Il Convegno su Guido Rossa alla Camera del Lavoro di Firenze
La CGIL ha organizzato un bel convegno per commemorare la vittima più enigmatica del terrorismo, che aveva il pregio ai nostri occhi di essere anche un Grande alpinista. Chi s’aspettava discussioni su vie e gradi è stato certamente deluso, al contrario è stato appagato chi non sapeva cosa aspettarsi, e chi s’aspettava di conoscere il perché sia stata uccisa una brava persona, un operaio, uno che potresti incontrare la domenica mattina al Mercato a Novoli. Il convegno è stato sapientemente dosato tra politica e alpinismo dal nostro Luca Saponaro, dirigente sindacale della CGIL e redattore di Alpinismo Fiorentino. Sua l’idea di questa singolare commemorazione, suo il grande lavoro per condurre in porto il gravoso impegno con meritato successo. Suo, dunque, l’intervento d’apertura di cui dirò.
C’è qualcosa però che dev’essere notata prima, l’atmosfera dell’incontro. Ero sul posto ben prima dell’inizio, e questo non è stata un’inutile perdita di tempo. L’organizzatore fremeva sull’uscio perché, come nella migliore delle tradizioni, non si sapeva dov’erano i soci CAI designati per gli interventi di matrice alpinistica: il Direttore di Alpinismo Fiorentino, Roberto Masoni e il redattore Carlo Barbolini membro del Club Alpino Accademico Italiano. Arrivano puntuali e fanno le prove, e non funziona niente. Da buoni primi di cordata non hanno mostrato cedimenti. Devo dire che anch’io ero molto ottimista, perché in sede non ha mai funzionato niente di elettronico alla prima. Fine delle note di colore.
La sede della CGIL fiorentina incute una certa soggezione, e, lentamente, segna di gravità il convegno. Il campo per i non habitué all’improvviso s’è rivelato se non ostile, difficile. Il peso dell’avvenimento è tutto nel tirato volto dell’ideatore Saponaro. Cominciano ad arrivare le persone, alpinisti, politici e sindacalisti. La grande sala non è gremita, ma ci sono tante persone per essere un lunedì pomeriggio.
Dopo la piacevole presentazione del convegno del Segretario Generale della CGIL Firenze, Mauro Fuso, il primo intervento è di Luca Saponaro che introduce il tema e spazia a tutto campo.

E’ un intervento bello e appassionato. Offre una chiave di lettura dell’incontro in cui per forza di cose l’uomo Rossa sovrasta l’alpinista Rossa, seppur membro del Club Alpino Accademico; le cui doti umane piace pensare siano state affinate dalla severa disciplina alpinistica della sua gioventù. L’intervento ha momenti di sincera commozione per l’uomo che decise di scendere in campo, che scelse di confrontarsi con la sfida sociale, senza il rimpianto di lasciare incompiuta la sua sfida alpina, foriera di grandi successi. E’ bene notare che Rossa aderì al Nuovo Mattino alpinistico e per lui, così, la sfida non era già più con l’Alpe ma con se stesso e, dunque, senza fine. Rossa ha scritto cose semplici e durissime nella sua famosa lettera, che per lunghezza Saponaro non poteva leggere, ma alla quale durante l’intervento – per chi l’aveva presente – spesso è riandato, al punto che quella Lettera è stata una silenziosa colonna sonora delle parole del Saponaro. L’intervento ha abbracciato l’intero tema del convegno, con sapienza, entusiasmo e passione. Tanta passione. Insomma, Luca Saponaro ha fatto un intervento notevole che ci ha introdotto al tema, la figura di Guido Rossa nella sua poliedricità.
E’ poi seguito l’intervento, volutamente e squisitamente alpinistico, dell’Accademico Carlo Barbolini, che ha ben spiegato cosa voglia dire essere un Accademico, a una platea – specie la componente alpinistica – che si sorprendeva commossa da una commemorazione insolita e affascinante di una persona di valore assoluto, una bella persona quale certo doveva essere Guido Rossa. Specie alla luce delle note del Barbolini, che l’hanno alpinisticamente contestualizzato nell’epoca del Nuovo Mattino, la nuova era. Facile la metafora con le relazioni sociali e sindacali. Si comincia a delineare il Rossa alpinista di valore assoluto. Con difficoltà s’avvicinava il Guido Rossa esposto dal Barbolini alle foto, in bianco e nero, della vittima del terrorismo, diffuse dopo il suo omicidio. L’intervento di Carlo Barbolini ha insistito sulla qualifica di Accademico, e gli astanti si figuravano forse per la prima volta il Guido Rossa noto, piegato dal piombo terrorista, che, invece, punta il naso verso il sole e l’azzurro dalla vetta di un qualche monte. Carlo, a un certo punto, ha dato l’impressione di non esser convinto di essere riuscito a spiegare cosa significa essere Accademico – mentre c’è riuscito benissimo – e, dunque, cosa dovesse significare esserlo per Guido Rossa, e, infine, quale sacrificio dovesse essere stato per lui rinunciare alla Montagna. Ha evitato, inoltre, garbatamente, di dire che il Club Accademico è il club dei migliori Uomo-Alpinista italiani, di coloro per cui la Montagna non è più solo una passione, praticata comunque con eccelsa perizia, ma qualcosa di più e di qualitativamente diverso e ancora superiore. Nel corso dell’intervento di Carlo Barbolini, si nota, o almeno m’è sembrato così, che l’austera sala in cui parlava, non ammettendo indulgenze alla lievità e al lazzo, lentamente imbrigliava anche questo intervento e lo indirizzava alla dolorosa commemorazione in atto, senza sconti.
Ma eccoci all’intervento del Direttore di Alpinismo Fiorentino, Roberto Masoni. Luca Saponaro è terreo, avverte tutta la responsabilità dell’organizzazione, ma sta andando tutto bene. Roberto Masoni, col mestiere che gli va riconosciuto, controlla disinvolto l’auditorio, l’intervento è molto sciolto: la figura dell’alpinista Rossa viene tratteggiata con cura, ma senza pesantezza. In un crescendo agile e colorito, Roberto tratteggia l’immagine di un alpinista che diventa un combattente dei suoi giorni, che decide d’abbandonare la secolare lotta con l’alpe per abbracciare – e in questo il Masoni non poteva che esaltarsi – l’ascesa flessuosa e fascinosa, dove la sfida è con se stessi, con i propri limiti e non con la vetta, dove si migliorano le nostre qualità di persone, uomini e donne, dove si curano le nostre umane debolezze (aggiungerà: con significativi risparmi di spese sanitarie e psichiatriche). Masoni esplode la sua gioia raccontandoci un Guido Rossa, che vorrebbe poter dire è tutti noi alpinisti: forte, sincero, pulito e soprattutto amico, il compagno di cordata che tutti vorremmo, alpinisticamente bravo e umanamente affidabile.
Il direttore di Alpinismo Fiorentino esce dalle righe, sembra che improvvisi tanto è entusiasta il suo intervento. Chiude legando insieme l’alpinismo dell’uomo Rossa, al sindacalista Rossa, all’assassinato Rossa, ed è commosso e lo siamo anche noi. Bell’intervento anche questo.
Sembra finito e, invece, a sorpresa e con lo stupore dell’organizzatore, Roberto Masoni chiama sul palco Giovanni Bertini, un grandissimo dell’alpinismo fiorentino, e questi ci omaggia di un ricordo di Guido Rossa, alla meravigliosa Tofana di Rozes. Ricorda una salita fianco a fianco a Rossa, legato con Ottavio Bastrenta. Poca enfasi, molta concretezza, e molto alpinismo. Per chi conosce le Tofane, miglior ambientazione era difficile. Immagine pulita, leale e bella. Molto apprezzata. Partono le immagini. Niente funziona, ma i molti avvezzi alle impuntature della sala corsi CAI, non fanno una piega. Si ridacchia, ma non si riesce a scherzare in quella sala, noi eterni ragazzi (questo è il bello di essere alpinisti come siamo, sempre in cordata sempre in rifugio, dovunque). Partono le immagini, alfine. Ed è commozione vera. Si vede Rossa sulle placche con gli scarponi: chapeau. Altre istantanee di momenti di montagna, ma ecco le immagini di repertorio. Sembrano di un’altra vita, e, invece, sono stampate nella memoria di chi c’era, e chi non c’era cerca di capire, ma non so se ci riuscirà. Era un’altra Italia, com’era un’altra montagna. La parte alpinistica del convegno finisce qui.
Resto perché mi ha sollecitato ricordi dolci e terribili, all’un tempo: eravamo tanto giovani e tanto ottimisti, eravamo forti, tanto forti da pensare che il terrorismo non sarebbe passato mai, senza esitazione. Eravamo ciascuno preso dalla costruzione, volontaria o involontaria, del proprio domani, ma tutti uniti a dire no alle barbarie. In quegli anni, un uomo, un sindacalista, un padre di famiglia è ucciso perché non ha piegato la testa alla paura, e ha creduto che non si potesse arrivare a tanta vigliaccheria, lui avvezzo all’aria pura delle vette, in tutti i sensi.

Arriva l’intervento, molto politico, di Marco Semplici, Sindaco di San Piero a Sieve. Ripercorre non tanto la vita di Guido Rossa, quanto l’insegnamento lasciatoci e che lui ha fatto proprio, sembra lontano dal tema in discussione, e, invece, all’improvviso ti ritrovi nel bel mezzo del tema: Guido Rossa un esempio, un uomo normale e completo, servitore senza riserve dei suoi ideali, delle sue idee. Fa apprezzare lo spessore della persona. Ci richiama al Rossa che non riusciamo a dimenticare, la vittima semplice del terrorismo, a mio pensare, ripeto, la più enigmatica: non si capisce perché venne ucciso barbaramente da un suo simile, in tutto e per tutto, un uomo, un operaio, uno che condivideva le stesse ordinarie fatiche della vita dei suoi assassini. L’intervento riesce anche a farci apprezzare il relatore come una bella persona, appassionata al suo servire gli altri in politica.
Tocca alla figlia di Guido Rossa, Onorevole Sabina Rossa. A mio sentire, dalle prime parole sembra esser sorpresa che in Toscana si possa commemorare di suo padre l’immensa passione per la montagna, insieme a quella politica. L’intervento è puntuale e potrebbe sembrare meno appassionato degli altri, ma non è così. E’ forse una sorta di pudore: sta parlando di un padre meraviglioso, ma che ci racconta anche fermo e severo. E si capisce come con un padre così la sua vita non possa essere stata totalmente spensierata. La parte intimista dell’intervento è quella che piace e più prende, si scopre il Rossa padre amoroso e rigoroso, e si completa la figura di Guido Rossa. I ricordi della figlia sono struggenti. E’ difficile immaginare il Guido Rossa intransigente con la figlia e accademico del CAI, fare il funambolo ai giardini a beneficio dei bambini del quartiere, a quali dona sassolini da lui magicamente trasformati in caramelle. E invece era così. Chiude questa bella serata l’intervento del Presidente della Fondazione G. Di Vittorio, tutto incentrato sull’evocazione della necessità odierna, e delle difficoltà dell’oggi, ci risveglia dai tristi ricordi lontani e ci rimette in questi nostri giorni, di egoismo, di crisi, di paura, e di sfiducia.
E’ stata una bella iniziativa. Alpinismo Fiorentino è uscito dalle mura amiche e s’è cimentato in un campo nuovo e difficile, direi con successo. La nostra Rivista cresce e con lei cresce il CAI Firenze.