A proposito di materiali di Marco Orsenigo

Gennaio 2012

In commercio il materiale per l’alpinismo, dall’abbigliamento a quello propriamente dedicato alla progressione in sicurezza, il materiale dicevo, è contrassegnato da alcune sigle, un po’ esoteriche. Molta acqua è passata sotto i ponti, da quando gli alpinisti dei tempi eroici utilizzavano né più, né meno gli attrezzi di lavoro della vita quotidiana.

La corda era un semplice canapo, buono anche per i muratori o gli agricoltori; così si è andati avanti fino agli anni venti. Nel 1931 furono pubblicati i primi studi sulle caratteristiche delle corde da alpinismo; il grande salto di qualità però si ebbe con l’avvento del nylon, nel secondo dopoguerra. Il moschettone è stato introdotto nel 1912; si trattava di un ferro forgiato, magari in modo artigianale. In quegli anni in tema di sicurezza, ai materiali non era richiesto di rispondere a precise norme tecniche di costruzione. Per gli ancoraggi si usavano anche i cunei di legno; su alcune vie classiche se ne trova ancora qualcuno. Solo nel 1969 la U.I.A.A. (Associazione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche) emana le norme specifiche di costruzione dei moschettoni.

Lo stesso discorso vale pure per alcuni attrezzi più recenti. Facendo un salto a piè pari di molti decenni, negli anni sessanta del secolo scorso fanno la loro comparsa i dadi. I primi prototipi erano costituiti da un dado, proprio quello dei bulloni, cui era applicato un anello di cordino, oppure un cavetto di acciaio. Nonostante il rapido sviluppo di questi attrezzi, la codifica delle specifiche costruttive da parte della U.I.A.A. si è avuta soltanto nei successivi anni ottanta.

Un altro salto e vengo ai giorni nostri. Oggi il materiale alpinistico, mi riferisco precipuamente alle corde, cordini e fettucce, ai chiodi, dadi e friends, devono essere conformi alle specifiche costruttive che sono elaborate in ambito U.I.A.A. e Unione Europea. Il marchio U.I.A.A. garantisce all’alpinista che il prodotto soddisfa a determinati requisiti verificati ogni due anni. Il marchio EN (European Norm) garantisce che il prodotto è conforme alla normativa europea per quel dato prodotto; in ogni caso il prodotto alpinistico deve recare il marchio CE (conforme alle esigenze). Il marchio CE è obbligatorio, imposto da una Direttiva europea; senza il marchio CE un attrezzo per l’alpinismo non può essere posto in commercio. Implicazione immediata di questa precisazione è che un negozio che commercia prodotti per l’alpinismo non può vendere materiale senza i marchi citati. Dovendo scegliere, è buona regola acquistare prodotti che recano sia il marchio CE, sia quello U.I.A.A.

Capita talvolta che, nonostante il rispetto rigoroso dei canoni costruttivi imposti per legge, il prodotto presenti anomalie di funzionamento. La Petzl ha introdotto qualche anno fa un modello di gri-gri (GRIGRI 2), che ha manifestato anomalia di funzionamento della leva per manovrare l’apertura della camma e consentire la calata (1). In alcuni casi la leva è rimasta bloccata con la camma aperta. Inconveniente pericoloso, perché non era più assicurato il controllo della corda dal lato frenante, con aumento del rischio di una discesa non controllata. Il prodotto è stato ritirato dal mercato. Sempre la Petzl ha proposto un completo da ferrata modello Scorpio che almeno in un caso ha evidenziato un malfunzionamento, con conseguenze letali per l’utilizzatore; anche in questo caso il prodotto è stato ritirato dal mercato a prescindere dalle reali cause del fenomeno. Il rispetto rigoroso delle norme EN – CE e U.I.A.A. non garantisce comunque dalla rottura del materiale. Il discorso deve concentrarsi sulle corde e sui moschettoni. Una corda ancorché nuova può rompersi a causa del c.d. “effetto spigolo”. Con questa espressione intendo il fenomeno della corda in tensione che va a urtare, o peggio scorrere, sopra uno spigolo vivo offerto dalla roccia (es. il bordo di una cengia): questo agisce come una lama tagliente. E’ evidente che in tal caso la rottura della corda non ha nulla a che vedere con le sue caratteristiche costruttive. I moschettoni sono concepiti per lavorare lungo il loro asse maggiore; questa è la regola generale. Nei moschettoni a ghiera si suole indicare il carico di rottura per trazione sull’asse maggiore a ghiera chiusa e aperta, nonché per trazione lungo l’asse minore (ghiera chiusa). Non è indicato invece il carico di rottura in flessione (c.d. “di piatto”), perché offre un carico di rottura molto basso (340 daN) (2). Il problema della trazione in flessione, si presenta su qualsiasi tipo di progressione, tuttavia è meno assillante nell’arrampicata su roccia, ove il rinvio è sempre composto da due moschettoni collegati da anello di cordino o da fettuccia. Qualora si presenti il pericolo che il moschettone si disponga sulla parete in flessione, per risolvere il problema sarà sufficiente passare nell’ancoraggio un anello di cordino, o fettuccia, al quale applicare il rinvio.

Nella progressione su ferrata invece il problema è più serio e concreto. La ferrata è costruita per lo più da un cavo di acciaio che passa attraverso il foro eseguito sulla testa del grosso fittone che affonda nella roccia. Il cavo è tenuto fermo sulla testa del fittone con uno o più morsetti. La distanza media fra i fittoni è di circa 5/6 metri. In caso di caduta il moschettone del completo da ferrata scorre lungo il cavo, finché non va ad arrestarsi sul fittone immediatamente a valle. La dimensione della testa del fittone, la presenza dei morsetti fa sì che il moschettone, anziché disporsi lungo l’asse maggiore, possa rimanere incastrato è finisca per subire la trazione in flessione. Per quanto i completi da ferrata siano muniti di un freno dissipatore, la forza di arresto esercitata sul sistema supera facilmente il valore di 340 daN; è probabile pertanto che il moschettone si rompa. Andrea Bafile (per inciso inventore del dissipatore) raccomandava, però invano, di passare attorno al cavo della ferrata un anello di cordino (almeno 8 mm) cui applicare il moschettone; in caso di caduta il moschettone si sarebbe disposto comunque lungo l’asse maggiore.

Volendo trarre le fila di questo discorso, dev’essere chiaro che i prodotti per l’alpinismo oggi godono di un’altissima qualità costruttiva e i negozi che vedono prodotti dichiarati per tale attività sono obbligati a offrire merce che garantiscono proprio quella qualità; tuttavia dev’essere altrettanto chiaro che la sicurezza assoluta non esiste, perché questa dipende pure da fattori diversi dai criteri costruttivi. Questi concetti sono ben noti a coloro che nel C.A.I. si dedicano all’accompagnamento in montagna muniti di un titolo ufficiale, dagli istruttori nazionali, agli accompagnatori di escursionismo. E’ importante che costoro siano costantemente aggiornati circa i materiali, in modo da diffondere le loro conoscenze vuoi fra gli allievi dei corsi delle scuole, vuoi fra i soci che partecipano alle gite sociali organizzate dalle sezioni.

Un accompagnatore titolato che da informazioni errate o anche solo inesatte si squalifica, ma soprattutto rende un pessimo servizio a coloro che a lui si affidano. In ultimo, ma non per ultimo, ne esce lesa l’immagine del C.A.I., che è depositario della cultura alpinistica; e certo la conoscenza dei materiali per alpinismo e il loro corretto impiego appartiene per definizione al patrimonio culturale del Sodalizio. In conclusione, se un accompagnatore che ha un titolo ufficiale non è sicuro di ciò che va dicendo, rende un buon servizio a se stesso ed al C.A.I., se si astiene da qualsiasi esternazione.

(1) Il gri-gri si impiega nelle falesie per assicurare l’arrampicatore dall’alto e poi ricalarlo (c.d. moulinette).

(2) Per evitare la trazione in flessione è pressoché sparito dal mercato il friend a braccio rigido, sostituito da quello a bracci flessibili.

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