovessimo infilarci in questo camino, ma questa è la via originale. Avremo sbagliato, ma son contento, almeno faremo l’Autentica Oppio-Colnaghi. Questo camino è ignorante, e molto poco protetto. Matteo – che a me pare un marziano – s’impunta, non è tranquillo, non vuole andare avanti; anzi vuol proprio scendere e fare la variante.

L’Accademico, infatti, chiotto chiotto ha mandato noi a sinistra e lui a destra. Si pensa a fare una doppia, scendere e risalire dalla variante presa dal Barbolini e dal Masoni. Il Passaleva non si fida a fare una doppia lì, teme s’incastri la corda e si facciano cadere molti sassi. Rispetta, comunque, la decisione del capocordata, lui col suo curriculum: esemplare. Poi la cordata che ci precede ci passa una mezza e Matteo riparte. Siamo nel camino, guardo Matteo e il Passaleva, e li emulo. Ci provo. Marco aveva consigliato: “nei camini stai fuori, non t’infilare dentro”. Son quei consigli che è bene tenere stretti: e in effetti è tutto molto più semplice. Certo con le gambe aperte di 180° (ma forse non avrò superato i 100°!) si procede meglio: all’inizio non mi vien proprio naturale, poi il sistema m’entusiasma. Mi leverò la voglia dei camini da qui a sera. Di camino in camino, ormai non mi preoccupo più. Noi tre comuni mortali ci difendiamo al meglio delle nostre capacità, i fratelli Bonciani van su proprio bene, spero di fare la stessa impressione.

Di colpo sento arrivare una crisi, bevo mangio dei wafers e delle bustine di miele, vecchie pensionanti del mio zaino, e piano piano ripiglio. I wafers dovevan essere barrette energetiche, ma il rifugista non aveva altro. Salvatori! Arriviamo alla base del Pilastro, e ci ricongiungiamo con la cordata di Roberto. A questa sosta c’è un freddo birbone e umido, sopra c’aspetta un passaggio molto esposto. Roberto prende il posto di Marco, e viceversa, così il Passaleva passa primo nella corda con Gabriele. E non lo rivedrò che in vetta. Si entra nel pilastro, e finalmente siamo più alti dell’arrivo della ferrata Siggioli. A che tiro siamo? e chi lo sa. 15 … 16 … boh! Diedro esposto, bello. Molto bello. Un po’ complicato, molto aereo. Mi sento proprio alto quassù, ma non siamo ancora a nulla, Roberto cerca di tranquillizzare Gabriele e me, forza siamo in fondo. Non gli credo. Ma apprezzo.

Gabriele Bonciani verso l'uscita dei camini finali

Siamo ai camini terminali, che dovevano essere facili (ma chi le scrive le relazioni …). Non saranno complessi, ma sempre camini sono. Chissà che c’era nei wafers, o forse l’antico miele del Gran Sasso, fatto sta che mi sento bene. Sosta scomoda nel camino, e pfaff! l’inciampo puntuale come tutte le disgrazie: un bel sasso sul braccio del nostro primo, Matteo ha un taglio in aggiunta alla botta, e non abbiamo nulla per curarlo. Va su stoicamente in pratica con un braccio solo. Mi vorrei proporre d’andare per primo: non è il caso di fare lo spiritoso. Mica capirebbero che, sul serio, vorrei andare da Primo. L’ultimo camino termina volgendo a sinistra e strapiombando. Lo guardo intenso, mi dico cerca il facile nel difficile, stanne fuori e non stancarti. Passa Roberto,passa Gabriele. Tocca a me. Mi scoscio, sto fuori anche di più, e vado su tranquillo. Equilibrio precario, procedo rapido e incredulo. Devo levare un rinvio, mi vien voglia di azzerare: ma perché? è così bello, mi vien tutto bene o almeno così mi pare. Strapiombo. Son così fuori dal camino che lo supero di botto, e devo abbassarmi per levare il rinvio. E’ fatta, dicon tutti sia la fine delle difficoltà: m’hanno detto tante di quelle cose da stamani…. E’ così. Siamo quasi in fondo, i miei compagni cominciano ad accusare la stanchezza, e io con loro. In più mi bruciano le piante dei piedi. Pochi passi facili e siamo in vetta al Pilastro. Matteo non si sente sicuro si appoggia allora alla corda di Marco. Quindi, va Marco, segue Matteo, poi Gabriele, il secondo di Marco, quindi Roberto e, infine, io. Siamo all’ultimo tiro, anche se saranno 70 metri, non ci credo. Gli ultimi passi comodi li faccio ridendo come un ebete. Rispondo a tutti che va bene, benissimo.

Arrivo alla sommità della Nord del Pizzo d’Uccello, alle ore 16,40 di domenica 10 luglio 2011. Sono commosso. Vengo acclamato dai miei compagni di avventura. C’è un bel sole, temperatura perfetta. Ci si rilassa. Qualche foto. Via le scarpette. Ahhhhhh le scarpe. Ora si mangia e si beve quel che resta. Si ride, e ci si sfotte. Quanto sarà passato: dieci minuti? quindici? Non di più. Ma eccolo che arriva. Maledetto. Chi sarà mai? Il Capo Indiscusso. “Ragazzi via andiamo è tardi, se no si fa tardi”. Facciamo un’altra foto.

Penso. Ma come … in vetta al Pizzo d’Uccello non c’è una croce, nemmeno piccina. Eppure una croce ci doveva essere, c’è la base. Sapevo c’era una croce? Dov’è la croce? La croce? Ma?! Insomma la croce non c’è. Chiedo e non m’ascolta nessuno. Nessuno è sorpreso.

C’è però il libro di vetta, lo sfoglio c’è già scritto tutto: Carlo s’è portato avanti, se no si sarebbe potuto tardi. S’imbocca la normale a scendere, mi fanno male i piedi, li lascio andare, rimango solo. Soffro in silenzio da ultimo e staccato, finchè il fondo migliora e riesco a camminare più velocemente, sono comunque in riserva piena. Roberto mi precede, e prima di lui Gabriele, gli altri ignoro a che punto siano. Saranno già al rifugio. Gabriele è tra noi e gli altri. Roberto m’aspetta, saggiamente propone e io accetto di fermarsi per bere, un attimo, una sigaretta, e poi riprenderemo a scendere. Fatti pochi metri nel bosco ci sediamo, e tiriamo il fiato. Avvisiamo casa alla bell’e meglio, è andato tutto bene.

In discesa dalla "via normale" verso Val Serenaia

Ecco che le belle sensazioni e le belle immagini catturate nell’ascesa si ricompongono e si ordinano, e me le godo in silenzio. Siamo due chiacchieroni, e invece stiamo zitti. C’ascoltiamo nella fatica fatta, che è una gran bella sensazione. La sigaretta di Rob finisce, bisogna ripartire, e riprendiamo il passo nel bosco. Dobbiamo riscontrare la marmifera più a valle. Complice la stanchezza e la rilassatezza, l’incrocio avviene dove non doveva avvenire, e così la marmifera ce la faremo tutta, ma chi se ne frega. Che sarà mai qualche metro di più. Lungo la marmifera ritelefono a casa, rimango un po’ indietro, e a valle vedo i miei compagni vicini al rifugio, loro son quasi arrivati. Aspetteranno.

Roberto ed io scendiamo lenti sulla polvere soffice della marmifera, piacevole piacevole massaggio per i piedi. Finalmente, siamo alla via asfaltata tra poco finisce tutto. Arriva la frescura che annuncia il rifugio, ovvia ci siamo. Apriamo la macchina per lasciare gli zaini. Siam tutti sudati, sarebbe bene cambiarsi, prendiamo le cose asciutte, e ci si gnuda lì in mezzo alla strada, e ci si riveste, ah come mi sento bene ora. Marco e Carlo s’accorgono che siamo arrivati, e vengono da noi, bene bravi come va, tutto bene. Roberto e io tutt’e due belli vestiti puliti, andiamo al Rifugio per bere. Ora godiamo la morte della sete.

La prima birra, se fosse stata una persona, direi che non so neppure che faccia avesse. Seconda birra, freno, devo guidare. Si rifà i materiali. Qualcuno ci prova, gli si fa riaprire lo zaino, ora tutto torna. L’Accademico è come se avesse fatto il giro dell’isolato, misteri della razza umana. Il braccio del Matteo mi sembra vada molto meglio. A questo punto si decide di cenare al rifugio e poi andremo. Si cena calmi, rilassati, vino ma niente trippa o stinchi, si sta sul leggero abbondante. Caffè. Grappa. Saluti, abbracci e tutti in macchina.

Giro la macchina e imbocco la via di casa, e Gabriele dorme di già, beato lui. Poi è la volta di Roberto, però lui avvisa: “chiudo un po’ gli occhi, ma non dormo”. Sì va beh … si sveglieranno a Peretola, e fino a lì guido nella notte, coi miei amici qui accanto che riposano.

 

 

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