Storie di aquilotti, di asini e di volpi di Flavia Rizzini

Annuario 2011

Iacopo conduce il suo asinello, serio e concentrato. Cammina regolarmente, con passo svelto per riuscire a stare dietro agli altri che hanno asini più grandi del suo. Ma gli altri animali non sono così bravi: si fermano, mangiano caparbiamente un ciuffo d’erba nonostante le proteste degli “asinari”, si svincolano dalla loro presa per raggiungere il gruppo … la sua Carlotta invece no: anche lei, come il suo piccolo conduttore, non si distrae e svolge, infaticabile, il suo lavoro. Là davanti, al di sopra di un mare di piccole teste e di lunghe orecchie, Francesco, come un pifferaio magico, conduce il gruppo, voltandosi continuamente a controllare le retrovie.

Abbiamo percorso il pezzo di strada asfaltata che dalla mulattiera, a Piè di Colle, ci ha portato su una carrareccia che si snoda tra campi e piccoli boschetti nelle campagne norcesi, disseminate di fortificazioni e chiese stupefacenti. Tutti sono pimpanti e di buon umore, nonostante l’ora antelucana a cui siamo partiti: sette bimbi dell’Alpinismo Giovanile ed io, diretti appunto vicino a Norcia, dove abbiamo intrapreso quest’avventura molto particolare insieme con un gruppo della Sezione di Forlì.

Alla mulattiera Roberto, il titolare, e Francesco ci hanno spiegato come avvicinare gli asini, come strigliarli, mettere loro la cavezza e i basti. Abbiamo caricato le some sui nove somarelli che ci hanno assegnato e, in fila indiana, siamo partiti. Il tempo è stupendo. Lo sarà per tutti e quattro i giorni di trekking. Dopo qualche chilometro con dislivelli modesti, ecco la prima salita dura e con essa un po’ di sconforto. Ma dalla cima del valico Francesco ci mostra il posto dove pianteremo le nostre tende. Non si vede una casa, se non qualche rudere sparso. Le montagne verdi e dolci assomigliano più a colline, che a montagne vere e proprie, ma il freddo della notte ci ricorderà che tutto il nostro viaggio si svolge sopra i 1000 metri di quota.

Arriviamo alla sorgente intorno alle 18. I ragazzi sono piuttosto stanchi: i miei hanno tra gli 8 e i 12 anni. I quattro di Forlì sono più grandicelli, ma tutti si sono alzati alle 5 e hanno dovuto camminare secondo il passo degli asini, a volte veloce, a volte punteggiato da fermate e rincorse continue, sicuramente molto faticoso per un piccolo bipede. Inoltre, quando si va con questi animali, le soste possono essere fatte solo in posti dove essi possono pascolare agevolmente. A volte, come scopriremo nei giorni successivi, non possono proprio essere effettuate, se no gli asini più giovani, stanchi anche loro, si buttano in terra, e per farli rialzare occorre scaricarli della soma.

Per preparare il campo per la notte non manca il lavoro: dopo aver scaricato gli asini e averli abbeverati, la prima cosa da fare è approntare un recinto elettrico: Francesco si fa aiutare dai ragazzi, mentre Luciana, Aride (i due accompagnatori di Forlì) ed io cominciamo a tirare fuori la roba dalle enormi bisacce e a montare le tende. Anche i fornelli cominciano a lavorare ed è quasi buio quando, rimbacuccati e seduti su dei teli, ci gustiamo la “nostra” pastasciutta. Mentre lavoravamo un pastore è venuto a trovarci: doveva prendere il formaggio tenuto al fresco sotto la sorgente, ma in ogni caso sarebbe venuto a scambiare quattro chiacchere con noi, uniche persone presenti, oltre a lui, in quella zona.

E’ la notte dell’eclissi di luna. Che fortuna poterla vedere da qui! Il cielo stellato, senza il fastidio dell’inquinamento luminoso, è uno spettacolo raro! La mattina avremmo voluto avere la magia di Mago Merlino per fare i bagagli, ma le cose sono andate piuttosto bene ugualmente. Luciana è una vera e propria macchina da guerra e, non so come, è sempre riuscita a riporre sacchi a pelo, materassini e vestiti in tempi impensabili.

I ragazzi hanno aiutato lei e Aride a spicchettare e piegare le tende e Francesco e me a preparare le bestie. Sono molto orgogliosa del fatto che, dopo la prima volta di collaudo, la nostra congrega la mattina riusciva a essere pronta a partire in tre ore, tempo occorrente in genere a un gruppo di adulti per fare altrettanto!

 Il secondo giorno è stato il più selvaggio: siamo saliti in cresta e abbiamo svalicato verso il Pian Perduto. C’eravamo solo noi e qualche gregge di pecore col pastore. Ancora la salita è stata dura, 800 metri di dislivello, ma il cominciare ad apprezzare quel particolare contesto, riuscire a entrare nel film, fare parte dell’avventura e gustarla, viverne le emozioni, il grande senso di libertà donato dall’ambiente, dal fatto di esserci solo noi, ha sedotto bambini e adulti e in un battibaleno ci siamo ritrovati a fine giornata, a montare il campo, questa volta vicino a una strada, per cui Roberto ci ha potuto portare una magnifica teglia di lasagne e un ancor più magnifica arista. Il terzo giorno, dopo aver lambito Castelluccio, abbiamo attraversato il Pian Grande, set cinematografico di molte famose pellicole tra cui “Fratello Sole, Sorella Luna.” La fioritura era un po’ in ritardo e i pochi fiordalisi non sono riusciti a regalarci l’effetto acqua per cui sono tanto famosi qui, ma il giallo dei fiori di senape selvatica che infesta i campi di lenticchie, quello lo abbiamo visto, e lo spettacolo che ci ha regalato è stato comunque molto bello.

Le montagne intorno alla piana mostrano i cerchi delle streghe (cerchi perfetti di erba di colore diverso dovuto alla crescita sotterranea di colonie fungine) e sul monte Vettore si vede la frattura di faglia. Francesco racconta che è il camminamento usato dalle streghe per andare dalla montagna a Castelluccio in occasione di qualche festa paesana. Ormai siamo tornati alla civiltà e, saliti a Forca Canapina, ci accampiamo addirittura vicinissimi a un rifugio. Bè, le nostre abitudini a questo punto non le abbiamo comunque cambiate, e forse per rendere il più realistico possibile il racconto che i ragazzi avrebbero fatto la sera dopo ai genitori … la doccia non l’ha fatta quasi nessuno! Ma la magia non è ancora finita: dopo cena accendiamo, non senza difficoltà per la guazza che bagna ogni nostra fonte di combustibile, un grande fuoco e mentre siamo lì tutti in cerchio a leggere e ascoltare fiabe di animali (l’elefantino che va al grigio e graveolente fiume Limpopo, la volpe Smirne…) proprio la volpe si avvicina, mangia la salciccia che le avevamo lasciato in terra, salta sui tavoli a cercare ancora, si attarda a pochi metri da noi, senza nessun timore per il fuoco e per le nostre voci.

La mattina dopo di nuovo in marcia. Ormai gli asini sono molto alleggeriti, in quanto buona parte della dispensa è stata consumata e l’occorrente per la cucina è stato lasciato al rifugio. Due di loro vengono quindi sellati per farci montare sopra a turno i ragazzi. Grande soddisfazione, anche se a momenti oscurata da un certo timore, se non addirittura panico, quando, specialmente in discesa, qualche asino si dimostra un tantinello scapestrato. Nel corso della giornata incrociamo diversi turisti, un gruppo di bikers e un gruppo di gente a cavallo. Che contrasto! L’andatura, il portamento, la velocità; io che ho passato quelli che considero i migliori anni della mia vita a cavallo, presa da una passione che pensavo unica e inestinguibile, oggi sono felice di godermi la gita tirando lemme lemme un asinello. Tra racconti di film, di libri letti, spiegazioni di come e perché viene fatta una ferratura, percorriamo la lunghissima discesa che ci porta alla mulattiera. Ancora non ci siamo resi conto che la nostra avventura sta finendo, anzi, la confidenza nel gruppo, con Francesco, tra i ragazzi delle due sezioni, tra ragazzi e accompagnatori che non conoscevano, sembra antica, ed è un vero shock rendersi conto all’improvviso che siamo in ritardo, che l’autista del pulmino è già lì e vuole partire. Affannosamente scarichiamo gli asini, separiamo i bagagli, saliamo in autobus, con dei saluti troppo frettolosi, assolutamente inadeguati a suggellare quello che è stato, ma sicuramente col proposito di rivederci. Inviteremo Francesco al nostro pranzo di Natale, penso. I ragazzi di Forlì li rivedremo a breve a Brisighella.

Come sapete l’Alpinismo Giovanile si è dato un progetto educativo che vede la montagna e tutte le attività che vi si possono svolgere come mezzo e teatro per aiutare i ragazzi nella loro crescita e nella loro maturazione. Svolgere un trekking con degli asini è un valore aggiunto: gli animali, affidati alle cure dei ragazzi li responsabilizzano, li costringono a una concentrazione costante, li educano a dare la precedenza alle loro necessità, come fossero compagni di viaggio più deboli o comunque più bisognosi. Un’esperienza di questo tipo ti lascia arricchito di tante emozioni importanti e durature; voglio quindi ringraziare tutti gli aquilotti per essersi divertiti nonostante la fatica (in quattro giorni hanno percorso 60 km) e qualche piccolo incidente legato alla “compagnia degli asini”, Aride e Luciana per avermi aiutato a gestire un gruppetto un po’ troppo numeroso per un accompagnatore solo, e Francesco, la nostra guida, che si è lasciato totalmente coinvolgere abbandonandosi, compiaciuto, al vento fresco dell’Alpinismo Giovanile.

 

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