Annuario 2011
Scienza ai confini del mondo
Il buio dentro la cupola dell’osservatorio è totale: non si vede letteralmente a un palmo di naso. L’aria fredda e pungente ti ricorda che sei oltre i tremila metri in una notte d’inverno. Ti muovi lentamente e con circospezione tentando di non dimenticare la giusta posizione delle scale che ti porteranno sulla piattaforma piena zeppa di strumenti… e non è facile! Non basta il buio, ci manca anche che il telescopio per sua natura si muova ed è inutile che tenti di ricordare la posizione delle scale come le hai viste qualche ora prima, con la cupola bella illuminata, perché li non ce le troverai di sicuro: si son girate di quasi mezzo giro il che vuol dire che sono a oltre venti metri da dove te le aspetti!
E allora ti vengono in mente le raccomandazioni che il direttore dell’osservatorio ti ha fatto appena arrivato circa la pericolosità della struttura, l’altezza del ballatoio da terra (“oltre sette metri”) e che sebbene il salto nel vuoto sia “auspicabilmente reso improbabile” da una ringhiera perimetrale, questa presenta quattro cancelletti di accesso agli strumenti uno per ogni punto cardinale: bisogna azzeccare quello giusto per salire nel vano strumenti. Due su quattro si affacciano sul vuoto, nel migliore dei casi. “OK, ma c’è un servomeccanismo che si attiva e ne impedisce l’apertura finché i cancelletti non sono in posizione” ti dici, ma allora ti ricordi anche delle parole sussurateti dal tecnico che se proprio non sono in posizione allora bisogna scavalcarle, “sai… non son proprio perfette!”. La 626 de noantri da queste parti è in cavalleria…
La radiolina gracchia nel buio e dalla sala controllo, cinquanta metri più giù, ti chiedono dove sei: ai tuoi orecchi suona un po’ come un “sei vivo?”. Li rassicuri e prosegui tentoni: accendi il led del vecchio cellulare e rimpiangi la tua frontale! Sei proprio di lato allo specchio primario: immenso! Vedi la luce delle stelle riflettersi contro e arrivarti deformata dalla sua superficie curva formando degli strani giochi di luci e gli astri ti paiono molto, ma molto luminosi.
La serata è decisamente tersa, il cielo limpido, la Via Lattea e la Luce Zodiacale, adesso che sei proprio sotto l’apertura della cupola, rischiarano debolmente i tuoi passi… e procedi. Sali nella sala strumenti: non una luce, non un solo misero led, un migliaio di fotoni almeno! Uno di quelli scampati all’attrazione di qualche buco nero, passati attraverso l’atmosfera, sopravvissuti all’urto con la polvere, ai difetti delle lenti… Niente!! Tutti incanalati verso i sensibilissimi strumenti di rivelazione capaci di darti un’immagine con una sola manciata di fotoni al secondo. Quasi che li potresti chiamare per nome questi strani oggetti che qualche volta assomigliano ad onde del mare, qualche volta a palloni da calcio… dipende da come li guardi, i fotoni!
Il tempo di individuare l’oggetto da allineare, spengi il led del cellulare che nel frattempo era stato avvistato da tutti gli strumenti del telescopio mandandoli in tilt e aggiusti il sistema.
“Bene!” ti dicono dalla sala controllo “ancora un pochino più in basso… perfetto! Puoi tornare.” Scavalchi il cancellino che ovviamente non si è aperto e ti ritrovi di nuovo sulla piattaforma fissa. Le quattro e un quarto! Fra poco sorge il sole e la cupola verrà chiusa. Si andrà a letto all’alba per svegliarsi nel primo pomeriggio, discutere e mettere in fila i problemi e le criticità riscontrate la notte precedente e nel tardo pomeriggio si ricomincia, di cenare non se ne parla…
Gli osservatori del XXI secolo sono immensi, complessi, di difficile gestione, pieni zeppi di motori, lenti, specchi e specchietti, centinaia di chilometri di cavi e fibre ottiche, centinaia di computer, migliaia di sottosistemi, tonnellate di acciaio, persone, idee nuove e strabilianti, azoto liquido, lenti “minori” che pesano centinaia di chili, fisici, astronomi, ingegneri, tonnellate di elettronica, software, problemi, vizi e virtù. Un mondo!
Finita l’era degli osservatori vicino alle città e rigorosamente ubicati nei loro quartieri Sud, almeno per noi europei, adesso si va in alta montagna e in posti particolari, la cui sola scelta costa anni di lavoro, in cui l’atmosfera sia limpida, priva di polveri, di vapor d’acqua, di luce e l’aria sia ferma. Il bel brillare delle stelle che spesso si vede la notte e ci ispira (oppure no) tanti bei pensieri è sintomo di aria in movimento, turbolenta e poco adatta all’osservazione astronomica. E poi che sia un posto accessibile, perché bisogna trasportare su migliaia di tonnellate di materiale, in una zona politicamente sicura perché ci dovranno andare in continuazione migliaia di persone provenienti da tutto il mondo: europei, giapponesi, americani, arabi, israeliani, australiani, cinesi, russi e così via.
I telescopi oggigiorno son bestioni il cui specchio principale, detto Primario, raggiunge diametri di 8-10 metri, il che vuol dire oltre cinquanta metri quadrati di specchio (le dimensioni di un appartamento!), le montature per puntarlo verso il cielo pesano centinaia di tonnellate e se ne stanno progettando di 36 e 42 metri… L’Italia è all’avanguardia nel settore, molto apprezzata in giro per il mondo. Italiani sono i PI (Principale Investigator) d’importanti progetti internazionali di ESO (European Southern Observatory), un organismo intergovernamentale con sede a Garching vicino a Monaco di Baviera e che raccoglie il meglio della scienza astronomica e astrofisica d’Europa e oltre. Gestisce, tra i tanti, il telescopio VLT, ubicato a 130 Km a sud di Antofagasta in Cile, su Cerro Paranal a 2635 m. In verità si tratta di quattro grandi telescopi da 8.2 metri più altri quattro “ausiliari” di 1.8 metri capaci di lavorare tutti insieme combinando i diversi fasci ottici e raggiungendo la capacità osservativa di un telescopio di circa 100 m (!!!).
Il Keck è un altro importante telescopio, ubicato sulla sommità del vulcano Mauna Kea, nelle isole Hawaii, a 4145 m. Trattasi di nuovo non di uno ma di due telescopi di 10 metri capaci di lavorare insieme sfruttando la loro apertura complessiva di 85 metri.
Infine LBT (Large Binocular Telescope) situato a Mount Graham, in Arizona (U.S.A.), a 3221 metri con i suoi due specchi monolitici da 8.4 metri montati sulla medesima montatura, unico del genere! Molto italiano e in particolare fiorentino essendo stato pensato e progettato dagli astronomi di Arcetri. In particolare è l’unico telescopio che monta un particolare sistema di ottica, detto “ottica adattiva”, direttamente sul suo specchio secondario, un gioiello di tecnologia di 911 mm di diametro e spesso solo 1.5 mm, che viene tenuto sospeso in aria da 672 elettrocalamite, in levitazione magnetica. Tale innovativo sistema, messo a punto presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, permette di modificare in tempo reale la forma dello specchio secondario ogni 0.001 secondi. L’uso di una piramide di vetro, il cui vertice è posto su uno dei fuochi del telescopio, divide il fascio di luce proveniente dalle stelle in quattro parti e misura come e quanto è stato modificato il percorso della luce in virtù della presenza dell’atmosfera. Questa misura, elaborata da potenti computer, darà i giusti comandi alle 672 elettrocalamite perché deformino lo specchio secondario in modo da compensare completamente il contributo dell’atmosfera. Il sistema permette a questo gigante dell’ottica di osservare il cielo come se l’atmosfera non fosse presente, eliminando di fatto la turbolenza dell’aria. Fatto questo essenziale per questa categoria di telescopi il cui grande diametro permette si, in linea di principio, di risolvere oggetti molto piccoli e deboli, ma a patto che si riesca a trovare il modo di compensare la turbolenza dell’aria che rischia di renderli inutili.
Nella figura (Hubble-LBT – sotto) si vede un campo di stelle, il cluster M92, ripreso dal telescopio spaziale Hubble e da LBT in modalità di ottica adattiva: quella più risolta è di LBT… D’altronde i telescopi spaziali se è senz’altro vero che non risentono dell’atmosfera terrestre, sono necessariamente limitati in dimensioni (2.4 m nel caso di Hubble) e quindi in risoluzione, risultando in più poco o affatto aggiornabili in termini di strumentazione. Per non parlare dei costi di costruzione, lancio e gestione.
In Europa un buon sito astronomico è rappresentato dalle isole Canarie, al largo del Marocco e territorio spagnolo. Là l’Italia ha diversi telescopi fra cui ricordo il Telescopio Nazionale Galileo (TNG), antesignano e laboratorio di progettazione di LBT, sull’isola di La Palma. Una bellissima isola, “bonita” la chiamava una nota pop star, sulla cui caldera sono arrampicati molti telescopi europei: l’inglese Herschel (4.2 m), lo spagnolo GranTeCan (10.4 m), l’italiano TNG (3.6 m) appunto e altri ancora. Il paesaggio sulla caldera è lunare: rocce laviche di colore rosso, nero, giallo e di altre sfumature improbabili si alternano a una vegetazione bassa e robusta. Il contrasto tra il clima tropicale della costa occidentale, quello montano della zona attorno il vulcano, quello più freddo della costa orientale è strabiliante.
In generale i luoghi in cui sono costruiti gli osservatori sono sempre molto belli, il che è ovvio per chi come noi ama la montagna. Purtroppo poco si prestano come punto di appoggio per escursionisti e alpinisti in quanto gli spazi foresteria sono sempre molto, ma molto limitati (ad esclusione della avveniristica e bella Paranal Residencia presso il VLT) e non mi risultano iniziative CAI o di altri enti stranieri analoghi volti a creare un punto di contatto tra alpinismo e astronomia… chissà… magari, lavorandoci un po’!