Vulcani del Messico di Carlo Labardi

Annuario 2011

In Messico sono presenti circa quindici vulcani che si innalzano oltre i 4.000 metri di quota. Ben tre superano i 5.000 metri e precisamente il  Pico de Orizaba (mt. 5.700), il Popocatèpetl (mt. 5.452) e l’Iztaccihuatl  (mt. 5.300).

 Da sempre, ed anche per un fattore estetico, sono attratto dai vulcani. In Europa sono salito con gli sci sull’Etna (mt. 3.317), peraltro in inverno, nel Caucaso ho salito l’Elbrus (mt. 5.165), in Turchia l’Ararat (mt. 5.165), in Africa il Kilimangiaro, arrivando all’Uhuru Peak (mt. 5.895) dopo avere percorso il bordo di gran parte della caldera che

accoglierebbe secondo la leggenda il tesoro di re Salomone, in Ecuador ho salito il vulcano Pichincha vecchio (mt. 4.794), vicinissimo a Quito mentre il Pichincha nuovo è vietato perchè ancora attivo, l’Illiniza Norte (mt. 5.116), il bellissimo Cotopaxi (mt. 5.900), ritenuto il vulcano attivo più alto del mondo, ed infine il Chimborazo (mt. 6.310), la più alta montagna del mondo se misurata dal centro della terra.

Fino all’ultimo sono stato incerto se partire o meno a causa di un versamento al ginocchio sinistro causato forse da un superallenamento (ricerca di funghi porcini  quasi  a giorni alterni nelle foreste Casentinesi,in Pratomagno, al Corno alle Scale sopra Segavecchia, nella valle del Sestaione e dello Scesta, su ripidi pendii, spesso resi sdrucciolevoli dalla pioggia). Grazie alle cure ed ai consigli di un amico e collega ortopedico del CTO, dopo un netto miglioramento ho deciso di partire per questa spedizione.

Agli ordini di Claudio  Schranz, guida alpina di Macugnaga, che già conoscevo, avendo fatto con lui una spedizione in Bolivia con salita del Pequeno Alpamayo (mt. 5.400) e dell’Uayna Potosi (mt. 6.088) hanno fatto parte della spedizione, oltre al sottoscritto, anche Francesca  Schranz, figlia di Claudio, Ugo Nardelli, viareggino, coordinatore del gruppo Amici della Montagna di Camaiore, Stefano Lusvarghi di Genova che era stato assieme a me in Ecuador e Patagonia, Teo Kosaraz di Bressanone,conosciuto anche lui in Bolivia, Claudio Alotto e Mariuccia Querio della Val di  Susa, tre svizzere del Canton Ticino :Anna Moschini, Marilena Mozzettini e Carla Albertoli alla sua prima esperienza, Elettra Merlini di Varese, grande amica di Silvio “Gnaro” Mondinelli, Matteo Pinzio suo compagno milanese, Algherio Origoni, Silvio Polita, Giovanna Cerutti di Omegna,maratoneta con un personale di 36 minuti per mille metri di dislivello e infine  un simpatico romano Alberto Conti, accompagnatore del CAI di Tivoli.

 Partiti da Milano Malpensa, dopo uno scalo a Ma-drid (di questo volo ricorderò soprattutto l’at-terraggio con vi-sta in tempo reale della pista illumi-nata che si av-vicinava, proiet-tata su uno schermo e ripresa da una webcam posta sul tetto della coda dell’aereo; era la prima volta che vedevo questo spettacolo), siamo atterrati a Città del Messico alle sei  del mattino, dopo una transvolata atlantica notturna  in virtù del fuso orario, fortunatamen-te  assieme a tutti i nostri sacconi. In Messico ci siamo appoggiati all’ItalianTrek di cui è responsabile una guida italiana, Franco, trasferitosi in Messico da qualche anno e che, sforzandosi d’introdurre in questo paese una cultura alpinistica, si impegna nell’organizzazione di corsi  per accompagnatori di alta quota ed abbozzando  anche un soccorso alpino che in Messico non esiste.

 Dopo un giorno e mezzo dedicato al turismo, nel primo pomeriggio viene Franco con due grossi fuoristrada dove carichiamo i nostri sacconi, i viveri, molta frutta ed acqua in damigiane e bottiglie per portarli al Rifugio Nevado de  Toluca (mt. 3.600). Ci presenta il suo vice che fungerà da cuoco,un omone dalla faccia simpatica di nome Gimmy ,che si mostrerà in seguito gentilissimo e sempre disponibile. Dopo aver superato quasi a passo d’uomo il traffico caotico di Mexico City e la periferia caratterizzata da baraccopoli simili a vespai imbocchiamo l’autostrada e superiamo  un valico a 3000 mt. di quota. Facciamo rifornimento, ci fermiamo  per  uno spuntino a base di focaccia di patate con dentro del formaggio e dopo essere passati dalla periferia di Toluca, 80 km ad ovest di Città del Messico, avvistiamo il vulcano spento che progressivamente si avvicina, per poi entrare nel Parque Natio-nal Nevado de Toluca. Dopo pochi chilometri arriviamo al rifugio, non custodito, che dall’esterno si presenta accogliente, tetto rosso in lamiera e ben inserito nel contesto del verde dei pini con alle spalle l’elegante cima del vulcano di roccia scura che diventa  rossa al tramonto, mille metri   più in alto di dove ci troviamo noi.

All’interno del rifugio la delusione è grande. Ci sono due stanzoni ciascuno con un grosso camino al centro, ed ai  lati camerette a quattro posti con letti a castello, molti senza materassini, manca un tavolo per mangiare, poche le sedie, WC fatiscente senza acqua per cui saremo costretti ad andare fuori. Accendiamo subito il grosso camino centrale per scaldare l’ambiente, freddo ed umido. Per la salita al vulcano, Franco insiste nel dire che dobbiamo bere almeno quattro litri di acqua a testa, acqua purificata della loro damigiana, evitare assolutamente di bere acqua del rubinetto o bevande con ghiaccio. Cominciamo così ad ingurgitare liquidi: the negro, the alla camomilla, bicchieroni di acqua dove mettiamo dentro polvere energetica e frutta, soprattutto arance. Ma occorre anche combustibile per carburare ed ecco che vengono cotti degli spaghetti, di cui a ciascuno toccherà un gomitolo appallato, quindi del formaggio locale e del pane in cassetta. Meno male che c’è la scorta di Claudio e da un bidone di plastica esce magicamente fuori del formaggio Walser. Formaggio di Macugnaga dal sapore di gorgonzola, salame, parmigiano reggiano e speck quest’ultimo portato da Teo. Poi, finalmente, entro nel mio sacco a pelo.

 Il tempo è bellis-simo. Facciamo colazione, poi par-tiamo con un fuo-ristrada che ci porta fino a quota 4.000 mt. Fa freddo, comincia-mo a risalire un pendio su tracce di sentiero  e già ci rendiamo  conto di chi ha più birra in corpo, il gruppo infatti si allunga. Dopo circa un’ora arriviamo su una cresta che in pratica corrisponde al bordo del cratere del vulcano; ed in effetti notiamo dalla parte opposta in basso due bellissimi laghetti di acqua azzurra,il Sole e la Luna,dove recentemente l’archeologia subacquea ha scoperto vari oggetti offerti alle divinità della pioggia dai sacerdoti aztechi. Iniziamo a percorrere la via normale alla vetta del vulcano, dapprima su uno spallone largo e sabbioso che poi si assottiglia fino a divenire una cresta rocciosa che, in breve, si impenna. Con facile arrampicata, facendo attenzione a non muovere pietre prendiamo quota ed alle 11,30 siamo in vetta a 4.630 mt. Si è trattato di una passeggiata per acclimatarsi, ma sono contento, perchè non ho faticato, non  accuso la minima cefalea e soprattutto il ginocchio sinistro non mi fa male. Al ritorno ci ricompattiamo con il gruppo che era sceso ai laghetti  e ripresi i fuoristrada torniamo al rifugio Nevado de Toluca

Ripartiamo dal Refugio Nevado de Toluca per portarci, dopo aver di nuovo costeggiato la periferia di Mexico City, all’incantevole pueblo di Tepoztlan, dove sarebbe nato il rivoluzionario Emiliano Zapata, a 1.700 mt. di quota e circondato da imponenti rupi frastagliate dove per tenerci in allenamento siamo saliti alla piramide azteca di Tepoztec costruita in cima ad una rupe. Di nuovo in auto fino alla cittadina di Amecameca  situata ai piedi dei due vulcani Popocatepetl ed Iztaccihuatl. Al mattino riesco a vedere per la prima volta l’imponente mole del Popocatepetl che fuma, 3.000 mt. .sopra di me. Ancora un fuoristrada, raggiungiamo in  un’ora il Paso de Cortez (mt. 3.650) che si trova tra il Popocatepetl a sud (mt. 5.452) che significa “montagna fumante“ e l’Iztaccihuatl (mt. 5.300) “vergine dormiente“, rispettivamente seconda e terza vetta del Messico. Il Popo uno dei più bei vulcani del mondo, presenta una intensa attività eruttiva e per questo motivo da 15 anni è fatto divieto di salirlo,mentre l’Izta è un vulcano spento, privo di cratere e può essere salito. Ripartiamo da Paso de Cortez e raggiungiamo il rifugio Altzomoni a 3.950 mt. di quota. Ci sistemiamo in due stanzoni con letti a castello, fortunatamente il rifugio è fornito di WC.

Fuori, frattanto, il tempo è peggiorato, sta nevischiando e non riusciamo a vedere le vette dei vulcani, le previsioni meteo non ci incoraggiano, è in arrivo  una perturbazione artica. Prepariamo lo zaino per la salita, i ramponi non dovrebbero servire, la notte porta cielo stellato e la luna piena.

Dopo la sveglia e la colazione,carichiamo tutto sui fuoristrada e ci portiamo a La Joya.  Il tempo è bellissimo, il cielo pieno di stelle, non c’è vento, non fa freddo. Partiamo con le frontali, Franco imprime subito un’andatura piuttosto sostenuta su tracce di sentiero per cui il gruppo subito si divide in tre: c’è quello di testa, più veloce, uno intermedio di cui faccio parte anche io e quello di coda più lento. Bellissima. la veduta in basso delle luci di Puebla e  verso sud, dietro le nostre spalle, l’imponente sagoma scura del Popo che fuma. A circa 4.700 mt. troviamo bivacco fisso a quota, è ancora buio, beviamo e mangiamo qualcosa. Ripartiamo. Entriamo  in un canalone ripido, dapprima sabbioso, che  risaliamo con fatica. Raggiungiamo i 5.000 mt. di quota al sorgere del sole, siamo alle ”Rodillas”. Da qui alla vetta ,il petto,”El Pecho” ci vorranno ancora 3 ore. Mi sento piuttosto stanco, ma decido di proseguire. Scendiamo ad un colletto, poi un pendio di ghiaccio cui segue una cresta nevosa e quindi il tratto ripido finale Alle 10 sono sul punto più alto della vergine dormiente, “El pecho”, 5.300 mt di quota. Abbraccio Carlos e tutti gli altri che mi hanno preceduto, Franco, Giovanna, Ugo di Viareggio, Marilena, Stefano, Claudio della Val di Susa. In discesa incontriamo Claudio Schranz con sua figlia  Francesca che vogliono anche loro raggiungere la vetta. Scendiamo veloci,intorno ai 4.400 mt. di quota incontriamo un gruppo di canadesi che stanno salendo e pernotteranno al bivacco fisso per raggiungere la vetta domani. Alle 14, dopo 12 ore, siamo di nuovo al fuoristrada.

 Dopo un paio di giorni di trasferi-mento raggiungia-mo il rifugio Pie-dra Grande (mt. 4.200) sul versan-te Nord della montagna da dove inizia la via di salita normalmen-te seguita. La giornata è bellis-sima, c’è sole. Il rifugio è piccolo, siamo piuttosto pigiati. Nel pomeriggio, io e Teo, facciamo un pò di dislivello lungo la morena che porta al ghiacciaio, incontriamo due tedeschi che stanno scendendo. Teo chiede loro in tedesco informazioni sulle condizioni della montagna e ci dicono che la neve in alto è dura, quasi ghiaccio, domani vedremo sul posto se quanto detto è vero. Torniamo al Rifugio, assumo molti liquidi e mi caccio nel sacco a pelo, la sveglia è prevista a mezzanotte. Il cielo è stellato. Partiamo all’ora prevista, saliamo con le frontali per tracce di sentiero, una faticosa morena, e dopo un’ora incontriamo la neve .A 4.700 mt. di quota  ci mettiamo i ramponi, prendiamo la piccozza e mettiamo i bastoncini telescopici nello zaino, non fa molto freddo comunque siamo sotto zero. A 4.900 mt. di quota mettiamo piede sul ghiacciaio Jamapa, la neve è ottima e i ramponi mordono quanto basta, non cè ghiaccio. Saliamo su pendii a 45°, aggirando alcuni crepacci, l’alba è bellissima, mi sento bene, sono nel mio ambiente preferito. Si è alzato un vento abbastanza forte, la salita sembra non finire mai, però la cupola si restringe e questo sta ad indicare che la cima non dovrebbe essere lontana. Alle  8, dopo sette ore di salita, arriviamo sul bordo della caldera, ancora ben conservata. Risaliamo il bordo della caldera, con prudenza perchè abbastanza stretta e con un forte vento e finalmente raggiungiamo la  parte più alta del vulcano.

Ci abbracciamo felici, un altro sogno si è avverato. Sono  in cima alla montagna più alta del Messico e la terza dell’America centro settentrionale, il panorama è stupendo, Silvia mi ha indubbiamente aiutato e quassù la sento più vicina. Iniziamo la discesa e dopo una sosta ai bordi del ghiacciaio distesi al sole su dei massi erratici alle 12 siamo nuovamente al rifugio Piedra Grande.

Do un’occhiata al libro del rifugio, alle salite effettuate al Pico de Orizaba e trovo pochissimi italiani, molti americani, canadesi, spagnoli, francesi e tedeschi. Con i nostri fuoristrada ritorniamo a Tlachicucha, alla solita Posada e riprendo possesso della mia fredda cameretta.

 Il giorno succes-sivo partiamo con un bus per un meritato  riposo sulla costa  Esme-ralda nel golfo del Messico. Final-mente arriviamo al nostro albergo sul mare e an-diamo subito a fa-re un bagno ri-storatore nell’oceano, seguito da una lunga passeggiata sulla spiaggia deserta. La mattina dopo mi alzo prestissimo e corro sulla spiaggia per fotografare il sole che sorge dall’oceano. L’avventura è pressoché ultimata, torniamo a Città del Messico, un po’ di shopping, visita alla zona archeologica di El Tajin, poi a letto, domani ripartiamo.

Sabato 27 novembre, dopo uno scalo a Madrid, arriviamo a Milano Malpensa. I vulcani del Messico sono ormai solo un ricordo.

 

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